Lavoce.info

DIAMO UNA REGOLAZIONE ALL’ACQUA

Il settore idrico è il prototipo del monopolio naturale. La componente infrastrutturale domina su quella operativa e quasi tutti i costi sono irrecuperabili per lunghissimo tempo. Tuttavia, il mercato può dare un contributo che sarà tanto migliore quanto più efficace e coerente sarà il sistema di regolazione. Non basta dunque affidarsi a gare e contratti, è necessario prevedere anche strumenti che siano in grado di disciplinare e rendere trasparente la rinegoziazione arbitrandola super-partes, riducendo sia il rischio di cattura del regolatore sia quello di connivenza.

Chissà perché quando si parla di acqua la discussione si avvia facilmente verso i massimi sistemi. Si tratti dei tabù contro la privatizzazione e la mercificazione o all’opposto del mito della liberalizzazione come soluzione universale, tutti sparano le loro bordate evitando accuratamente di confrontarsi con le specificità del settore. Ora che il tema delle gare è ritornato per l’ennesima volta di moda, non sarebbe invece male una riflessione propedeutica per valutare le opzioni in gioco.

PROTOTIPO DEL MONOPOLIO NATURALE

Il settore idrico è il prototipo del monopolio naturale e le sue caratteristiche ostacolano tutti i meccanismi sperimentati con maggiore o minore successo nelle altre utilities, dal common carriage alle gare. (1)
La componente infrastrutturale domina su quella operativa e quasi tutti i costi sono irrecuperabili per lunghissimi periodi. Con cicli di investimento addirittura secolari, qualsiasi contratto che richieda al privato di provvedervi sarà un contratto incompleto, soggetto al tipico rischio di hold-up.
Il bisogno di privato, o quanto meno di una mentalità privatistica, tuttavia, c’è. Non è dovuto tanto all’inefficienza del pubblico, quanto alla sua inadeguatezza a gestire un moderno servizio industriale e accedere al mercato dei capitali. Il mercato può dare un contributo tanto migliore, quanto più efficace e coerente sarà il sistema di regolazione. In compenso, però, il rischio regolatorio è una delle principali componenti del rischio economico, e dunque va reso conoscibile e prevedibile. Infatti, si può stimare che un aumento dell’1 per cento della remunerazione del capitale investito equivale a circa il 10 per cento di riduzione dei costi operativi: come dire che l’efficienza che entra dalla porta sotto forma di minori costi di gestione, può facilmente uscire dalla finestra sotto forma di maggiore costo del capitale.

TRE MODELLI DALL’ESTERO

L’esperienza internazionale ci mostra che le strade percorribili per introdurre qualche stimolo pro-concorrenziale sono fondamentalmente tre. Il modello inglese prevede di costituire monopoli integrati e responsabili anche di investire, senza fare gare che a questo livello di complessità risulterebbero poco praticabili, e un efficace sistema di incentive regulation. Il modello francese  affida con gara la sola gestione, ricorrendo a meccanismi di compartecipazione o di affitto delle reti realizzate e finanziate dal pubblico. La terza via del Centro-Nord-Europa e degli Stati Uniti  mantiene una gestione pubblica, ma dandole un’organizzazione aziendale, introducendo eventualmente sistemi di governance partecipata e comunque ricorrendo al mercato attraverso partenariati per specifiche iniziative, come la gestione di un depuratore, un intervento di ristrutturazione di una parte della rete, l’outsourcing di specifici servizi come le analisi di laboratorio e la bollette.
Un’ampia letteratura empirica ci mostra che la vera differenza non la fa tanto la proprietà pubblica o privata dell’impresa, quanto le modalità di regolazione e di allocazione del rischio economico; e che forse ancor più che la concorrenza tra imprese conta la concorrenza tra modelli, ossia la minaccia credibile di privatizzare le gestioni pubbliche e ri-pubblicizzare le gestioni affidate a privati. Nessuno nel mondo occidentale abbina la gara alla gestione integrata. O si affida la gestione integrata, ma senza gara, oppure si affidano le decisioni di investimento al pubblico, riservando la gara per operazioni più specifiche. Il modello della concessione integrata con investimenti a carico del gestore è stato a lungo promosso dalla Banca Mondiale nei paesi in via di sviluppo, incontrando soprattutto insuccessi, dovuti proprio al rischio eccessivo che il privato avrebbe dovuto assumere e alla conseguente crescita inaccettabile delle tariffe. Dove gli affidamenti funzionano, il contratto viene rinegoziato frequentemente – vanificando dunque l’esito della gara, poiché chi fa le offerte sa che sono più importanti le regole con cui si rinegozia rispetto al contenuto dell’offerta. Le società miste, che molti sdegnano in Italia vedendovi la manomorta della politica, si diffondono in tutto il mondo, anche sotto gli auspici delle istituzioni internazionali, che le promuovono soprattutto in vista della più flessibile allocazione dei rischi.

IL SISTEMA ITALIANO

In Italia, la legge 36/94 ha disegnato un modello che attribuisce al gestore la responsabilità di investire, a partire da uno schema di regolazione fixed-price, in cui cioè la dinamica delle tariffe è predeterminata in sede di affidamento secondo le previsioni del piano redatto dagli enti locali. È ben vero che il contratto può essere rinegoziato, ma la legge non precisa in quali circostanze o cosa succede se le controparti non sono d’accordo sul se e come farlo. Così chi partecipa alla gara non sa se la controparte sarà benevola e pronta a ridiscutere, oppure rigida e inflessibile nel pretendere il rispetto del contratto.
Per come la legge 36 lo ha disegnato, il settore, dunque, si presta poco alla gestione delegata regolata per contratto. Per bene che vada, la gara sarà giocoforza un beauty contest, in cui l’offerta economica conterà poco, visto che verrà comunque rinegoziata presto. (2) E allora è facile prevedere quali saranno i fattori davvero critici nell’orientare l’esito. La storia di Tangentopoli non ha proprio insegnato nulla? Del resto, anche in Francia – dove la legge Sapin del 1993 ha vietato gli affidamenti “intuitu personae” al fine di arginare l’ondata di scandali per corruzione – è successo esattamente questo. I gestori incumbent sono stati riconfermati nell’88 per cento delle gare. Spesso la riduzione delle tariffe offerta in sede di gara è stata consistente (perfino il 40 per cento in qualche caso), ma ci si è rifatti quasi subito con la richiesta di revisione. Mentre i comuni che non hanno voluto accettare la revisione hanno più spesso optato per il ritorno al pubblico – che significa non “società in house”, come da noi, ma proprio régie dirécte.
Un simile passo indietro in Italia sarebbe quanto mai infausto. Ma per scongiurarlo, oltre che a strumenti ex-ante, come gare e contratti, è necessario pensare a strumenti ex-post che siano in grado di disciplinare e rendere trasparente la rinegoziazione arbitrandola super-partes, riducendo sia il rischio di cattura del regolatore, sia quello di connivenza – tanto più presente, quest’ultimo, nel caso delle gestioni dirette, dove concedente e concessionario coincidono. Il primo passo per procedere in questa direzione è dunque quello di prevedere un regolatore autonomo e indipendente, più autorevole e con maggiori poteri dell’attuale comitato di vigilanza.
Non è sciacquandolo nell’acquasantiera della gara che il monopolio acquisisce automaticamente lo spirito santo della concorrenza. Occorre la consapevolezza che di monopolio si tratta, che la sua contendibilità è, nel migliore dei casi, assai limitata. E agire di conseguenza.

(1) Per approfondimenti, rimando al mio recente “L’Acqua: un dono della natura da gestire con intelligenza” – Farsi un’Idea, il Mulino, Bologna. O, per una trattazione più tecnica, all’ampia sintesi della letteratura in materia contenuta nel mio “Liberalization and private sector involvement in water and sanitation services: a review of the economic literature”
(2) Un “beauty contest” è una gara il cui esito dipende da giudizi discrezionali del valutatore (per esempio, la bontà di un progetto, la reputazione dell’offerente) e non da criteri oggettivi (come il prezzo). Come, appunto, avviene nei concorsi di bellezza.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Un Ponte che impoverisce l’Italia
Leggi anche:  Trasporti locali: l'autonomia differenziata può renderli più efficienti?

Precedente

DELL’ARABA FENICE E DI ALTRI OGGETTI IMMAGINARI

Successivo

NON DIMENTICHIAMO CALCIOPOLI

13 commenti

  1. gio

    Io auspico che il controllo dei servizi idrici rimanga una prerogativa delle amministrazioni locali e che non sia affidato un bene di sussistenza nelle mani esclusive di imprese private che potrebbero, perseguendo una logica di massimizzazione degli utili, arrivare a far pagare l’acqua oro. Ne è un esempio il caso della società Acqualatina, società con capitale misto, di cui una buona fetta è detenuta da una società francese, che senza alcun razionale motivo che non fosse quello del puro lucro, ha gonfiato in maniera indiscriminata le bollette dell’ acqua degli utenti.

  2. giovanni ascione

    Privatizzare l’acqua…e per carità, non al ritorno alla mano pubblica! Creiamo un’autority indipendente come quella dell’energia e del gas, delle telecomunicazioni e infiliamoci dentro i soliti volti noti dei galoppini dei politici..capaci, tali autority, di difendere a mano bassa i diritti delle corporation (vedi il caso dei misuratori di gas). L’idea che il mercato "regoli" anche la distribuzione e l’erogazione dell’acqua è una idea nefasta. In un periodi di crisi come questa (crisi del credito, bolla immobiliare incipiente, aumento dei costi della produzione,ecc,ecc.) dare il "compito" alle solite facce note (della GRANDE FINANZA italiana) di risolvere il problema della "non efficienza" del sistema pubblico è la solita, identica e medesima litania per creare consenso intorno all’operazione. (il vostro è un ragionamento del tipo: i matrimoni falliscono..allora aboliamoli!). Il controllo dell’acqua da parte del privato, voi lo sapete, genererà malcontenti, aumento dei prezzi e diminuzione dell’efficienza (vedi il caso della privatizzazione dell’acqua a Formia).

  3. alessandro morini

    L’intervento cattura-e non poteva essere diversamente – un numero troppo elevato di temi. Anzitutto tiene in limitato conto che il quadro regolatorio – oggi contenuto nel codice dell’ambiente che in parte innova la Legge Galli – prevede una rindondante segmentazione delle competenze amministrative che potrebbe funzionaresoltanto ove l’AP fosse un sistema perfetto. L’esperienza diretta nel settoreillumina la circostanza che il primo ostacolo alla "industrializzazione" del servizio – che prescinde dalla natura pubblica o privata del gestore – è costituito dalle amministrazioni locali. Tale situazione si rileva a due livelli sia nella fase di affidamento del servizio – nella quale nessun comune intende cessare l’influenza che esercita sul proprio gestore – sia nella fase successiva – intevenendo sulla tariffa ed impedendo un corretto assetto finanziario -. Inoltre, salve alcune regioni, non esiste un quadro legislativo attendibile della responsabilità ambientale del gestore fino a che all’adeguamento della rete idrica e di depurazione (sopratutto) agli standard normativi sulla base delle prevsioni pluriennali del piano d’ambito.

  4. Giuseppe Marsico

    Credo di poter affrmare senza ombra di dubbio che l’acqua sia un bene comune inviolabile, detto questo credo anche che essendo un bene comune vada salvaguardata da speculazioni di ogni tipo. Pertanto anzichè pormi il problema di privatizzarla, avenso dell’acqua una visione economica mi porrei il problema di utilizzarla al meglio e mi spiego: dotare tutte le erogazioni di controllo automatico dei consumi, è inutile per lavarsi i denti sprecare 20 litri d’acqua…, accumulare l’acqua piovana per usi possibili, irrigazione giardini e scarichi idrici di acue nere ecc. Tutte queste cose possono secondo me essere fatte meglio da una buona gestione pubblica che non ha come obiettivo il profitto ma l’efficienza, diversamente il privato che giustamente ha a cuore il profitto tenderà ad un consumo massiccio di questo bene che se anche diverrà scarso aumenterà a dismisura nel prezzo ( questo sta già accadendo per il greggio… e ne stiamo pagando tutti le conseguenze..). Dobbiamo affrontare questo aspetto da un punto di vista legato all’uso razionale di questo bene e non pensare solo che il privato in quanto tale sappia risolvere il problema.

  5. bellavita

    Perché di questo passo si può dire che bisogna introdurli anche nella gestione della polizia e della magistratura… Non basta sancire l’obbligo di un approfondito dibattito biennale nell’organo conunale e sovracomunale di competenza? Abbiamo orde di consiglieri comunali, provinciali e regionale pagati in modo eccessivo per non gestire alcun potere, ma solo una facoltà di indirizzo, situazione frustrante per degli eletti (per davvero, non nominati dai partiti come i parlamentari) che costituiscono il primo livello del nostro sistema democratico, e anche quello che deve rispondere personalmente all’elettorato. Provare a utilizzarli potrebbe essere un bene per il nostro ingessato sistema politico.

  6. Andrea

    La regolazione dell’acqua proposta da Massarutto fa leva sui meccanismi di mercato. Vorrei ricordare come il mercato sia solo uno dei modi di allocazione delle risorse (non l’unico). Anche se si ipotizzasse l’efficienza del mercato (le esperienze di privatizzazione dell’acqua in Italia dimostrano però il contrario) come si può accettare la disugualianza di distribuzione di un bene primario, di un diritto essenziale per la dignità umana? Allora perché non far alloccare al mercato anche le risorse civili, politiche e sociali? Il voto, ad esempio… Riconosco l’intento provocatorio di quest’ultima affermazione, anche se segnalo che autori come Wittfogel riconoscono la concatenazione tra il controllo dei bisogni primari (come l’acqua) e la (non)usufruibilità dei diritti civili,politici e sociali. Penso che quando Massarutto parla nella premessa di argomentazioni che parlano di massimi sistemi, si riferisce a tesi come questa da me ora esposta. Chiedo però, se si salta una premessa così importante (l’acqua come diritto!), come si fa ad arrivare a conclusioni corrette nel ragionamento?

  7. Carlo

    Non facciamo la fine della Bolivia, per favore, dove l’unico risultato della privatizzazione fu un aumento vertiginoso dei prezzi, che porto’ ad una rivolta per le strade con morti e feriti. I modelli economici neoliberisti come spiegano tutto cio’? Le privatizzazioni non dovrebbero essere un toccasana per tutti i consumatori?

  8. DE SANTIS UMBERTO

    Nella definizione del concetto di liberalizzazione del mercato, ahimé, non è stato scritto che si può liberalizzare soltanto la produzione e il commercio di un bene che il consumatore può scegliere di non acquistare. P.E. se non voglio comprare benzina, posso andare a piedi, in bicicletta,in autobus; non sono obbligato a viaggiare in automobile. E’ così evidente che l’acqua non è un bene che sia possibile trasferire in commercio all’imprenditoria privata. Tutti i discorsi di bene inalienabile, componente infrastrutturale, ecc. ecc. portati dalle opposte opinioni sul tema sono inutili e devianti. Il bene deve essere rigorosamente pubblico in mano all’operatore locale, direttamente sottoposto alla verifica del cittadino in un rapporto diretto col Sindaco, dal momento che è il cittadino sul territorio che ne gode vantaggi e svantaggi. La definizione tecnica dell’Azienda dell’Acqua la lascio decidere a tecnici più esperti di me in cose amministrative.

  9. DE SANTIS UMBERTO

    Noi si chiacchera e il governo, invece …. La legge 6 agosto 2008, n. 133 all’articolo 23 bis "servizi pubblici locali di rilevanza economica" afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell’economia capitalistica, cito integralmente "al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili." Intanto noi andavamo in vacanza.

  10. DE SANTIS UMBERTO

    Per immediata conseguenza dell’approvazione della legge, ACQUALATINA (gruppo francese VEOLIA) ha acquisito definitivamente il diritto di vessare la popolazione di Aprilia con le tariffe aumentate dal 2005 del 300%, come ben documentato non solo nel Web ma anche dall’inchiesta giornalistica di REPORT.

  11. DAVIDE

    Questione annosa quella dell’acqua, vuoi per l’eccessiva politicizzazione del problema, vuoi per l’indubbia rilevanza che questa risorsa ha, ma sopratutto avrà nei prossimi anni. Il mercato dell’acqua è il simbolo del monopolio naturale in cui si produce in modo efficiente e a minori costi possibili se a farlo è un solo soggetto imprenditoriale (pubblico o privato). Sono d’accordo con chi ritiene che l’acqua non sia un bene e pertanto non può essere soggetto alle normali leggi del mercato, ma il problema che si dovrebbe inquadrare a mio avviso è quello dell’ efficenza che manca sia nella gestione pubblica che privata.

  12. Marco Tesei

    A mio parere il problema dell’acqua è soltanto uno dei tanti problemi che l’Italia si ritrova per via della poca affermazione delle associazioni per la tutela dei consumatori. Sono in Spagna per un progetto di internazionalizzazione da 2 mesi, e penso al nostro "bel paese". L’altro giorno parlavo con un ragazzo spagnolo che è partito per la Tunisia contrattando un hotel 4 stelle, arriva li e l’hotel di stelle ne aveva la metà, era in pessime condizioni. Per farla breve dopo 15 giorni dal suo rientro gli hanno riaccreditato il 50% del costo dopo che un associazione di consumatori abbia certificato l’accaduto! Noi saremmo andati da "Mi manda RaiTre?" Dovrebbero lavorare per una vera e forte tutela del consumatore! Peccato che ci rimetterebbero per primi alcuni esponenti politici!

  13. Guido Giuliani

    Ho citato questo post in un mio intervento sul magazine iMille.org.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén