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IL VENTO DELL’EST SULLE BANCHE ITALIANE

Dopo Banco Popolare, anche Unicredit e Intesa San Paolo ricorrono ai Tremonti bond. Una decisione che non stupisce. Sulle due principali banche italiane si fanno sentire i contraccolpi dell’espansione nell’Europa centro-orientale. Con i nostri istituti in seconda posizione, assieme a quelli tedeschi, per esposizione verso i più importanti paesi dell’area. Fin quando il ciclo internazionale è stato favorevole, gli investimenti hanno dato ricchi frutti. Ma ora la crisi colpisce quelle economie, costringendole a chiedere aiuto all’Fmi e ad altre istituzioni europee.

Banca Intesa San Paolo ha annunciato venerdì 20 marzo il ricorso ai Tremonti bond per 4 miliardi di euro. Si tratta della terza banca, dopo Unicredit (4 miliardi di euro richiesti secondo il mandato assegnato all’ad Alessandro Profumo il 18 marzo) e Banco Popolare (1,45 miliardi di euro), a  ricorrere agli aiuti messi in campo dal governo.

ESPANSIONE VERSO EST

Mentre per il Banco Popolare la scelta si spiega con la crisi da mala gestio della controllata Italease, la rapidità con cui anche le due principali banche italiane si sono presentate allo sportello del Tesoro non dipende da situazioni di difficoltà maturate in Italia. Dipende invece dai contraccolpi che Intesa San Paolo e Unicredit accusano per la loro espansione nell’Europa centro-orientale.
Se ancora dieci anni fa, il sistema bancario italiano soffriva di basso grado di internazionalizzazione, questi due campioni nazionali hanno perseguito l’espansione all’estero a tappe forzate, acquisendo reti bancarie al dettaglio nei paesi dell’Europa orientale entrati a far parte dell’Unione Europea negli ultimi anni o tuttora candidati all’adesione. In molte di queste nazioni, oggi in banca si parla italiano.
Fin quando il ciclo internazionale è stato favorevole, gli investimenti hanno dato ricchi frutti. Quei paesi crescevano a ritmi accelerati e il business bancario, depresso in precedenza da sistemi di banche statali e dai fallimenti della fase iniziale di transizione, si espandeva rapidamente. Per di più, l’Europa centro-orientale è stata anche il teatro preferito della delocalizzazione produttiva di molte imprese italiane e, perciò, la diffusa presenza nell’area costituiva per Intesa-San Paolo e Unicredit un fattore competitivo pure nei loro confronti.

CONSEGUENZE DELLA CRISI

La situazione è però cambiata decisamente con il dispiegarsi della crisi globale. In un primo tempo, per la verità, si era diffusa la convinzione che vi potesse essere un decoupling dei paesi emergenti, ivi inclusi quelli dell’Europa centro-orientale, in base al quale essi avrebbero sperimentato solo una decelerazione della crescita, ma non una recessione.
Ma lo scenario favorevole si è ben presto rivelato fallace, almeno rispetto ad alcune di quelle economie. Ungheria, Lettonia e Romania tra i paesi dell’Unione, e in modo simile l’Ucraina, stanno soffrendo una forte crisi di cambio oltreché una crisi bancaria e hanno dovuto valersi di aiuti internazionali del Fondo monetario e di altre istituzioni europee, come la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Per questi paesi, si configura uno scenario simile alla crisi asiatica del 1997 a causa dell’elevato ricorso all’indebitamento in valuta estera, in particolare in euro e in franchi svizzeri, per diminuire lo spread nei tassi di interesse dovuto al rischio di cambio. In Polonia e in altre economie più piccole, come la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Slovenia, la situazione appare meno grave e le prospettive di crescita sono  migliori che nell’area dell’euro.
Per il gruppo Unicredit, l’Europa centro-orientale rappresenta il 24,4 per cento dei ricavi totali e il 27,6 per cento delle attività tangibili, l’area costituisce invece solo il 6,5 per cento delle attività totali del gruppo Intesa San Paolo. Se si concentra l’attenzione sui paesi più a rischio, i pesi scendono al 6 per cento circa per Unicredit e al 2 per cento per Intesa San Paolo. Si tratta, dunque, di esposizioni non enormi, ma pur sempre significative.
La tabella qui sotto, che considera i tre paesi dell’area dell’euro più esposti nei confronti dei paesi dell’Europa centro-orientale, e il ricorso di Intesa-San Paolo e Unicredit ai Tremonti bond non stupisce. In termini assoluti, le banche italiane sono in seconda posizione, assieme a quelle tedesche, come esposizione verso i principali paesi dell’Europa centro-orientale. La seconda posizione è ancor più solida se consideriamo le perdite potenziali, come riportato in uno studio della Danske Bank e dalla Banca dei regolamenti internazionali e ripreso in un Interactive Graphic del Financial Times.
Qualche tempo fa il ministro Tremonti plaudeva al fatto che le nostre banche “non parlassero inglese”. Speriamo che abbiano imparato bene le lingue slave e abbiano potuto evitare i bad loans meglio di quanto accaduto nei paesi anglosassoni.

Crediti delle principali banche europee occidentali nei confronti dei paesi dell’Europa dell’Est
(dati in miliardi di dollari, 2008)      
         
Paese creditore Austria Italia Germania
Paese debitore      
Repubblica Ceca 65.1 19 12.7
Slovacchia 33.2 23.6 4.1
Ungheria 38.3 29.3 37.9
Romania 46.5 12.9 3.8
Bulgaria 5.7 8.1 2.8
Polonia 17.2 54.4 55.4
Lituania 0.3 0.7 3.8
Lettonia 0.8 1.4 4.8
Estonia 0.3 0.4 1.1
Ucraine 12.9 4.9 5
Bielorussia 2.1 0.2 0.9
Russia 23.9 25.7 49.5
       
Totale senza Russia 222.4 154.9 132.3
Totale 246.3 180.6 181.8
% PIL 55.3 7.3 4.6
       
Perdite potenziali      
Scenario favorevole 15.6 10.5 10.2
% PIL 3.5 0.4 0.2
Scenario sfavorevole 49.4 37.1 37.2
% PIL 11.1 1.5 0.9
         
Fonte: Danske Bank, Banca dei regolamenti internazionali  
http://www.ft.com/cms/s/0/ea19fec8-028e-11de-b58b-000077b07658.html

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  1. Goffredo

    È come se mancassero le conclusioni, cioé Unicredit è esposta sui paesi dell’est, questo cosa significa? Che ci potrebbe essere un caso Fortis o RBS anche in Italia?

  2. Giri Federico

    Quello del currency mismatch è un evento pericolosissimo che può mettere in ginocchio sia i paesi debitori che hanno contratto prestiti in una valuta (euro, CHF) che si stanno apprezzando rispetto a quella domestica, sia i paesi creditori che rischiano di doversi accollare il peso di eventuali default (di famiglie, imprese e perchè no, di alcuni stati sovrani). Direi che UE e IMf farebbero bene ad intervenire tempestivamente.

  3. Hans Suter

    Come si usa al parlamento, firmo la domanda di Goffredo.

  4. Luigi Barberio

    Penso che comincino ad uscire fuori gli scheletri dagli armadi delle nostre banche. Il nostro sistema bancario sicuramente non ha imparato l’inglese o l’americano, ma in quanto a strumenti di salvataggio a carico dei governi non è da meno. Speriamo che siano in grado di remunerare i Tremonti bonds con giuste politiche di sviluppo del loro business e non prendano la scorciatoia dei prelievi più o meno occulti sui clienti italiani.

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