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ANCORA MOLTO LAVORO DA FARE SUI FONDI PENSIONE*

Nel primo anno di attuazione della riforma, gli iscritti ai fondi pensione sono aumentati del 43,2 per cento. Un risultato positivo. Ma l’adesione riguarda ancora una minoranza dei lavoratori dipendenti del settore privato. Ed è particolarmente carente tra i segmenti a basso reddito della popolazione. Informazione sul primo pilastro, profilo fiscale, struttura dell’offerta, educazione previdenziale e codice di autodisciplina sono gli elementi dai quali partire per favorire un piio sviluppo della previdenza complementare nel nostro paese.

Le statistiche aggiornate a fine 2007 presentate nella recente relazione della Covip indicano che dopo il primo anno di attuazione della riforma del settore, gli iscritti ai fondi pensione sono aumentati del 43,2 per cento. In particolare, tra i lavoratori dipendenti del settore privato sono aumentati di oltre 1,2 milioni, circa il 60 per cento in più rispetto al 2006.

CHI SCEGLIE I FONDI

Nonostante tali risultati siano senza dubbio positivi, l’adesione ai fondi pensione riguarda ancora una minoranza dei lavoratori dipendenti del settore privato: poco meno di tre milioni e mezzo gli iscritti su 12,2 milioni di potenziali aderenti.
Ma i nuovi dati di cui disponiamo forniscono una serie di ulteriori elementi di valutazione:

  1. soltanto il 15 per cento degli iscritti risiede nelle regioni meridionali (contro il 23 per cento degli occupati), mentre gli iscritti residenti nelle regioni settentrionali sono pari al 64 per cento (contro il 57 per cento degli occupati);
  2. nelle aziende sopra i 50 dipendenti il tasso di adesione è pari al 42 per cento, mentre in quelle al di sotto della soglia si attesta al 12 per cento;
  3. nei fondi aziendali e di gruppo il tasso di adesione è pari al 58,6 per cento;
  4. tra gli iscritti ai fondi pensione i giovani sono sottorappresentati: costituiscono il 36 per cento degli iscritti, contro il 39 per cento degli occupati;
  5. anche le donne sono sottorappresentate. Le iscritte ai fondi pensione sono il 37 per cento, contro il 40 della forza lavoro occupata;
  6. i fondi aperti ad adesione collettiva sono fermi a circa 189mila aderenti;
  7. il “conferimento tacito” non ha svolto la prevista missione salvifica (sono stati soltanto 70mila gli aderenti “silenti”).

Partendo dall’ultimo punto, si può dire che il ricorso al “conferimento tacito” un primo riferimento concreto lo abbia fornito: i lavoratori italiani sono stati chiamati a effettuare una scelta sulla destinazione del loro Tfr e la maggioranza ha liberamente manifestato una preferenza per il suo mantenimento in azienda. Ciò dovrebbe bastare per dissuadere dal riproporre l’introduzione dell’obbligatorietà del conferimento del Tfr ai fondi pensione, una misura che si configurerebbe obiettivamente priva del consenso della maggioranza dei destinatari. Al contempo, il risultato costituisce una sfida per quanti ritengono che l’adesione ai fondi pensione, nel quadro di un mercato regolato in modo efficiente e con le giuste tutele, sia una scelta conveniente per chi la compie.
Non abbiamo specifiche evidenze statistiche sulla distribuzione degli iscritti per fasce di reddito, ma alcuni tra i dati sopraindicati, in particolare quelli relativi alle adesioni delle donne, dei giovani e dei lavoratori delle piccole imprese, nonché al numero di iscritti residenti nelle aree meno sviluppate del paese, costituiscono una buona approssimazione e consentono di affermare che l’adesione alla previdenza complementare è ancora carente soprattutto tra i segmenti a basso reddito della popolazione italiana
D’altronde, un approfondimento svolto per conto della Covip da un primario ente di ricerca, con particolare riferimento alle motivazioni dei lavoratori dipendenti che hanno scelto di non aderire ai fondi pensione, conferma che per larghe fasce della popolazione sono entrati in gioco fattori legati al basso livello del reddito e alla incertezza di mantenere il posto di lavoro, elementi cui in genere si associa una scarsa capacità di valutazione del futuro previdenziale, anche per ciò che attiene alla pensione di primo pilastro.

PER “CAMBIARE MARCIA”

Partendo da questi dati, è utile domandarsi quali potrebbero essere gli interventi capaci di innestare un cambiamento di marcia nello sviluppo della previdenza complementare nel nostro paese. Vediamone alcuni.
informazione sul primo pilastro. In primo luogo, dovrebbe essere fornita ai lavoratori italiani un’informazione istituzionale, chiara e attendibile, sulle aspettative di copertura pensionistica ricollegate al pilastro obbligatorio. In mancanza di tale informazione, la possibilità di effettuare valutazioni sull’effettivo bisogno previdenziale, e quindi sulla opportunità di ricorrere alla previdenza complementare, è ridotta ai minimi termini.
Il profilo fiscale. Oggi gli iscritti ai fondi pensione possono dedurre dal reddito complessivo dichiarato gli importi versati fino al concorso di circa 5.164 euro. È stato calcolato che il vantaggio fiscale derivante dalla deducibilità dei contributi versati per un lavoratore con un reddito annuo pari a 81mila euro è pari a 2.221 euro all’anno, mentre si riduce a 1.387 euro per un lavoratore con un reddito pari a 20mila euro, nell’ipotesi peraltro assai improbabile che riesca a versare 5mila euro di contributi. Una parziale sostituzione della deducibilità con la detraibilità, limitatamente a lavoratori a basso reddito o appartenenti alle classi di età più giovani, sarebbe non solo equa, ma anche efficace nel favorire la convenienza all’adesione per le categorie più svantaggiate.
La struttura dell’offerta. La scarsa adesione dei lavoratori della piccola impresa è in parte dovuta alla dispersione dell’offerta in un settore in cui operano fondi negoziali con enormi bacini di potenziali aderenti (spesso sovrapposti) e comunque non in grado di raggiungere capillarmente i milioni di posti di lavoro coinvolti. Si imporrebbe una riflessione da parte delle forze sociali sulla possibilità di razionalizzare l’offerta, riducendo drasticamente il numero dei fondi pensione e creando sinergie tra categorie di lavoratori “forti “ e categorie “deboli”. Certo, si tratterebbe di fare un sacrificio in termini di rappresentatività, ma questo aspetto sarebbe più che compensato da una maggiore capacità di penetrazione e dalle economie di scala che consentirebbero, tra l’altro, di migliorare un’organizzazione dei fondi che in molti casi è ancora alquanto insoddisfacente. Sforzo analogo potrebbe essere effettuato dai fondi aperti. Soltanto pochi  sono rivolti esclusivamente alle adesioni collettive, quasi che il sistema sconti una carenza di fiducia nelle capacità aggregative di tale strumento.
educazione. Una seria e impegnata campagna di educazione previdenziale con il coinvolgimento del sistema scolastico e di quello universitario dovrebbe vedere attivi, oltre alle amministrazioni pubbliche, anche a livello territoriale, tutti gli attori del sistema. Si è già dato conto in precedenti interventi di quanto è stato fatto in altri paesi, in alcuni dei quali si stanno ora realizzando le prime valutazioni ex post sui risultati dei programmi avviati. Più che “reinventare la ruota”, si potrebbe fare tesoro di tali importanti esperienze.
Il codice di autodisciplina. Si è già parlato in precedenti interventi anche dei costi dei fondi pensione. Finché esisteranno forme di previdenza integrativa che, pur se legittimamente collocate sul mercato, prevedano costi esorbitanti e tali da vanificare la “promessa previdenziale” sarà difficilissimo alimentare la fiducia nel sistema. E i suoi detrattori avranno potenti argomenti da spendere. Il varo di un codice di autodisciplina che metta a fuoco anche tale importante aspetto sarebbe un segnale rilevante da parte degli operatori di mercato di un nuovo corso e di una crescente consapevolezza circa la funzione sociale della previdenza complementare. La discussione sul tema della portabilità del contributo addizionale del datore di lavoro pare logicamente subordinata all’avvio di tale processo.

* Commissario Covip

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SE SI ROMPE IL PATTO PER LA SALUTE*

29 commenti

  1. Jacopo Orsatti

    Prendo spunto dal dato dell’enorme differenza di adesione ai fondi pensione nelle aziende sopra e sotto i 50 dipendenti (42% vs. 12%), per riflettere sulla concessione di trattenere il tfr in azienda fatta alla piccola imprenditoria: sarebbe interessante spaccare ulteriormente la popolazione dei lavoratori delle aziende che mantengono il tfr tra coloro che lavorano in realtà con più di 15 dipendenti ed i restanti, che non godono dei benefici dell’articolo 18. Mi permetto poi di precisare come l’esempio del lavoratore che guadagna 20.000€ lordi e ne versa 5.000 nel fondo pensione non sia applicabile al lavoratore dipendente, che ha un limite di deducibilità, costituito dal doppio della quota del tfr versata nel fondo pensione. Nell’esempio in questione il limite massimo deducibile (ipotesi in cui si versi tutto il tfr nel fondo) sarebbe di 2.510€ ottenuti come il 13,92% dello stipendio lordo, al netto dei contributi Inps (ipotesi del 9,19%), ottenendo un risparmio fiscale immediato di circa 785€.

    • La redazione

      Per quanto riguarda il riferimento alla norma fiscale, le preciso a mia volta che la disposizione di cui alla lettera e-bis del comma 1 dell’art 10 del T.U.I.R. (nel testo introdotto dal D.Lgs. 47/00), che effettivamente prevedeva che la deduzione dell’importo versato da un  lavoratore dipendente a un fondo pensione competesse fino a un limite non superiore al doppio della quota del Tfr, è stato modificato dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs. 252/05 che ha eliminato detto limite, così come quello del 12 per cento del reddito complessivo, lasciando in vita soltanto il mantenimento del  limite in cifra assoluta, pari a 5.164,57 euro. I limiti della vecchia normativa sono rimasti in vigore soltanto per i dipendenti del settore pubblico . Con l’occasione vale forse la pena precisare anche che il versamento del Tfr a un fondo pensione non concorre a determinare il montante deducibile.

  2. Carlo

    In primo luogo, occorre ricordare che non e’ affatto certo che investire il TFR in un fondo pensione renda di piu’ che lasciarlo in azienda.
    Inoltre, e’ bene avere presente che la riforma del TFR e’ stata concepita come un regalo alle banche a scapito dei lavoratori. Se si vuole investire la propria pensione in titoli di Stato o azioni, perche’ non si possono comprare direttamente BOT e CCT o ETF, invece di ingrassare le banche con le commissioni di gestione dei loro fondi?
    Lavoro in UK, e la mia pensione la gestisco io: decido io in cosa investire e quando. Investendo principalmente in titoli di stato e ETF, risparmio sulle commissioni di gestione e ho il pieno controllo della mia pensione. Qualcosa che mi dice che gli italiani non avranno mai questa possibilita’…

    • La redazione

      Come può evincersi dalla tabella relativa all’indicatore sintetico dei costi delle forme pensionistiche complementari pubblicata nel sito della Covip, esiste un buon numero di fondi pensione che applicano costi complessivi (comprensivi della commissione di gestione) del tutto ragionevoli, anche rispetto agli standard anglosassoni (le ricordo che il cap sui piani pensionistici Stakeholder nel Regno Unito è pari all’1,50 per cento). La maggior parte dei lavoratori britannici, d’altra parte, aderisce a forme collettive, per lo più ancora a beneficio definito. Quanto alla decisione di gestire in proprio i contributi pensionistici, non credo ne possa essere auspicata la generalizzazione.

  3. Moreno61

    E’ da evidenziare come l’adesione nell piccole Aziende non abbia raggiunto i livelli percentuali delle Aziende maggiori per vari motivi non ultimo la scarsa “collaborazione” per non dire altro dei datori di lavoro perche’ la fuoriuscita del tfr rappresenta ,per gli stessi, un ulteriore aggravio di oneri e di gestione. Inoltre per molti dipendenti giovani il tfr e’ l’unica ancora di salvezza in caso di licenziamento, e’ lo strumento con il quale ci si cambia l’auto o si acquista la casa o si affrontano spese impreviste . Alla pensione , pensano, ci dovrebbe pensare lo Stato visto i contributi che gia’ si versano ( e su questo non si puo’ dar loro torto) e se non si e’ provveduto ad una adeguata informazione sugli importi che verranno erogati dalla mano pubblica, per i giovani e’ , comunque, un problema remoto.

    • La redazione

      L’educazione previdenziale dovrebbe servire proprio a rendere i lavoratori consapevoli dei livelli di copertura che essi possono attendersi dal primo pilastro e delle potenzialità insite nell’investimento del Tfr nei fondi pensione (con tutti i caveat del caso…). Anche i datori di lavoro dovrebbero essere responsabilizzati al riguardo; molti di loro non sono pienamente consapevoli del destino previdenziale dei loro dipendenti.

  4. PALMERINI GIAN LUCA

    Da valutare anche i costi di transazione sopportati dalle imprese specialmente medio piccole: o Fognindo ha una sua modalità per reperire i dati ed il versamento. Proposta. Non sarebbe statomeglio affidare ad un unico soggetto la raccolta e successivo smistamento delle somme (esempio Inps affidabile dal punto telematico e già interconnesso con le imprese)?

    • La redazione

      Sono d’accordo con lei. Tra l’altro, oggi, in caso di scelta di versamento del Tfr a un fondo, non è neanche facilmente accertabile l’evasione contributiva.

  5. Carlo

    A proposito del confronto Italia – UK, i fondi italiani hanno uno svantaggio notevole: l’erogazione della pensione è collegato al raggiungimento dei requisiti minimi per la pensione di Stato. Quindi una persona che lavora 10 anni in Italia e poi si trasferisce, poniamo, negli USA, perderebbe quanto versato sino ad allora, stando almeno a quanto ho capito – non sono piu’ informatissimo sulle tematiche italiane. In UK, invece, il mio SIPP (self invest personal pension) è molto più simile ad un investimento tradizionale: se dopo 10 anni mi trasferisco in un altro paese, dopo i 55 anni mi verra’ comunque erogata una pensione; sarà modesta, se avrò contribuito per soli 10 anni, ma almeno quei soldi non li avrò persi.

    • La redazione

      Un lavoratore italiano che si trasferisse all’estero dopo 10 anni di lavoro in Italia non perderebbe affatto gli anni di versamenti al fondo pensione al quale fosse iscritto, ma avrebbe diritto al riscatto del quantum accumulato, comprensivo dei rendimenti.

  6. Tarcisio Bonotto / Proutist Universal

    I fondi pensione sono una invenzione straordinaria in condizioni ordinarie. Nel momento storico in questione, le trasformazioni, la corruzione, gli squilibri economici non lasciano molto ben sperare nel loro successo. Enron et altri docet. Essi sono una conseguenza di diversi problemi: bassa natalità, invecchiamento della popolazione, carenza di lavoro locale e quindi squilibrio tra contribuenti e pensionati. La soluzione finale certamente non può essere quella dei fondi ma una ristrutturazione e riequilibrio del sistema socio-economico. La bassa natalità sembra causata in primo luogo dall’insicurezza economica della popolazione, diverso rapporto uomo/donna, principi di convivenza mutati. Ma gli immigrati fanno molti figli… Carenza di lavoro locale? La globalizzazione sicura può essere attuata nella visione dell’autosufficienza locale: produrre tutto ciò che si può in loco, non esportare le materie prime ma prodotti finiti, etc. Certo le Multinazionali ne soffrirebbero ma le popolazioni risolverebbero i loro problemi. Le Coop Mondragon dei Paesi Baschi danno la pensione a tutti senza Fondi Pensione pericolosi e instabili. Economisti pensateci, la moda dura poco.

    • La redazione

      La moda dei fondi pensione nei paesi anglosassoni, in Olanda e in molti altri paesi, dura da più di cinquanta anni e non mi pare ci siano segnali di cambiamenti radicali di rotta. Il caso Enron non sarebbe ripetibile nel nostro Paese dove vige il divieto di concentrazione nel portafoglio di un fondo pensione di titoli di uno stesso emittente. Quanto all’autosufficienza locale, purrispettando la sua idea, le confesso un certo scetticismo.

  7. bellavita

    I lavoratori, come tutti gli italiani hanno una profonda e motivata diffidenza nei confronti del sistema bancario e dei suoi prodotti. E anche dei suoi codici di autodislciplina, che non hanno impedito a Fiorani di svuotare i c/c dei clienti e a tutte le banche di svaligiarli con i derivati. Dalla Covip ci si aspetta che pubblichi l’elenco delle commissioni applicate, banca per banca, solo questo tipo di notizia può indurre alla moderazione, o, più probabilmente, all’invenzione di trucchi per nascondere le commissioni reali.

    • La redazione

      La Covip pubblica sul proprio sito l’indicatore sintetico dei costi di tutte le forme di previdenza complementare dalla stessa vigilate. Ha imposto a tutti i fondi pensione di pubblicare, a loro volta, sui propri siti i costi praticati. Ha inoltre imposto il divieto di duplicazione delle commissioni di gestione in caso di acquisto di quote di OICR. Lo stesso divieto non è previsto per altri prodotti del risparmio gestito i cui sottoscrittori sono quindi esposti al rischio di incorrere in costi più elevati di quelli risultanti dal prospetto informativo.

  8. Giuseppe Caffo

    Viviamo in un epoca in cui sono veramente poche le persone di media cultura che si preoccupano del proprio futuro personale e collettivo. E’ stato coniato un brutto neologismo, “brevetermismo”, che equivale a “prendi i soldi e scappa”. Molti giovani lavoratori non hanno nessuna idea di come sarà la propria vita fra 30 o 40 anni. Ma sanno che se perdono per qualsiasi motivo l’attuale lavoro, il TFR maturato in azienda è un’ancora di salvezza su cui contare magari mentre si cerca un nuovo lavoro. La mancanza di progetti a lungo termine è diffusa nella cultura dominante (ad esempio l’approvvigionamento energetico,le tematiche ambientali, le tappe nel consolidamento dell’Unione Europea). A mio avviso sono le classi dirigenti che danno il cattivo esempio non proponendo una visione di largo respiro proiettata nel futuro dello sviluppo della società. Inoltre a una riconosciuta scarsa cultura finanziaria si associa una sfiducia generalizzata nelle istituzioni finanziarie che dovrebbero gestire i fondi pensione,istituzioni finanziarie che purtroppo spesso si mostrano al grande pubblico avide e dedite al “prendi i soldi e scappa”.

    • La redazione

      Sono d’accordo con lei sulla mancanza di una visione di lungo termine a tutti i livelli. Porre rimedio a tale mancanza nel settore dei fondi pensione significa richiamare l’attenzione sulle opportunità (ma anche sui rischi) insiti nell’investimento in tali forme e al contempo demistificare l’eccessiva aura di convenienza che circonda il Tfr, che mentre è certo sia sicuramente vantaggioso per le imprese, è quanto meno opinabile che lo sia sempre anche  per i lavoratori (basti ricordare che sopra il 6 per cento di inflazione il Tfr offre rendimenti negativi). Per ulteriori elementi rinvio alla risposta successiva.

  9. csepel

    I fautori dei fondi pensione trattano i lavoratori che non vogliono aderirvi come ignoranti dell’età della pietra da educare. I dati tuttavia dicono che gli uomini delle caverne hanno ragione. Negli ultimi 10 anni il Tfr ha reso più dei fondi pensione pur essendo questi ultimi strumenti intrinsecamente più rischiosi e dunque, a sentire i teorici della finanza, necessariamente più redditizi. E’ solo grazie alla burocrazia sindacale che i lavoratori sono stati spinti ad aderire ai fondi pensione. Senza i ricatti, le promesse, le bugie dell’apparato sindacale, gli aderenti sarebbero ancora meno. Peccato che il sindacato nasce per garantire e difendere la pensione pubblica e non i profitti dei gestori privati che si fanno pagare molto (come ammette la stessa Covip) e non sono capaci di rendere un bel niente.

    • La redazione

      Partendo da marzo 1999 (data di avvio della gestione finanziaria del primo fondo negoziale) e fino alla fine del 2007, il rendimento generale netto dei fondi negoziali è del 38,2 per cento, mentre si attesta al 28,8 per cento la rivalutazione netta del Tfr; nello stesso periodo il rendimento generale netto dei fondi aperti è del 29,5 per cento. Si è chiesto il cortese lettore come mai una buona parte dei lavoratori già iscritti ai fondi negoziali abbia scelto nel corso del 2007 di trasferire ai loro fondi anche la parte di Tfr non precedentemente investita? Quanto ai “ricatti sindacali”, la scarsa adesione dei lavoratori delle piccole imprese alimenta dubbi assai diversi da quelli evidenziati. In ordine infine ai costi, basta visitare il sito della Covip per capire che la realtà è molto più complessa di come la si vorrebbe dipingere.

  10. Giulio Marini

    Osservazioni: – i soggetti che più avrebbero bisogno di appoggiarsi sui pilastri successivi al primo (giovani, donne, meridionali, persone occupate in settori in cui il sindacato è meno forte o non c’è) non riescono a farlo perché schiacciati dalle incombenze del presente, quindi l’introduzione dei f.p. sarebbe sperequante rispetto ai diritti di welfare (che potrebbero continuare a essere diritti anche in un contesto di “ognuno pensi a se stesso”); – le banche hanno una competenza comica: quando ho chiesto di farmi una previdenza complementare in banca la signorina non sapeva nulla… alla fine uno deve accettare di dare i soldi senza sapere esattamente in quali mercati li sta mettendo – le compagnie assicurative non ti rispondono proprio, solo se sei già cliente rispondono a una tua richiesta di informazioni – il passato Governo di centro sinistra ha spinto in modo bipartizan la questione. Avrà fatto anche bene: ma tutto ciò è di sinistra?! – lo scorso anno mi toccava leggere più o meno che “chi non ha il TFR non deve scegliere, non ha questo PROBLEMA…”Da quando avere dei soldi e scegliere dove metterli è un problema maggiore di non averli affatto?! http://www.giuliomarini.net

    • La redazione

      Quello che lei afferma mette nella dovuta evidenza l’importanza dell’educazione finanziaria quale strumento per rendere tutti, a cominciare dagli addetti ai lavori, consapevoli della importanza delle decisioni in tema di risparmio. L’alternativa è arrendersi al presente stato di confusione generale che consente agli incapaci, o ai malintenzionati, di approfittare della scarsa conoscenza che il pubblico ha in materia finanziaria per diffondere prodotti costosi e inefficienti. Però non è esatto dire che investendo i soldi in un fondo pensione non si sa a quali mercati essi saranno destinati: le informazioni su questo punto sono necessariamente presenti nella nota informativa.

  11. Giulio Marini

    Concordo pienamente sulla necessità di “spingere” sull’educazione previdenziale, ma il punto è che più gli under 35-40 apprendono, più saranno consapevoli che la riforma Dini ha creato un vero e proprio balzello generazionale attenutato solo dalla condizione dei “misti” (retributivo e contributivo). A meno che non sia un’educazione “di destra” e/o acritica verso l’arretramento dello Stato in materia di previdenza, che è l’evento più importante perché ha valenza epocale, in tal caso l’educazione sarebbe quantomeno parziale. Però… I 2 soldi che ho messo nel fondo pensione per risparmiere una frazione di soldo di tasse prevedeva 5 tipologie di panieri: dal meno rischioso (cose simili ai BOT) al più audace (azioni o non so che). Il problema è che mi è impossibile vedere che c’è dentro! Pur facendo richieste mi è stato negata la possibilità di fugare i dubbi di nuovi parmalat. La risposta testuale – dopo molte domande – è stata: “Ma lei ha la palla di cristallo? Che le cambia? Le pare che accade di nuovo [il caso dei bond Argentini]?” Cosa posso fare per reclamare maggiore trasparenza per quella sudatissima frazione di risparmio così investita? A chi mi posso rivolgere?

    • La redazione

      Una descrizione sintetica delle attività detenute e delle politiche di investimento realizzate dai fondi pensione nel corso dell’anno è contenuta nella Nota informativa – sezione "Informazioni sull’andamento della gestione", pubblicata sui siti web dei fondi riguardati, e nella Comunicazione periodica annuale, inviata a ciascun iscritto entro il mese di marzo.
      I fondi pensione sono tuttavia tenuti a fornire informazioni di maggior dettaglio nel bilancio (o rendiconto, se si tratta di fondi pensione aperti).
      In particolare, questi documenti contengono – tra l’altro – l’indicazione nominativa dei primi cinquanta titoli detenuti, evidenziando il peso di ciascuno sul totale delle attività, nonché la rappresentazione della distribuzione territoriale degli investimenti e la composizione del portafoglio per valuta oltre che informazioni di dettaglio su particolari attività (ad esempio, strumenti derivati o titoli detenuti in conflitto di interessi).
      Tutti i bilanci sono pubblicati sui siti web dei fondi interessati. Per eventuali omissioni, gli iscritti possono naturalmente rivolgersi alla Covip esponendo le loro doglianze.

  12. slopelini

    Credo di poter affermare con sufficiente tranquillità che il dato relativo alla futura compressione dei tassi di sostituzione sia trasversalmente condiviso. Partendo da tale condivisione, ritengo che una chiara informazione istituzionale rappresenti un passaggio non più rinviabile. Al riguardo rilevo come i pragmatici tedeschi, utilizzando la seconda rete televisiva pubblica, la ZTF, nel 2007 hanno trasmesso in prima serata un documentario, intitolato 2030: la rivolta dei vecchi, focalizzato sugli impatti dei trends demografici sui sistemi di welfare. Stando alle cronache, sembra che sia stato seguito da oltre 4 milioni di tedeschi. Non conosco i costi di produzione e di trasmissione di un documentario sulla rete pubblica. Parimenti, non conosco il costo dell’invio cartaceo a 14 milioni di lavoratori dell’opuscolo sul TFR. Forse, con la cifra di 17 mln euro, a monte della campagna informativa “Scegliere oggi pensando al domani” e in via logicamente preliminare, l’intervento di informazione avrebbe potuto essere declinato attraverso una gradualità ragionata, partendo proprio dall’informazione sul primo pilastro….

  13. slopelini

    Condivido la rimodulazione degli incentivi fiscali attraverso la previsione di meccanismi di detraibilità. Al fine di incentivare l’adesione dei giovani svolgo anche la seguente riflessione. Per effetto delle norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007, è stato favorevolmente rivisitato il riscatto dei corsi universitari: validità sia ai fini del diritto che della misura della pensione, pagamento rateale fino a 120 rate senza interessi, deducibilità fiscale.
    Ferma restando l’imputabilità di tale tipologia di riscatto ai fini del diritto alla pensione, con riferimento all’onere di riscatto non si potrebbe ipotizzare uno schema di opt-out, nella misura massima del 20% dell’onere totale di riscatto, in favore di un fondo? Tale misura potrebbe essere in grado di cogliere due distinti obbiettivi. Il primo è relativo alla possibilità di ottimizzare l’investimento attraverso una diversificazione del rischio. Il secondo, forse più importante del primo trattandosi di risparmio individuale, di somme aggiuntive rispetto alla contribuzione obbligatoria, risiede nel motivo ereditario e, cioè, nel trattamento diversificato della devoluzione della contribuzione, ivi compresa quella da

  14. csepel

    Ho risposto giorni fa alle osservazioni critiche fatte sul mio commento. Il sito non ha ritenuto di concedermi il diritto di replica. Spero almeno che abbia l’onestà di pubblicare questa breve citazione da un articolo del Corriere della Sera del 14.7..08 che conferma i miei dati: “fra il primo gennaio 2000 e il 30 giugno 2008 nessuno dei tre fondi maggiori ha battuto il Tfr”. Il tfr fa meglio dei fondi pensioni nonostante questi siano strumenti finanziari più rischiosi e dunque dovrebbero rendere di più. Questi sono i dati del mondo reale. Il resto è propaganda.

    • La redazione

      Nella prima nota dell’anonimo lettore l’ “improprio” confronto (che, peraltro, egli stesso aveva inteso prospettare, distrazione che gli si può perdonare) tra i rendimenti del Tfr e quelli dei fondi pensione era riferito agli “ultimi dieci anni”. Stavolta, egli richiama dati del Corriere della sera che istituiscono un confronto tra i rendimenti di Tfr e fondi pensione per il periodo 2000-giugno2008 (sette anni e mezzo). Qualcosa non torna, ma la seconda distrazione è peggiore della prima.

      Inoltre, a proposito di età della pietra, non è vero che il Tfr sia risk free. Stante il modo in cui è definito il meccanismo di calcolo dello strumento, in corrispondenza a tassi di inflazione superiori al 6 per cento la rivalutazione lorda del Tfr reale è negativa. Quando fu introdotto l’istituto del Tfr, in Italia avevamo un’inflazione a due cifre e per tutta quella fase il rendimento che il Tfr garantiva ai lavoratori era negativo in termini reali. Le cose sono fortunatamente cambiate negli anni recenti. Nondimeno, le attuali tensioni inflazionistiche potrebbero preludere a mutamenti di scenario difficilmente prevedibili e tutt’altro che rassicuranti non solo per i rendimenti dei fondi pensione (la cui rischiosità nessuno nega), ma anche per quelli del Tfr.

      A quanto sopra deve aggiungersi:

      a)      che il rendimento medio dei fondi negoziali citato nella precedente risposta all’anonimo lettore sconta una composizione dei portafogli in cui sono largamente prevalenti (per oltre il 70 per cento) titoli obbligazionari a rischiosità medio-bassa;

      b)      che, come è noto, per i fondi pensione sussistono contributi addizionali del datore di lavoro e benefici fiscali che,  pur se auspicabilmente migliorabili, sono certamente significativi e andrebbero adeguatamente valutati nel calcolo di convenienza complessivo.

  15. Carmela Rapacciuolo

    Sono una lavoratrice fortunata, ho 41 anni e lavoro da 20 in una grande azienda. Io sono stata tra quelli che potevano scegliere, ed ho scelto, per il momento, di lasciare il TFR in azienda e di non aderire ad alcun fondo pensione fino a quando non ci fosse stata più chiarezza. Il punto è che non riesco a decidermi vista la totale inaffidabilità ed inadeguatezza,a tutt’oggi, delle informazioni. Quello che ho capito è che qualunque tipo di fondo pensione, aperto o chiuso che sia, obbliga ciascun lavoratore, a fine rapporto, di avere il 50% in contanti ed il 50% come rendita, senza la possibilità di poter scegliere se si vuole tutto l’importo in contanti o come rendita, dipenderebbe molto dal momento….Del resto il lavoratore investe i suoi soldi, quindi perchè non permettergli di decidere liberamente? Detto questo, mi chiedo, non sarebbe meglio investire in assicurazioni sulla vita che prevedono tante altre chance, o è un’eresia?

  16. andrea peruzzo

    Eppure mettere mano ad una cifra enorme come quella di depositi dei lavoratori come il TFR, credo avrebbe fatto voglia anche alla Banda Bassotti. Certo che far credere ai lavoratori, da parte del sindacato di stato, che fosse un buon investimento è sicuramente un atto irresponsabile per il solo semplice ruolo che queste organizzazioni "dovrebbero" adottare, a tutela del loro futuro e il sudore del loro lavoro. Invece si concentrano a tutelare opportunità di lavoro per operatori sindacali, che attraverso un semplice corso di finanza, siedono nei consigli di amministrazione di questi fondi. Con che capacità assumono questa competenza e le opportune scelte di investimento per tutelare gli interessi degli iscritti al fondo? Certo la normativa concede la possibilità che sia previsto obbligatoriamente un consulente altamente professionale in materia finanziaria. Allora che senso ha che vengano destinati a bilancio costi di queste persone, non dimentichiamo anche quelli della banca dove viene trattenuto il deposito, che anno dopo anno poossono aumentare? E secondo voi chi paga questi costi? L’art. 2120 del c. c. tutela il TFR con rivalutazione e adeguamento all’inflazione, i fondi no!

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