I consumatori italiani si preoccupano molto dell’inflazione. Invece nei prossimi mesi il pericolo da cui l’Italia e l’economia mondiale in generale dovranno guardarsi potrebbe essere la riduzione generalizzata dei prezzi. I venti deflazionistici soffiano sulla scia del rallentamento indotto dalle restrizioni del credito seguite alla crisi dei mutui che pian piano si sta trasmettendo a tutta l’economia americana prima e poi all’Europa. Ma di deflazioni non se ne sono più viste dopo gli anni Trenta. Ed è particolarmente difficile combattere un fenomeno che non si conosce.
I prezzi sono oggi alti come non mai e la gente si mette al riparo contro i rincari. Ma tra qualche mese le cose potrebbero essere molto diverse. Potrebbe essere la deflazione, la riduzione generalizzata dei prezzi, il pericolo da cui lItalia, ma soprattutto leconomia mondiale, potrebbe dover guardarsi. E dovrà farlo in particolare perché di deflazioni non se ne sono mai viste dopo gli anni Trenta: è quindi particolarmente difficile combattere un fenomeno che non si conosce.
INFLAZIONE FINO A OGGI
Voli aerei: +41 per cento. Pasta: +26 per cento. Gasolio: +24 per cento. Pane +12 per cento. Ecco i rincari più elevati registrati in Italia nellagosto 2008 rispetto allo stesso mese del 2007. Per fortuna, nello stesso periodo di tempo, i prezzi delle comunicazioni, che hanno un peso ormai elevato nella spesa degli italiani, sono scesi del 4 per cento e quelli dei servizi sanitari sono rimasti fermi. Facendo la media di tutti prodotti acquistati dagli italiani, viene fuori un tasso di inflazione dei prezzi al consumo pari al 4,1 per cento, uguale a quello registrato nel luglio 2008. Contro questi numeri, i consumatori scendono in piazza per dire no al carovita e chiedono al governo il blocco di prezzi e tariffe fino al giugno 2009 e sanzioni per scuole e insegnanti che non rispettino i tetti di spesa ministeriali per i libri di testo. Contro il carovita, nel cortile del consorzio agrario di via Ripamonti a Milano, decolla il Farmer market che rimarrà aperto tutti i mercoledì fino a Natale. Lunghe file di macchine per accedere al parcheggio e code alle macchine distributrici di latte fresco un litro, un euro e alle bancarelle.
Tutto ciò, linflazione, le code, le richieste di mettere tetti agli aumenti dei prezzi, tra pochi mesi, potrebbe però essere solo un ricordo del passato.
LA DEFLAZIONE
Già a partire da luglio, infatti, su molti mercati è il vento della riduzione dei prezzi, della deflazione, a soffiare, non quello dellinflazione. Quella che osserviamo nei dati di oggi è una combinazione tra le tendenze del passato (gli aumenti dei prezzi fino a luglio) e la loro discesa da luglio a oggi. Il prezzo della benzina verde è, infatti, calato del 4 per cento in agosto rispetto a un mese prima. Se però guardiamo al suo aumento su base annua (agosto 2008 su agosto 2007) troviamo un +10 per cento. Ed è questo +10 che fa scendere in piazza i consumatori. Lo stesso per il gasolio: il +24 per cento su base annua agosto su agosto incorpora già la riduzione del prezzo del gasolio del 5 per cento dellagosto 2008 rispetto al luglio 2008. Lo stesso vale per praticamente tutte le altre materie prime i cui mercati hanno fatto il giro di boa e hanno cominciato a mostrare andamenti decrescenti.
La riduzione dei prezzi degli alimentari si associa a quella dei valori azionari e del mercato immobiliare, che sono cominciate molto prima e che sono però pienamente in atto in questi giorni in cui un giorno fallisce una banca con un giro daffari di centinaia di miliardi di dollari come Lehman Brothers e un altro giorno viene salvata dalla Fed, con uniniezione di 85 miliardi di dollari, una società di assicurazione gigante come Aig (American International Group) di cui il cittadino medio non aveva mai sentito parlare.
I venti deflazionistici sono stati portati dal rallentamento indotto nelleconomia mondiale dalle restrizioni del credito dovute alla crisi dei mutui, che pian piano si sta trasmettendo al resto delleconomia americana prima e poi allEuropa.
PERCHÉ SAREBBE UNA BRUTTA BESTIA
Se si va su Wikipedia si trova la definizione di deflazione: il processo di riduzione generalizzata del livello generale dei prezzi. Ma la verità è che nessuno sa esattamente cosa voglia dire la parola deflazione. Chi li ha mai visti scendere i prezzi di tanti mercati tutti insieme? Nessuno che non sia nato negli anni Venti e che quindi possa ricordare i tempi della Grande Depressione, la quale peraltro si manifestò più fortemente in America e in Inghilterra che in Italia. Nel secondo dopoguerra, a fianco di qualche prezzo che scendeva (come quello dei computer o dei semiconduttori negli ultimi venticinque anni) ce ne sono stati sempre tanti altri che salivano in modo da produrre un perenne aumento del livello generale dei prezzi.
Ma le cose cambiano o almeno potrebbero essere cambiate. E, infatti, Mario Draghi, il governatore della Banca dItalia, in questi giorni non ha parlato del pane e della pasta. Ha invece detto preoccupato: Attenti alla deflazione. Di per sé, in realtà, con i livelli dei prezzi della pasta, del pane e del latte di oggi, verrebbe da dire che un po di deflazione farebbe solo bene. Anzi, certamente ci lamentiamo che le riduzioni del prezzo del petrolio si trasferiscano troppo lentamente sul prezzo della benzina. Di deflazione ne vorremmo vedere di più. Ma la deflazione non è la riduzione del prezzo del pane e della pasta: è la riduzione di tutti i prezzi, compreso quello del lavoro, per esempio. In una situazione in cui i produttori vedono scendere i prezzi di vendita dei loro beni, per rimanere competitivi, hanno bisogno che scenda il livello dei salari, come dicono gli economisti, in termini nominali, cioè che uno stipendio che ieri era di 1.000 euro scenda a 980 euro. Non basta che rimanga fermo a 1.000. A tutto ciò il nostro sistema di relazioni industriali e, si potrebbe dire, la nostra società non è minimamente preparato.
Fanno bene in questi giorni i governatori delle banche centrali a tentare di opporsi ai venti deflazionistici salvando qui e là le istituzioni bancarie il cui fallimento metterebbe nei guai troppi consumatori e risparmiatori ignari e incolpevoli. Perché, come insegna la storia delleconomia giapponese, in stagnazione e deflazione da quindici anni a questa parte, quando entri nella sua trappola , uscirne non è tanto facile.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
proxy
La deflazione fa paura perché non si conosce? A noi fa più paura l’inflazione che conosciamo benissimo, visto che le retribuzioni sono molto rigide rispetto ai prezzi, che comunque salgono ogni anno. E se è così, è meglio la deflazione. I lavoratori a reddito fisso ci guadagnerebbero. E in Italia sono la maggioranza. Consiglio: recuperare on line uno scritto di scuola austriaca intitolato 11 miti sulla deflazione.
Goffredo
Storicamente però i paesi debitori netti (La Germania della Repubblica Weimar, Argentina, Russia gli esempi più clamorosi) sperimentano, riguardo ai prezzi, recessioni di tipo inflazionistico. Inversamente, i paesi creditori netti (Giappone anni 90 ma anche, almeno inizialmente, gli Stati Uniti nel ’29) sperimentano recessioni di tipo deflazionistico. Perchè?
Francesco Scacciati
Innanzitutto unosservazione specifica. Negli ultimi 15 anni le retribuzioni al lavoro dipendente sono rimaste invariate in termini reali, mentre, sempre in termini reali cè stata una crescita del 20%. Dove sono finiti questi soldi veri? A rendite e profitti: dunque se in un prossimo futuro produttori e rentiers dovessero guadagnare un po meno, pazienza. Poi unosservazione di carattere generale. Non ci avevano appena spiegato che la globalizzazione apriva meravigliosi scenari per lumanità intera, che i mercati tutto aggiustano ed equilibrano e che il liberismo era la chiave di efficienza, sviluppo e felicità (ed è pure di sinistra, tanto per non farsi mancare nulla)? E un dono, quello di spiegare sempre tutto agli altri, e poi il contrario di tutto, non appena risulta evidente che il tutto che si era spiegato prima è tutto sbagliato.
Giorgio
Se il Giappone è in stagnazione – deflazione da 15 anni allora il fenomeno non è così sconosciuto. Dr. Daveri, non sono un esperto di economia e in particolare di Giappone e quindi le chiedo: Cosa è successo in Giappone? Come hanno reagito mercati, governi, aziende, sindacati? E l’adamento degli stipendi? L’inflazione negli ultimi 10 anni ha creato in Italia e in europa una maggiore povertà diffusa. In Giappone la deflazione cosa ha creato? E’ possibile una decrescita felice?
mirco
Vorrei sottolineare una cosa. Al tempo dell’introduzione dell’euro con prezzi alla produzione invariati e cambiati in euro rigorosamente a 1936,27 lire dai produttori i commercianti agirono furbescamente erodendo il potere di acquisto dei consumatori aumentando i prezzi. Oggi, con i consumatori privi di risparmi e attenti ai consumi, e con prezzi alla produzione in forte aumento a causa dell’aumentato costo delle materie prime( petrolio innanzitutto), i commercianti se vogliono continuare a vendere dovranno ridurre i prezzi, senza avere margini( dovranno ridurre i loro profitti). Morale: il commerciante che è stato onesto e virtuoso fin dal 2002 al momento del cambio dell’euro sopravviverà, che non lo è stato e magari ha speculato ( speriamo anche che si sia mangiato tutto in borsa e abbia speculato in immobili e sia rimasto con un pugno di mosche), soffrirà.Spero tanto che ciò che è avvenuto con le banche cattive non aiutate e fatte fallire avvenga anche singolarmente per ogni commerciante con la restrizione del credito in atto con banche molto attente e moralizzatrici al momento della concessione di crediti.. Quindi benventuta deflazione!
Giuseppe Marsico
Oggi non mi trovo d’accordo con l’autore, non credo che in caso di deflazione debbano diminuire anche i salari che, per l’italiano medio a reddito fisso non sono aumentati secondo l’aumento di prezzi…, semmai, dovranno diminuire i salari di chi percepisce emolumenti sproporzionati… Si dovrà invece agire sulla fliera dal produttore al consumatore affinchè ad ogni passaggio venga diminuita leggermente la percentuale di guadagno senza far si che avvenga il tracollo per nessuno e suvvia chi in questi anni ha straguadagnato e forse ora che contribuisca pensando che qualsiasi attività ha anni ottimi ( cosa avvenuta dal 1999 al 2005) ed anni in cui può andare meno bene, ricordando che anche e sopratutto la classe imprenditoriale, bancaria assicurativa e cc. deve contribuire a tirarsi su le maniche per garantire un tessuto sociale dignitoso per tutti. Occorre in definitiva abbassare la soglia dei desideri…(Panfili, aerei,ferrari ecc.) ricordandosi di cosa effettivamente vale nella vita, il resto è solo apparenza… a presto
alessandro rigoni
….Occorre tenere in considerazione che gli attori economici sono ancora fortemente organizzati in corporazioni, sia dal lato dell’offerta che della domanda aggregate. Quello che descrive Lei è invece un ambiente ideale – neoclassico, quasi – in cui il prezzo si muove nel lungo termine per mettere in equilibrio i mercati. Secondo il mio punto di vista, invece, il forecasting più verosimile va ricercato nell’area delle soluzioni accettabili dagli attori, per cui (non ci credo ma) se i prezzi rallentano, rallenta anche la crescita del prodotto, mentre – ed è questa la paura più grande – cede l’occupazione, in modo da riportare in crescita la produttività (ferma dal 2000). Di questo fenomeno non ci accorgeremo, perché le statistiche comprendono anche il lavoro precario.
luis
Articolo affascinante perchè la nostra generazione è abituata all’inflazione e all’ iper-consumismo e il concetto di deflazione appare come una condizione positiva . Se il prezzo di un bene scende ne compero due o tre. Anzi, aspetto che scenda il prezzo per comperare. E poiché la propensione al consumo è altissima tutto dovrebbe mettersi in movimento al primo calare dei prezzi, sempre che la situazione finanziaria globale non abbia ancora terribili episodi di immani fallimenti. E poi c’è lo Stato che non si fa scrupoli ad indebitarsi per sostenere redditi e pensioni ed aumentare gli stipendi ai milioni di dipendenti pubblici. Le industrie private ricorreranno agli stranieri e ai precari per tenere bassi i prezzi o produrranno in stati esteri.
antonio gasperi
Anche Keynes (mi pare nei collected papers) traccia una storia dei movimenti secolari dei prezzi come dialettica fra creditori e debitori: in questo senso forse ci sarebbe da attendersi un andamento deflazionistico dei paesi creditori netti come la Cina e non gli Stati Uniti; l’effetto sulla domanda mondiale potrebbe essere di carattere recessivo visti i differenziali fra i tassi di crescita economica (sta rallentando chi cresceva di più).tuttavia seguendo il famoso aforisma dell’economista di Cambridge i governi europei non possono permettersi di temere un’inversione di rotta secolare nei prezzi quando nel breve periodo il tasso di inflazione percepita è ben al di sopra di quel 4 virgola delle statistiche ufficiali! cordialmente Antonio Gasperi
luigi zoppoli
E’ sufficiente lo studio teorico del fenomeno deflazione e lo studio storico dei momenti nei quali la deflazione ha imperversato per suscitare timori se non orrore.
Riportando l’attenzione al paese, l’antiliberismo di comodo che sta prendendo purtroppo piede è un ostacolo concettuale e politico fortissimo all’identificazione di politiche economiche adeguate e l’assenza di provvedimenti anticongiunturali nella manovra finanziaria, sul reddito fisso è già un avvio, uno scivolo verso la deflazione. Lo segnalano i consumi.
Luigi Zoppoli
Gianfranco Borghesi
Che sia la deflazione il pungolo che ci costringerà a produrre di meno e a vivere meglio? Ricordo un sarcastico articolo di G. Ruffolo "Pirlandia" (il paese del PI[r]L) pubblicato una decina di anni fa su "La Repubblica" nel quale si stigmatizzava questo totem del progresso. Nonostante (e forse complici) sofisticati modelli econometrici siamo spettatori e vittime di una crisi finanziaria che sta travolgendo anche l’economia reale: amaro frutto di operazioni finanziarie opache che hanno trasferito su ignari risparmiatori operazioni alchemiche funzionali all’arricchimento di pochi. Meno beni materiali e più senso etico e morale oggi è quello che ci vuole.
Beppe
No, non ho capito. State cercando forse di creare i prodromi per una prossima battaglia "confindustrial-governativa" quale la riduzione dei salari? Se entriamo in deflazione bisogna ridurre i salari? Rispetto all’inflazione vera e al vero aumento del costo della vita salari e stipendi sono cresciuti meno della metà, per cui se comincia la deflazione e si ha una generalizzata riduzione del costo di tutti (e sottolineo tutti) i beni forse si comincerà a ragionare, forse tutti riusciranno a mangiare anche la quarta settimana e forse si potrà cominciare a limitare l’utilizzo del "credito al consumo". [Cosa – questa ultima – che con l’aria che tira – sarebbe decisamente auspicabile per tutte le varie società finanziarie (prima fra tutte proprio la Barclays, che grazie agli interessi altissimi che applica riesce a comprarsi altri giganti in difficoltà).] Ma forse non ho capito io perchè non sono un economista, ma un semplice dipendente di una azienda privata.
stefano facchini
Il riferimento finale dell’autore all’impreparazione del nostro sistema di relazioni industriali e sociali (rigidità del costo del lavoro basato sul sistema del contratto nazionale) è un avvertimento: attenzione, egli dice, se non si fa subito la riforma dei contratti si rischia di non poter far scendere i salari nominali, dopo averli fatti scendere negli ultimi anni in termini reali (cioè di potere d’acquisto a causa dell’inflazione non recuperata), in caso di deflazione generalizzata. Dopo l’eliminazione della scala mobile, unica vera barriera dei salari contro l’inflazione, ora la prossima tappa verso la totale deregulation del mercato del lavoro sarà la riforma contrattuale che è attesa entro la fine dell’anno: ci sono ancora dubbi che essa servirà ad abbassare ulteriormente il costo del lavoro?
Elio PENNISI
A mio parere anche la deflazione puo` essere benefica se giudiziosamente guidata dai governi e dalle autorita` monetarie. Dobbiamo tener presente che scontiamo due tipi di speculazione: – aumenti generati dal passaggio all’Euro; – aumento dei carburanti in parte speculativi. Il costo del lavoro, fortunatamente, non ha subito aumenti significativi quindi un rallentamento pilotato dell’Economia fa solo bene. Sia l’inflazione che la deflazione sono pericolose allo stesso modo, dipende molto dal pilota!
El
Non bisogna essere dei geni per capire cosa succeda. Banche centrali che iniettano quantita enormi di carta per salavare il sistema finanziario generando inflazione, ma potere d’acquisto della maggioranza sempre minore. Diretti verso stagflazione e depressione.
in fieri
E’ invece possibile che le pressioni deflazionistiche siano gia’ presenti dall’inizio della crisi, e che i prezzi energetici siano stati solo una maschera? Le difficolta’ incontrate dalle banche centrali nei meccanismi di trasmissione della politica economica, non sono forse le stesse gia’ incontrate dal Giappone? E se deflazione dev’essere, com’ e’ gia’ stato sottolineato, perche’ gli effetti dovrebbero ricadere sui lavoratori, e in tempi di crescita e’ sempre il lavoro a farne le spese? Se c’e’ qualcosa di preoccupante nella deflazione, sono gli effetti delle aspettative sugli investimenti, ma allora e’ possibile un’azione mirata a questi ultimi e non alla garanzia di profitti? E infine, perche’ la BCE insiste con una politica restrittiva, se le pressioni inflazionistiche sono venute da fattori "piu’ esogeni" come l’energia, mentre quelle deflazionistiche derivano da fattori di piu’ immediata influenza per una banca centrale?
Dario
Non concordo pienamente con le paure dell’autore. Probabilmente egli avrebbe ragione in caso di "severa" deflazione. A mio avviso invece, nel caso di una deflazione graduale e comunque leggera, proprio la rigidità del nostro sistema salariale, garantirebbe una redistribuzione del reddito reale fra i profitti di impresa, che nel breve termine verrebbero compressi, e i salari da lavoro dipendente. Ciò, oltre a compensare i salariati della perdita di potere d’acquisto avvenuta in passato, porterebbe dei probabili benefici anche a livello fiscale danneggiando proprio quei redditi che più facilemnte sfuggono ai controlli fiscali.
Alessandro Figà Talamanca
Se non mi sbaglio nei primi anni trenta il governo italiano decretò una riduzione del 10% degli stipendi degli impiegati statali. La riduzione compensava solo parzialmente la deflazione che si era verificata in Italia a partire dal 1929.
ALEX ONE
Ho apprezzato molto le disserzioni su inflazione/deflazione. La realtà di questo paese, dove molti conoscono i prezzi delle cose (generi alimentari, beni e servizi) ma nessuno ne conosce il valore. La realtà che il reddito netto per unità di tempo: 1 minuto dello stipendio di 2 genitori che guadagnano 1000,00 , non sono sufficienti a coprire il costo di un sms (senza promozioni). Di recente ho visto nella grande distribuzione pomodori "cuore di bue" al prezzo di /kg 3,60, nessuno ha pensato che si deve lavorare 35/40 min. Nel 2001, quando c’era ancora la lira, il prezzo della stessa qualità era di 600 lire (0,30 ), quindi bastavano 2 minuti di lavoro. E’ evidente che il prezzo di questo bene è aumentato del 2000% (20 volte). Così si potrebbe continuare all’infinito. Gran parte dei prodotti agricoli: frutta e verdura viene pagata al produttore dai 30 ai 40 cent. All’infuori di patate e carote: 15/25 cent. Se acquistati in Italia. Per non parlare degli acquisti fatti nei paesi mediterrane. Egitto, Turchia, Tunisia, Marocco. E poi si attribuiscono le colpe dei rincari, alla lunghezza della filiera, agli orari di apertuta dei mercati ortofrutticoli, al costo del trasporto.
Gionata Castaldi
Premetto di non conoscere la situazione giapponese, ma la deflazione è un evento scarsamente auspicabile, per quanto apparentemente appetibile. Cerchiamo di delineare uno scenario ipotetico. La stretta creditizia dovuta alla crisi odierna, non solo porterebbe ad una decrescita dei prezzi ma, a seguito di questi, gli investimenti privati diminuirebbero assieme ad una possibile crescita della disoccupazione(pochi finanziamenti e costi di produzione troppo elevati in direzione dei prezzi). Inoltre, per quanto riguarda gli stipendi fissi e soprattutto il settore pubblico, lo Stato potrebbe decidere, in via del tutto sperimentale, di indicizzare al ribasso gli stipendi dei propri dipendenti, eliminando il possibile effetto benefico sul potere d’acquisto. Permanendo in un siffatto scenario, la BCE dovrebbe immettere nuova liquidità ed i governi nazionali sarebbero costretti ad attuare una politica fiscale espansiva(in parole povere, aumentare la spesa pubblica), con conseguente pericolo per il controllo del debito pubblico. Quello delineato è solo uno scenario ipotetico di deflazione e qualsiasi correzione e/o integrazione, anche da parte del professor Daveri, è ben accetta.
Wil Nonleggerlo
Tra me e me sorrido: tecnicamente è vero, ci si dovrebbe preoccupare per questo oggetto misterioso che è la deflazione. Una formula da testo universitario più che da aspetto concreto con cui confrontarsi. Una piccola provocazione: dovremmo preoccuparci del calo dei prezzi, dopo anni ed anni di aumenti non supportati da un aumento delle retribuzioni, per non parlare dello shock lira/euro … io quasi quasi rischierei, e tra deflazione ed inflazione imperante e continua negli anni, per qualche mese opterei per la prima!
Francesco Ruffo
Rispondo al sig. Marsico e a tutti quelli che qui lodano la deflazione e che vedono in essa un ritorno alla distribuzione equa del reddito nazionale. In questo momento dovete avere più paura della deflazione che della inflazione. Mentre l’inflazione riduce il potere di acquisto, la deflazione riduce i margini di profitto del produttore. Questo, vedendosi ridurre le entrate per via dei prezzi ridotti, fa invece difficoltà a ricontrattare al ribasso i salari dei dipendenti. L’unica soluzione in questo caso rimane quindi l’esubero di quello che in quel momento costa relativamente di più: il lavoratore. La deflazione, a differenza dell’inflazione, agisce direttamente sulla disoccupazione aumentandola e creando ancora più disordine. Dovete quindi temere di più la deflazione che vi fa perdere i posti di lavoro, che invece l’inflazione che riduce soltanto il vostro potere di acquisto. Il caso classico è il 1923-1929, quando paesi come la Francia e la Germania videro i livelli di disoccupazione aumentare drasticamente per colpa della deflazione. Nel caso della Germania, la disoccupazione aumentò al punto da facilitare l’elezione di Hitler.
Tarcisio Bonotto
Per scongiurare la Depressione Economica, le Banche Centrali iniettano capitali nel sistema finanziario, ma non toccano le cause della depressione economica. Secondo P.R. Sarkar ci sono due cause principali delle depressioni economiche – la prima, la concentrazione della ricchezza e in secondo luogo, il blocco nella circolazione della moneta. La concentrazione di ricchezza, e particolarmente la concentrazione del valore della ricchezza, è la causa fondamentale di una depressione economica. La depressione economica non è un fenomeno naturale. Per salvare la società dalla depressione economica, l’approccio del PROUT è aumentare il potere di acquisto aumentando la produzione, ridurre le disparità nel valore nel valore della ricchezza e aumentare la circolazione della moneta; ovvero, tenere il denaro in movimento. L’attenzione dovrebbe essere data ad aumentare il livello della produzione. La differenza tra la precedente depressione economica e la depressione futura sarà che nella precedente c’era bassa inflazione, mentre la depressione futura sarà associata ad alta inflazione. Perciò sarà ancora più pericolosa per lo sviluppo integrato della società umana.
Mario Morino
Concordo con la tesi di Francesco Daveri. Il prezzo del petrolio sta stabilizzandosi, le economie del far est continuano a crescere, la tecnologia migliora e consente ulteriori riduzioni di prezzo. Viceversa, i consumatori sono allarmati dalla precarietà dei loro investimenti (il valore della casa e relativo costo dei mutui, i risparmi investiti in fondi di investimento o in titoli). L’Italia è in recessione, altri paesi europei non stanno tanto meglio. Ma con un concreto rischio di deflazione alle porte, non sarebbe opportuna una drastica riduzione (1 punto) dei tassi da parte della BCE? Ed una conseguente svalutazione dell’euro sul dollaro non darebbe un pò di fiato alle nostre esportazioni?
Luigi Rossi
Il motivo per cui i banchieri temono la deflazione è che questa, al contrario dell’inflazione, sposta la capacità d’acquisto verso il basso. L’inflazione, essendo sequenziale, trasferisce ricchezza a chi è vicino alla fonte della moneta (banca centrale), togliendola a chi ne è lontano. Tipicamente sono vicini alla fonte i banchieri, gli industriali amici dei banchieri ecc. Tipicamente lontano alla fonte di moneta si trova l’operaio medio. E’ come se il denaro caddesse dall’alto. I più alti lo prenderebbero prima e ne prenderebbero di più. La deflazione è il processo contrario. I prezzi calano dal basso, e la rincorsa dei salari, essendo necessariamente in ritardo sposta ricchezza intesa come capacità d’acquisto verso il basso, che significa toglierla a banchieri ed indistriali per darla ai poveracci. E’ come se la ricchezza crescesse dal terreno. Gli altissimi faticherebbero ad accucciarsi e nel frattempo i nanetti ne prenderebbero a piene mani. Visti i casini che sono stati fatti, ci attendiamo una inevitabile purga. E se purga deve essere lo sia per tutti. Quindi speriamo che sia deflazione.
andrea mariotti
Non ho capito molto bene questa cosa della deflazione, se si ha una riduzione dei prezzi generalizzata mettiamo del 5% e una riduzione dei salari nella stessa, il potere di acquisto rimane immutato, no?
marco
La deflazione è un fenomeno che può essere governato: basta tornare a politiche keynesiane! Bisogna capire una volta per tutte che il mercato non riesce ad autoregolarsi: deve essere guidato, e se ci sarà deflazione, già sappiano che il problema è la fiducia degli operatori. Questo è il momento (e bisogna sbrigarsi!) di usare lo sterumento della politica fiscale, per attutire i colpi della mancanza di fiducia: bisogna ricreare uno stato sociale che duri il tempo necessario ad uscire dalla crisi di fiducia, perchè se così non fosse potremmo di nuovo avere gli anni quaranta.
Carlo Minganti
Temo di non essere d’accordo con le conclusioni sugli stipendi di Francesco Daveri. Da anni le piccole aziende manifatturiere sono state obbligate alla riduzione dei prezzi su richiesta dei loro clienti, in genere grandi aziende. Chi esportava ha avuto l’effetto euro. Di conseguenza, non essemdoci più la possibilità di svalutare la lira, c’è stata la svalutazione degli stipendi. Dal produttore al consumatore il ricarico è oggi di almeno 5,5 volte. Purtroppo in Italia abbiamo una catena di distribuzione che paga tutte le non scelte dei governi italiani dal 1946 ad oggi che non hanno minimamente provato a definire una strategia ma hanno provveduto a mettere le pezze dove il sistema faceva più acqua. Basta leggere gli articoli pubblicati su La Voce per rendersene conto. Bisognerebbe ristrutturare tutti i settori, dai trasporti alle relazioni industriali, con una visione del futuro che non c’è. Le altre nazioni europee hanno una struttura in genere più efficiente e risentiranno della crisi molto meno di noi. Errare humanum est, ma sarebbe meglio non perseverare a toccare solo gli stipendi.
Stefano carocci
Salve, non capisco perché un calo dei prezzi danneggi l’economia. Dal mio punto di vista il prolema è che chi aumenta i prezzi ha una libertà (dipendente dal tipo di mercato e concorrenti) in generale elevata perché può decidere l’aumento in qualsiasi momento. I lavoratori dipendenti, invece, devono aspettare la scadenza del contratto o, nel caso di piccole aziende, insistere col proprio datore di lavoro per un aumento. Ciò crea due squilibri: la prima categoria può incrementare le entrate arbitrariamente ("push" for more), mentre la seconda no ("pull" for more). Inoltre i primi nei momenti favorevoli hanno profitti super che raramente o in misura molto modesta vengono distribuiti ai propri dipendenti, mentre i secondi hanno in genere un aumento delle entrate a posteriori (si chiede un aumento per il maggior costo della vita). L’attuale modello ha messo in luce come la scarsa (se non nulla) accuratezza di intere categorie economiche e professionali (che non hanno accantonato parte dei profitti per far fronte a momenti meno rosei) si scarichi sulla società, colpendo i secondi. Non pensa si debba approfittare di questa situazione per irrigidire le norme nei confronti dei primi?
Ebolo
Fuori dubbio che un po’ di deflazione potrebbe portare ad una nuova condizione e smuovere questo clima senza futuro. Sicuramente rimane il problema italiano del debito pubblico che è davvero il problema con il quale dovranno scontrarsi non solo i nostri ipotetici figli, ma sopratuttto i nostri ipotetici nipoti. Inoltre, sono in qualche modo un commerciante, ho venduto per circa 1-2 mesi a rimessa al momento del cambio dell’euro perchè i miei fornitori mi avevano alzato i prezzi del 20-25% senza che io me ne fossi reso conto. Tutti oggi hanno alzato i prezzi, se volevano sopravvivere. Quindi benvenga la deflazione ma non per i motivi che qualcuno enuncia.
gianni
Prof Daveri, forse lei non si è accorto che i livelli salariali non hanno per nulla seguito l’aumento dei prezzi. Troppo semplice ora, se davvero attraversassimo un periodo di vera deflazione, mettere già le mani avanti e prospettare una diminuzione dei salari.
Aldo
Credo che in fondo sia vero quanto affermato. Il problema che potrebbe derivare dall’abbassamento dei prezzi è la diminuizione del lavoro. Con una eventuale perdita di profitto chi detiene le aziende difficilmente rinuncerà al guadagno diminuito, ma tenterà di sfruttare il lavoratore per diminuire la sua eventuale perdita. Uso la parola sfruttare, anche se sembra vetero comunista, perchè la legge che prevede un aumento della forza lavoro in periodi di inflazione in questi anni non ha trovato applicazione, o meglio la forza lavoro è cresciuta, molto lentamente e con contratti che danno la possibilità di "mettere in soggezione" i lavoratori. Concordo sulla teoria, ma visto che una diminuizione dei prezzi ci deve essere, altrimenti dovrebbero aumentare i salari, occorre vigilare bene e mettere dei paletti per evitare i problemi citati nell’articolo.
Silvano
Ho provato a leggere gli "11 miti sulla deflazione" e mi sembrato di rileggere i primi capitoli di "storia del pensiero economico", quando trattava sulle teorie degli autori del primi anni del ‘900. Il mondo che si prospetterebbe, secondo questa teoria, e che lo Stato non dovrebbe assolutamente intervenire nemmeno a favore dei livelli minimi di sussistenza, anzi quest’ultimo caso è considerato come una delle cause principali che portano alla disfunzione e ai disastri. Tuttavia, ricordandosi che le persone non sono semplice "merci", ammette che la gente dovrebbe essere "sfamata" dalle organizzazioni caritatevole, dagli amici e dalla stessa famiglia (quale famiglia Bho!!..)
mario noviello
Lo scenario dipinto dall’autore e` molto neoclassico. Bisogna considerare pero` che il pericolo e` reale. E` vero che i salari sono vischiosi e stentano a rispecchiare il livello d’equilibrio, ma poiche` la produzione aggregata e` stabilita con lungimiranza alla domanda attesa, una contrazione della produzione si riflette in una diminuzione dell’entita` dei redditi distribuiti sotto forma non solo di salari, ma soprattutto di rendite, profitti ed interessi. E poiche` quando cala il profitto un inprenditore non ha piu` interesse a mantenere quel certo livello di occupazione, anche con salari rigidi l’entita` dei redditi da lavoro distribuiti diminuira’. Si consideri poi che se il costo del denaro scende nessuno ha interesse ad investire. In ultimo rileva ai fini della nostra analisi che una grande fetta del lavoro dipendente e` rappresentato da lavoro interinale o comunque atipico, e questi ragazzi che non possono avvalersi dei benefici della contrattazione sono i primi a pagare le conseguenze dei sommovimenti dei mercati e del poco scrupolo dei loro datori di lavoro. Si profila lo spettro di una disoccopazione senza pari.
gasparini fabrizio
Tra breve nessuna diminuzione di prezzi. Le banche centrali stampano denaro per regalarlo ai falliti finanziari. Draghi dichiara che si cerca altro denaro per le banche. Gli unici che hanno quel denaro non virtuale, sono le organizzazioni mafiose e purtroppo i salariati. Quindi prevedo aumento di tutti i prezzi e contenimento dei costi per i salariati, e come già da ora si vede mano un pò più libera per le mafie. Come ciliegina, lavoro assistito per la cupola industriale; Tav, rigassificatori, autostrade, ponte sullo stretto ecc. Tagli all’assistenza sociale, previdenza distratta altrove! E’ in poche parole il comunismo a misura degli amici loro ed anche un poco vostri!
rs
Egregio prof. Daveri, dalle risposte al suo articolo è evidente che non sono tutti esperti cultori di temi macroeconomici, ben vengano le reazioni sanguigne, perlomeno non di solo calcio vivono gli italiani. La maggioranza non sa che cosa è successo in Giappone negli anni ’80? Vero, anche i giapopnesi hanno imparato sulla pelle cosa significa stagflazione e deflazione. Rinviare l’acquisto di un bene in attesa di spuntare un prezzo migliore nel futuro è attraente, fintantochè il cerchio non si chiude sui beni prodotti dall’azienda in cui si lavora…e allora si inizia a capire. La bolla Giapponese aveva in realtà molte analogie con quella odierna degli USA: un sistema finanziario tutt’altro che trasparente, valori stellari degli immobili (a garanzia dei debiti bancari…) e un comandamento: il liberismo valido solo in tempi di vacche grasse, se smagriscono… intervenga la mano pubblica. Una differenza però c’è: il Giappone si ritrovò a lavare i panni sporchi in solitudine, oggi l’amministrazione USA forte del peso internazionale sta chiedendo di fare sacrifici anche al G7, perchè no. In quel caso però tutti gli elettori del G7 dovrebbero poter votare la nuova amministrazione USA.
Filippo Mattoli
E’ vero, la deflazione è un problema poco conosciuto al capitalismo, ma a differenza dell’inflazione che richiede determinate manovre di economia politica e monetaria, la deflazione è generata da una carenza di moneta e di domanda, fenomeni che hanno molte possibilità e molti modi di essere debellati. L’importante sarà per l’Europa cogliere l’occasione di dettare all’America e alle altre principali piazze finanziarie in crisi, leggi e regole concernenti la struttura di un sistema finanziario saldo e previdente su crediti e mercato dei derivati.
Piero Torazza
Una domanda: il Prezzo delle case è incorporato nell’inflazione al consumo Istat? E se sì: quando il prezzo di questi investimenti scenderà, scenderà anche l’inflazione a cui sono agganciate le revisioni delle pensioni e i Contratti Nazionali (sinchè durano)?
Giordano Fabbri
Storicamente i periodi di deflazione hanno avuto due cause: una "buona" legata a forti incrementi di produttività derivanti essenzialmente dall’innovazione tecnologica (seconda metà dell’800) e una "cattiva" legata a fenomeni monetari, ovvero a una riduzione complessiva della massa monetaria (intesa in senso ampio in modo da comprendere molte classi di assets). La deflazione buona è qualcosa che pare consegnato alla storia, in quanto negli ultimi 20 anni la crescita economica è stata accompagnata da un ampliamento ben più che proporzionale della massa monetaria circolante. Ugualmente la deflazione cattiva sembra una chimera, poichè le politiche attualmente implementate dal tesoro americano e dalla FED sono opposte a quelle realizzate dopo il ’29 (all’epoca furono restrittive anzichè ultraespansive!). Inoltre,considerando l’intero globo, l’attuale sopravvalutazione di immobili e titoli azionari semba ben poca cosa rispetto ai livelli di "finta ricchezza" raggiunti in Giappone nel 1989 (dove per pagare un caffè in lire occorreva una banconota da cinquantamila…). Infine,se gli indici CPI si avvicinassero a zero, attendo con speranza un taglio dei tassi!
habsb
E` comico leggere interventi di esperti autoproclamatisi, che credono spiegare i mali della deflazione puramente evocando lo spettro del Giappone, come se in Giappone si vivesse con standard africani.
Il Giappone, che ha conosciuto una ventennale deflazione, resta una delle societa` piu’ ricche ed evolute del pianeta, e dovrebbe essere la dimostrazione lampante che nulla vi e` da temere dalla deflazione, che anzi insegna a rispettare un budget, evitando gli scandalosi indebitamenti privati resi convenienti dalle rovinose politiche keynesiane di molti stati occidentali.
Manuel S
Per la scuola marxista la deflazione è la conseguenza della sovrapproduzione. Il capitalismo è ciclico. Nella fase finale del lungo ciclo di sviluppo del capitalismo, iniziato alla fine della seconda guerra mondiale, è normale che inizi un processo deflazionistico. Che deriva dalla saturazione incipiente dei mercati di merci e capitali. La sovrapproduzione sta cominciando a fare capolino. Accompagnata dal ritorno di venti protezionistici e statalisti, conseguenza della riduzione del mercato mondiale. E con essa la futura crisi di fine ciclo, con le sue conseguenze inevitabili: crisi generalizzata, guerra mondiale, rivoluzione sociale.
federico sieli
Ciò che sta accadendo era più che prevedibile. Sono 25 anni, dal 1982, che la Fed immette liquidità nel sistema ad ogni stormir di fronda. Le crisi degli ultimi 15 anni – LTCM, America latina, Russia, scoppio della bolla speculativa in borsa, year 2000, 11 settembre – sono state tutte affrontate con la stessa medicina : inondare di liquidità i mercati. Liquidità che, in mille rivoli, è andata a creare bolle su bolle, prima tra tutte quella immobiliare, origine poi dei mali odierni complice un mondo della finanza spregiudicato che vive nel mito dell’upfront – tutto e subito. L’eccesso di interventismo delle banche centrali con la loro smania di spingere un tasto, abbassare od alzare una leva nell’illusione di "guidare" l’economia, ha creato i danni che sono oggi sotto gli occhi di tutti. Se il denaro deve avere un costo, un prezzo, questo deve essere determinato dal punto di incontro tra domanda ed offerta e non da un manipolo di professori distanti dalla realtà.
Antonio
Ma siamo sicuri che il problema sia l’aumento generalizzato dei prezzi? O una sua generalizzata riduzione? Non abbiamo assistito piuttosto in queti ultimi anni a un epocale cambiamento nei prezzi relativi, che ha avuto conseguenze di sociali molto gravi? Che ha ridefinito la distribuzione del reddito a favore di alcuni e a danno di altri? Questa è stata la rivoluzione silenziosa di questi anni, che ha visto vincitori (coloro che i propri prezzi li controllano) e vinti.
Francesco
E se per una volta la deflazione inducesse a modificare la distribuzione del reddito? Se invece di tagliare posti di lavoro e ridurre i salari diminuisse finalmente la percentuale di ricavi degli imprenditori e soprattutto il guadagno parassitario della filiera commerciale?
Enio Minervini
Non vorrà mica l’autore di questo articolo introdurre la scala mobile a senso unico, cioè solo in discesa? Sono d’accordo sul fatto che la deflazione sia una brutta bestia, per quanto difficile pensare che sia peggio della stagflazione. Tuttavia un rimedio ci sarebbe: sostenere i redditi da lavoro con risorse che arrivino per via diretta (maggiori retribuzioni) o indiretta (tassazione su patrimoni, profitti e sulle rendite) dalle imprese.
luis
A distanza di due mesi, questo articolo che mi aveva molto colpito, lasciandomi però perplesso, si è rivelato davvero profetico, a dimostrazione della velocità e della globalizzazione dei movimenti economici moderni. La deflazione è arrivata, è arrivata con il poderoso processo di de-levereging in atto da parte delle banche, con il crollo delle materie prime, con l’incertezza assoluta sugli hedge fund e carte di credito e soprattutto con il tracollo imminente della GM. Tornerò a rileggere Furore, quel capolavoro immenso di Steinbeck.
marie arouet
Il teorema del pericolo di deflazione dovuto alla crisi del credito mostra alcuni punti deboli. Infatti non tiene conto della aumento della massa di denaro circolante determinato dalle politiche monetarie espansionistiche degli Stati Uniti. Negli ultimi anni vi ì stata un considerevole aumento dell’inflazione, in Italia, nnonostante la presenza di una diminuizione generalizzata dei consumi. Diiversi osservatori hanno escluso che l’ aumento fosse imputabile solo al prezzo del petrolio, il quale ha ricevuto una forte spinta dalla notevole oscillazione del cambio Euro /dollaro. Il vero pericolo non è la deflazione è il collasso di quella parte dell’economia legata al dollaro che ancora regge per la sola bontà interessata della Cina e del’l’Arabia Saudita e dell’Europa che si guardano bene dal riversare sui mercati le enormi riserve in dollari accumulate. Fino a quando?
Paolo
..che finalmente il capitalismo sia alla frutta; trasferire produzioni in paesi poveri con minor costo del lavoro è un giochino che terminerà anch’esso. Il" maledetto"libero mercato fallirà, è inevitabile, ci saranno dolori e sofferenze, ma questo favorirà, mi auguro, il risorgere di nuova coscienza, di più attenzione all’essere umano e non al denaro, di nuove relazioni sociali e di un nuovo modello di stato, forte, molto forte, in cui tutti i cittadini possano riconoscersi,e che torni finalmente in"possesso"di energia,acqua, comunicazioni, e possa finalmente"battere"moneta propria,più autarchico e svincolato dai poteri massonici imperanti. Basta avere come obbiettivi il nuovo tv al plasma da 1000 pollici, il suv, la borsa di coccodrillo. Basta il supersfruttamento dei lavoratori, i quali non dovranno più essere considerati, come adesso, semplici consumatori..Ma dovranno riappropriarsi della propria identità e riconoscersi nello stato.
Gianni
Si fa davvero fatica a capire cosa ci sia di male nella deflazione né tanto meno l’autore spiega a cosa sia dovuta. Questa è la semplice reazione del mercato che ristabilisce dei prezzi corretti dopo che le banche centrali li hanno sistematicamente manipolati mediante una speventosa inflazione monetaria. FED e BCE per esempio hanno raddoppiato negli ultimi 6-7 anni la quantità di moneta in circolazione. Daveri sembra non comprendere che è il reddito reale che determina il nostro standard di vita non il numero di pezzi di carta colorata con sopra stampato un numero. Non è vero ovviamente che la flessione dei prezzi originerebbe una flessione della produzione: un qualsiasi studente di economia del primo anno dopo l’esame di storia economica sa che gran parte dello sviluppo capitalistico si è verificato in un contensto fortmente deflattivo e quindi di crescita dei salari reali. Basterebbe poi pensare che per gli imprenditori quello che conta è il differenziale tra prezzi di vendita e input non il livello dei prezzi nè tanto meno la loro crescita. E si potrebbe proseguire a smascherare le altre amenità…
La redazione
Rimanendo ai decenni più recenti, il giappone è un esempio di economia caduta in deflazione che è piombata in una stagnazione da cui non si è più ripresa. si può poi citare anche l’america degli anni trenta. e più indietro nel tempo (non sono uno storico economico) mi pare che, sulla base dei dati di Angus Maddison si possa citare il secolo in cui la peste uccise milioni di persone in europa. tutti periodi di deflazione e tutti periodi di stagnazione se non vera e propria fame.
Altre affermazioni dell’estensore del commento sono un po’ più controverse di quello che lui o lei dà per scontato (dal tono "muscolare" propenderei per un "lui"). ad esempio, la relazione positiva tra salari reali e crescita dipende dal fatto che è la produttività a trainare la crescita, non la deflazione.
In generale, sarebbe bello che chi esprime opinioni tanto forti mettesse anche la sua firma alla ine del commento anzichè limitarsi a dileggiare il contributo di una persona che firma e dunque mette la faccia sui suoi pezzi.
Francesco Liucci
Pongo una domanda da profano: con la deflazione c’è la possibilità che i tassi di interesse (almeno in alcune economie del mondo) possano scendere sotto lo 0, arrivando ad un valore negativo. Se, volendo semplificare, il tasso di interesse può essere definito come il valore del premio pagato a coloro che prestano denaro, in caso di tasso di interesse negativo, cosa succederebbe?
Gianni Elia
Giappone (dai primi anni ’90) e USA (negli anni ’30) sono il miglior esempio di cosa voglia dire opporsi alla deflazione tramite una politica monetaria assurdamente espansiva e interevnti fiscali a oltranza il cui unico effetto è sussidiare attività improduttive affinchè contuinio a produrre cio’ che non ha mercato a spese dei settori produttivi. Roosvelt riusci alla fine a infilarsi in guerra per far dimenticare i guai che aveva protratto per una decina di anni. Il Giappone ristagna da quasi 20 anni. La produttività determina i salari reali ma forse al prof. Daveri sfugge come. In regime di quantità costante di moneta gli investimenti (che notoriamente determinano la produttività del lavoro) necessariamente diminuiscono i prezzi cioè aumentano il potere d’acquisto della moneta, non entro nei dettagli ma mi sembra autoevidente. Ne segue che i salari reali crescono. Ovviamente qualsiasi aumento di produttività è eliminato dall’aumento della quantità di moneta.
Stefano M.
Ipotizziamo che ci sia un padre di famiglia che nel 1999 era un ragazzo che lavorava presso una società come tecnico specializzato. Grazie alla sua specializzazione, fosse riuscito ad ottenere uno stipendio mensile di circa il 50% più alto del contratto base (aumento inserito alla voce super minimo assorbibile). Ipotizziamo che la società per cui lavora (come tante in Italia!) adotti la sconsiderata politica salariale tale che gli aumenti concordati a livello nazionale CCN (in teoria adeguamento all’inflazione) della paga base, vengano compensati (sottratti) dalla eventuale voce "superminimo assorbibile" e ipotizziamo che non non avesse una casa di proprietà ne potesse contare su un’eredità in tal senso. Nel ’99 un appartamento nella periferia di Roma costava circa 280/350 milioni £, l’affitto circa un milione, scarpe 80/120 mila £, una pizza 6/7 mila £, la benzina 1800 £, una Fiat Panda nuova circa 10 milioni, la spesa al supermercato circa 80/100 mila £ e una visita dal dottore 80 mila £. Se nel ’99 aveva un netto di 2,7 milioni di £ e oggi di 1.550 euro… come vede secondo lei questo "rischio deflazione"?
Alessandro D.
Se in un regime di concorrenza abbasso i prezzi è evidente che venderò più quantità di prodotti rispetto ad un mio concorrente. Se invece mi trovo in un contesto di oligopolio (tipico dell’economia moderna dove poche multinazionali gestiscono le materie prime e quindi il mercato) il problema non è il calo generalizzato dei prezzi ma la rigidità dei soggetti economici coinvolti nella gestione dell’oligopolio. Purtroppo la deflazione non è altro che il sintomo di troppa concentrazione economica nelle mani di pochi. In termini molto pratici non è un caso che il fallimento di LB abbia avuto ripercussioni a livello.