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L’ALTALENA DELL’INDIPENDENZA*

Le ricette per favorire la crescita dei paesi in via di sviluppo raccomandano riforme delle istituzioni e della politica. Ma la loro efficacia dipende in larga parte dal contesto politico iniziale. Per esempio, l’indipendenza della banca centrale può avere effetti straordinari sull’inflazione. Ma se introdotta in un sistema istituzionale per altri versi debole, produrrà un effetto altalena, che ne vanificherà i benefici, magari attraverso un deterioramento del bilancio pubblico. Si spiegano così molti casi di fallimento delle politiche del Washington consensus.

Per migliorare i risultati economici e favorire la crescita dei paesi poveri si raccomandano riforme delle istituzioni e della politica. Quelle su cui si è concentrata l’attenzione negli ultimi dieci anni sono spesso indicate come “Washington consensus” e comprendono apertura dei mercati, liberalizzazione finanziaria, riforma della giustizia, privatizzazioni, riduzione delle barriere all’entrata, riforma fiscale, rimozione di specifici sussidi alle industrie e indipendenza della banca centrale.
Solide teorie economiche spiegano perché le riforme potrebbero essere importanti per migliorare i risultati economici, ma l’esperienza di molti paesi in via di sviluppo che le hanno introdotte negli ultimi venti anni dimostra che i benefici anticipati da chi le proponeva spesso non si sono materializzati.

PERCHÉ LE RIFORME NON FUNZIONANO?

Perché riforme di buon senso portano a pessimi risultati economici? Si possono senza dubbio ipotizzare spiegazioni legate alla teoria del second best. Ma non è ragionevole immaginare che la rimozione di altissime barriere all’entrata o di sussidi all’industria forieri di corruzione e il metter fine all’iperinflazione possano essere controproducenti. Perché allora i risultati delle riforme del Washington consensus sono stati così scoraggianti?
Per dare una risposta soddisfacente, bisogna chiedersi perché le riforme siano in primo luogo necessarie.
Lo sono a causa delle serie ed endemiche distorsioni politiche presenti in molti paesi in via di sviluppo. In qualche caso, alla base delle politiche distorsive ci sono teorie economiche sbagliate, ma si tratta di eccezioni, non della regola. Ben pochi politici creano barriere insormontabili all’entrata, iperinflazione o enormi deficit di bilancio perché pensano che questo sia un bene per l’economia. Alla radice delle distorsioni ci sono ragioni di funzionamento delle istituzioni.
In molti casi, si adottano cattive politiche a causa dei vincoli politici e degli incentivi distorti che i governanti devono affrontare in molte società con istituzioni deboli, dove il sistema dei controlli e contrappesi è scadente e dove i politici non sono mai chiamati a render conto del loro operato. Tali debolezze istituzionali fanno sì che determinati gruppi clientelari richiedano politiche dannose per la società in generale, ma convenienti da perseguire per i politici, vuoi per accontentare quel gruppo di pressione, vuoi per arricchirsi personalmente.
Il successo e l’efficacia di una riforma politica va giudicato nel contesto dei problemi preesistenti. E allora l’inefficacia di molte riforme di buon senso diventa meno sorprendente. Ben pochi si aspettano che le privatizzazioni o le liberalizzazioni finanziarie o l’indipendenza della banca centrale possano miracolosamente trasformare e far decollare l’economia dello Zimbabwe finché resta al potere Robert Mugabe. O che ciò possa accadere in Sudan finché resta al suo posto il regime genocida e cleptocratico di Omar al-Bashir.

LEZIONI DALL’ANALISI DELLE ISTITUZIONI

I modelli economici che studiano il funzionamento delle istituzioni portano inesorabilmente alla conclusione che l’efficacia delle riforme dovrebbe essere analizzata nel contesto dei problemi di natura politica che danno luogo alle distorsioni iniziali. Se lo facciamo, emergono alcune chiavi di lettura.
Innanzitutto, i gruppi che dalle distorsioni traggono beneficio opporranno una forte resistenza politica alle riforme, spesso ne negheranno i potenziali effetti benefici. In che misura questi gruppi riusciranno a raggiungere i loro obiettivi nonostante le riforme, dipenderà non solo dalla natura della riforma stessa, ma anche dalle istituzioni politiche: se sono deboli e non possono mettere sotto controllo i politici e le loro interazioni con i gruppi politicamente potenti, le riforme saranno minate dalle fondamenta e in generale inefficaci.
Tuttavia, ciò non implica che l’efficacia delle istituzioni si rifletta in modo monotóno sull’efficacia della riforma. Se le istituzioni esercitano un forte controllo sui governanti e sul sistema politico, le distorsioni iniziali saranno limitate, dunque ci sarà anche meno spazio per i miglioramenti indotti dalle riforme.
Perciò, la relazione tra efficacia dell’intervento di policy e istituzioni politiche non è monotóna. Una riforma è più efficace quando le istituzioni sono sufficientemente deboli da produrre importanti distorsioni, ma non così deboli da rendere vano qualsiasi tentativo di rinnovamento.
Più sorprendente è la reazione all’efficacia delle riforme in specifici segmenti della politica. I politici di tutto il mondo hanno molteplici strumenti non solo per manovrare l’economia, ma anche per favorire alcuni gruppi. Questo porta a un possibile effetto altalena: la riforma di un settore delle istituzioni in un contesto di forti e largamente immutate domande politiche può portare a un utilizzo ancora più intenso di altri strumenti di distorsione, per soddisfare quegli stessi gruppi politicamente potenti. Per esempio, se i politici non possono utilizzare la politica monetaria o i prestiti a basso tasso della banca centrale per favorire interessi economici o regionali, possono però utilizzare i trasferimenti di bilancio.

IL CASO DELL’INDIPENENZA DELLA BANCA CENTRALE

Le riforme della banca centrale sono un caso interessante per studiare queste idee. L’indipendenza della banca centrale è stata introdotta in molti paesi, con un obiettivo ben chiaro e facile da misurare: battere l’inflazione.
Un’analisi empirica dell’effetto delle riforme che hanno portato all’indipendenza delle banche centrali mostra che tendono a ridurre l’inflazione, ma questo effetto è scarso o del tutto assente nei paesi con istituzioni politiche forti oppure deboli. (1) Viceversa, l’effetto sull’inflazione è più forte nei paesi con istituzioni di forza intermedia.
Il risultato si conferma anche con misure diverse dell’indipendenza della banca centrale e delle istituzioni politiche ed è robusto all’inclusione di diverse variabili di controllo, coerentemente con le nostre aspettative sull’esistenza di importanti interazioni tra le istituzioni politiche e l’efficacia delle riforme.

L’EFFETTO ALTALENA

Esiste però anche una più interessante evidenza coerente con l’effetto altalena. Nei paesi dove l’indipendenza della banca centrale si è associata a una riduzione dell’inflazione, si registra anche un incremento della spesa pubblica. Uno schema ben illustrato dalla recente storia economica di Colombia e Argentina. In entrambi i paesi il riconoscimento dell’indipendenza della banca centrale nel 1991 è stato seguito da un significativo calo dell’inflazione e da un incremento della spesa pubblica in percentuale sul Pil.
La teoria economica delle istituzioni politiche suggerisce che le riforme possono essere efficaci solo se attuate in un contesto politico “giusto”. Se il contesto prevede vincoli e meccanismi di responsabilità politica che producono una forte tendenza ad adottare buone politiche, le riforme non avranno un grande effetto. Se d’altra parte il contesto è negativo, con politiche e politici ben poco rappresentativi, è probabile che le riforme siano del tutto irrilevanti perché possono essere efficacemente minate dall’interno. È nelle situazioni intermedie che le riforme avranno qualche effetto: i vincoli sono sufficientemente deboli da generare cattive politiche, ma non così deboli da vanificare tutto il processo di riforma. Ma anche quando le riforme sono efficaci sotto un determinato profilo, si possono tuttavia creare distorsioni che le compensano, attraverso l’effetto altalena. (…)
La lezione più importante da trarre da questa prospettiva di analisi è che contrariamente a quanto sostengono i critici del Washington consensus, le riforme non sono fallite a causa di ragioni di second best o perché non erano i rimedi giusti per i mali delle economie in via di sviluppo. Molto più probabilmente sono fallite perché sono state attuate nello stesso contesto politico che ha indotto le distorsioni iniziali. Queste circostanze politiche hanno minato le riforme direttamente oppure indirettamente, come nell’effetto altalena, attraverso l’utilizzo di strumenti alternativi di distorsione.

PER SAPERNE DI PIÙ

Acemoglu, Daron, Simon Johnson, Pablo Querubin e James A. Robinson (2008). “When Does Policy Reform Work? The Case of Central Bank Independence”, National Bureau of Economic Research, Working Paper No. 14003.

(1) Istituzioni misurate come una media dei vincoli a cui sono sottoposti gli esecutivi presenti nei dati Polity IV per il periodo 1975-2005.

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  1. Luigi Mancini

    In molti casi, si adottano cattive politiche a causa dei vincoli politici e degli incentivi distorti che i governanti devono affrontare in molte società con istituzioni deboli, dove il sistema dei controlli e contrappesi è scadente e dove i politici non sono mai chiamati a render conto del loro operato. Tali debolezze istituzionali fanno sì che determinati gruppi clientelari richiedano politiche dannose per la società in generale, ma convenienti da perseguire per i politici, vuoi per accontentare quel gruppo di pressione, vuoi per arricchirsi personalmente." Perché leggendo queste parole mi è balzata in mente la parola "Italia"? Penso che sia una teoria corretta. Abbiamo 40 anni di storia in questo senso a dimostrarla.

  2. giovanni stinco

    L’articolo è generalista, di quale paese stiamo parlando? E’ possibile fare comparazioni tra i paesi africani, tutti così diversi nella loro specificità? Si inizia col dire che le "solide teorie economiche" del Washington consensus, applicate ai paesi africani, hanno fallito l’obiettivo. Si continua poi dicendo che tutte le pratiche economiche che vanno contro queste solide teorie non sono ragionevoli. Insomma secondo gli autori se la teoria economica è smentita dalla pratica non sarà il caso di ritornare sulla teoria. Sarà invece ben il caso di vedere dove i praticanti sbagliano. Già qui non ci siamo. Si dice che le teorie del Washington consensus sono ragionevoli e di buon senso. Si dimentica che il buon senso cambia da paese a paese e che il buon senso di un economista che siede davanti alla sua bella scrivania non sarà mai lo stesso di un africano che vive coltivando cotone. Risulta evidente come la teoria economica sia ancora saldamente ancora ad un positivismo ottocentesco ed ad un etnocentrismo francamente imbarazzante.

  3. Armando Pasquali

    Come è già stato fatto notare, se la teoria prevede che da A segue B, le teoria è confermata. Se invece da A segue C, la teoria viene confermata lo stesso. In "The elusive quest for growth" Easterly affermava che i paesi sotto tutela della Banca Mondiale e del Fondo Monetario in realtà non adottavano le prescrizioni del Washington Consensus, ed è per questo che andavano male. A differenza dell’Argentina, invece, che le aveva adottate in toto e andava a gonfie vele… Comunque le politiche del Washington Consensus andrebbero studiate per ciascun paese, e valutando gli effetti nello specifico dei vari settori; ad esempio, l’idea di togliere i sussidi agli agricoltori per l’acquisto di fertilizzanti è stata particolarmente brillante: pochi hanno fatto così tanto (male) per così tanti. Quando il Malawi ha reintrodotto i sussidi ha avuto un boom nella produzione. (Un boom che ha prodotto tantissimi mal di pancia, perché i sussidi, si sa, distorcono i prezzi. Visitare il blog di de Long per credere…)

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