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WELFARE SOCIO-SANITARIO: SE LO CONOSCI LO RIFORMI

Da vent’anni la riforma del welfare socio-sanitario italiano è costantemente al centro dell’attenzione. Ciò non significa, però, che si abbia una chiara rappresentazione del sistema. Se lo si analizza meglio, si scopre un quadro della spesa frammentato tra una molteplicità di attori, famiglie comprese, che gestiscono quote diverse di risorse. E’ arrivato il momento di decidere il livello di governo del settore, di offrire un’interfaccia unica agli utenti e di coordinare l’attività assistenziale direttamente acquistata dalle famiglie con quella pubblica.

Negli ultimi vent’anni il tema della riforma del welfare socio-sanitario italiano è stato costantemente al centro dell’attenzione di autorevoli studi e ricerche, di interventi legislativi (su tutti, la legge 328/2000, legge quadro di riforma dell’assistenza sociale) e di disegni programmatici di cambiamento da parte dei governi: si pensi, solo per citare i più recenti, al “Libro bianco” del ministro Turco e al “Libro verde” del ministro Sacconi. Temi centrali degli interventi sono stati il sistema di governo dell’offerta dei servizi sanitari e socio-assistenziali, le modalità di finanziamento del welfare, le prospettive di governance decentrata in chiave federalista, l’integrazione tra risorse pubbliche e private.
Tutto ciò avviene senza una chiara rappresentazione del sistema: chi sono i finanziatori, chi gli erogatori e per quali importi finanziari?

LE COMPONENTI

In una ricerca patrocinata dall’Ausl di Bologna, sono state analizzate le diverse componenti di quello che può essere definito, nel suo complesso, il “welfare socio-sanitario” italiano, attribuendo i rispettivi valori economici (spesa annua pro capite) e indicando i soggetti istituzionali di riferimento delle differenti tipologie di risorse (grafico 1).
La fotografia che emerge mostra un quadro della spesa per il welfare frammentato tra una molteplicità di attori che gestiscono quote diverse di risorse. A fronte di un ammontare complessivo di risorse di circa 3mila euro per residente, che salgono a quasi 3.400 euro se si considerano le partite socio-assistenziali gestite dell’Inps destinate a integrazione del reddito, la spesa gestita dal Servizio sanitario nazionale rappresenta solamente il 56 per cento di tale valore (1.686 euro). Il 20 per cento delle risorse (614 euro) è costituito da trasferimenti socio-assistenziali dall’Inps alle famiglie per il sostegno alla non autosufficienza, esclusa quindi la componente previdenziale, destinati principalmente al finanziamento del mercato delle badanti (secondo le ultime stime, circa 700mila in Italia), per una spesa pro-capite di circa 120 euro. Un altro 20 per cento è costituito dalla spesa sanitaria privata autofinanziata dalle famiglie (611 euro per residente). Oltre a coprire tipologie di servizi tradizionalmente non erogati dal Ssn, in primis spese odontoiatriche e farmaci da banco, è sempre più rivolta verso la spesa per la specialistica ambulatoriale (prime visite ed esami diagnostici in contesti con elevate liste di attesa) e verso la medicina complementare e alternativa. È invece esigua, pari a 91 euro per residente (3 per cento delle risorse complessive), la spesa socio-assistenziale gestita in media dai comuni.   

LE CRITICITÀ

Quali sono le principali criticità del sistema?
1. Il sistema socio-sanitario risulta istituzionalmente molto frammentato, sprovvisto di un livello di governo che ricomponga gli interventi sul singolo utente o sulla singola famiglia. Gli utenti sono chiamati a fare "shopping around" e chi detiene le maggiori competenze di lettura del sistema ottiene i maggiori servizi (la classe media e medio-alta).
2. Vi è un notevole sforzo di programmazione del sistema da parte delle istituzioni locali, in primis i comuni attraverso i piani di zona intercomunali e le Ausl per la componente sanitaria. I comuni in realtà governano solo il 3 per cento della spesa e pertanto i loro ingenti sforzi di programmazione sono sostanzialmente irrilevanti. Le Ausl controllano il 56 per cento del sistema, ma rimane al di fuori di ogni logica di concertazione il rimanente 44 per cento delle risorse.
3. Quindici anni di dibattito sul federalismo hanno prodotto come risultato che la parte più rilevante della spesa assistenziale sia gestita centralmente dall’Inps, la sanità sia governata dalle Regioni, i pochi servizi sociali reali dai comuni e l’out of pocket dalle famiglie, con un completo disallineamento verticale della catena di governo.
4. Le risorse direttamente in mano alle famiglie sono costituite dai trasferimenti dell’Inps e dalla loro spesa sanitaria out of pocket, per un totale del 40 per cento del sistema. Di questo 40 per cento si ignorano sostanzialmente l’utilizzo e il livello di efficacia.
5. Nel complesso, 3mila euro per abitante rappresentano una spesa per il welfare socio-sanitario considerevole: il problema non sono le risorse, ma la loro distribuzione istituzionale frammentata e disallineata e, a cascata, la loro configurazione come servizi.

INTERVENTI NECESSARI

Se queste sono le criticità del sistema, quali implicazioni in termini di policy se ne possono trarre?
1. È arrivato il momento per decidere il livello di governo del settore socio-sanitario: regionale, Ausl o aziende/consorzi intercomunali, eliminando il ruolo dell’Inps come erogatore socio-assistenziale. Ricordiamo che per la Costituzione vigente il settore sociale è competenza esclusiva delle Regioni che possono delegarlo a enti locali o loro aggregazioni.
2. Crediamo che non sia più differibile la costruzione di un’interfaccia unica per gli utenti, capace di selezionare i bisogni e di offrire loro una risposta integrata, evitando lo shopping around per le famiglie e la conseguente esclusione dall’accesso ai servizi per quei cittadini con minori competenze di lettura del sistema di offerta.
3. I servizi socio-sanitari pubblici (60 per cento) devono interrogarsi su come integrare i servizi del welfare con quelli acquisiti direttamente dalle famiglie, che pesano oggi per il 40 per cento delle risorse, ovvero su come coordinare l’attività assistenziale della badante con quella del medico o dell’infermiera dipendente dall’Ausl.

Grafico 1: Le componenti del welfare socio-sanitario italiano
(spesa pro-capite)

Fonti: Finanziamento Ssn dati Istat 2007. Stima gestione partite socio-assistenziali a carico Inps da ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Rapporto di monitoraggio sulle politiche sociali – parte seconda (2008), dati di spesa tendenziale nazionale 2006. Per il sostegno alla non autosufficienza, si sono considerate pensioni per invalidità civile e indennità di accompagnamento, pensioni di inabilità e assegni di invalidità, rendite per infortunio sul lavoro, integrazioni al minimo di pensioni di invalidità. Per l’integrazione reddito, si sono considerate pensioni e assegni sociali e integrazioni al minimo di pensioni di vecchiaia/anzianità e di pensioni ai superstiti. Stima spesa sociale comuni dati Istat 2007 e ministero Lavoro 2005. Stima quota consumi sanitari out of pocket, da Conti economici regionali Istat (2007), dati riferiti a media Italia anno 2003.

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  1. Patrizio

    Che in qualche caso – toscana – si fa o si prova a fare, vedasi alla voce società della salute.

  2. Giorgio Simon

    Quello che molti, con fatica stanno tentando di fare è di definire strumenti di governance su due livelli: a – quello della pianificazione, ovvero, quali sono gli strumenti per mettere insieme in maniera coerente risorse e interventi in senso generale? b – quali sono gli strumenti operativi per poter attuare, con tutte le fonti di risorsa disponibili, veri progetti sulla persona? E’ evidente che il federalismo è indispensabile ma non basta perché bisogna scendere al livello più vicino al "luogo del bisogno". E’ altrettanto vero che non basta il socio-sanitario, ma spesso va aggiunto anche il sociale (interventi sul lavoro, sull’educazione, sulla casa, ecc.) il che rende ancora più complesso il modello di governance da adottare.

  3. Stella Alpina

    La Toscana fa o prova a fare integrazione? Io direi invece, decisamente, che ci prova, ma non ci riesce. Perché l’integrazione non si fa solo componendo in organismi ‘misti’ le figure di appartenenza politica, ma si fa con una solida integrazione anche sul piano tecnico, affidando la realizzazione dei ‘piani’ a dirigenti e team capaci di elaborare, condurre e valutare progetti. Ma sappiamo bene che in Italia, anche nell’Italia di sinistra, queste figure sono sgradite sia ai politici sia agli amministrativi. L’integrazione non si accontenta di essere nominata e deliberata, ma deve essere voluta, accompagnata e tradotta in azioni tecniche e professionali definite, scandite nel tempo, misurabili e documentabili.

  4. Riccardo

    Come sempre, quando non sembra esserci soluzione ad un problema (e non sembra esserci in alcuna parte del globo terrestre) non rimane che fare un cambio di paradigma (Thomas Kuhn). Sgombrare il campo dalle posizione propagandistiche scientiste dell’establishment tecnocratico, riconsiderare l’argomento partendo da zero. Chiedersi cosa sia veramente utile e sopratutto, nel rispetto dei veri principi liberali, lasciare massima libertà di scelta in ambito medico sanitario. Iniziando col restiture il ruolo e la responsabiltà che spetta ai medici generici, il sistema sanitario degli ultimi trentanni ha prodotto solo maggiori spese.

  5. Sara Guerra

    Gli organi di governo spingono all’utilizzo ed allo sviluppo delle industrie di sanita’ privata; in Italia cio’ non creera’ come negli USA grandi centri di eccellenza ma piccoli frammentati laboratori dove sara’ difficilissimo e dispendiosissimo controllare la qualita’ dei servizi erogati. Del resto la piccola industria e’ tipica dell’Italia degli scarsi capitali investiti e favorisce l’evasione fiscale che pare piu’ redditizia delle economie di scala. Un efficiente servizio pubblico -che costa meno se non altro perche’ non deve produrre reddito e pagarci le tasse sopra- e’ sempre la soluzione ideale.

  6. Gaspare Jean

    Ogni Stato ha il suo sistema sanitario; la spesa sanitaria è incontrollabile indipendentemente dalla organizzazione del welfare. Penso che le politiche sanitarie abbiano incentrato la loro attenzione sulla organizzazione dei servizi, e nulla sulla produzione delle prestazioni sanitarie, affidate alla autonomia professionale ed alla aureferenzialità dei medici. Si sono così dilatate le indicazioni per interventi chirurgici (con quali vantaggi?) fino ai casi più clamorosi di modificare i parametri di normalità della PA, del colesterolo, della glicemia o inventare malattie (vedi in primis disturbi della menopausa ad es.)La frammentazione fordistica dell’atto medico porta poi a spese incontrollate ed incontrollabili. Nessuno sforzo è fatto dai medici per una integrazione sociosanitaria che non è solo legislativa (e le buone leggi non mancano) ma organizzativa (scarso l’impegno di ASL e Comuni) e professionale (nullo l’impegno dell’ Ordine dei Medici). In conclusione un SSN che voglia essere universale ed esigibile non può avere prestazioni sanitarie simili a quelle della sanità privata.

  7. Lettore romano-milanese

    La presenza di vari livelli di decentramento istituzionale comporta delle frizioni nel controllo e nella definizione di strategie assistenziali ottimali, ponendo anche dei dubbi di coerenza con lo spirito del nuovo testo della Costituzione. Il ruolo dell’INPS potrebbe quindi essere diffuso tra gli enti locali, generando tramite la differenziazione del livello di sostegno, indiretti ma potenzialmente rilevanti effetti sulla politica di diffusione sul territorio dei flussi migratori. Esiste peraltro un trade-off per cui più basso è il livello di governo e migliore è la capacità di ottimizzare “da vicino” costi e qualità, con perdita però di una visione strategica sistemica recuperabile solo a livello regionale (le risorse sono raccolte su base regionale), dove però la cascata a valle può essere inficiata da logiche sub-ottimali. Utile e urgente anche l’interfaccia unica. A patto di mantenere una possibilità di scelta (non più costretta ma facoltativa) che permetta alla domanda, ove possibile, di selezionare l’offerta migliore. Altrimenti si perderebbe uno dei pochi strumenti di espressione della persona assistita, ossia la scelta di strutture e risorse umane ritenute migliori.

  8. lettore romano-milanese

    La presenza di vari livelli di decentramento istituzionale comporta delle frizioni nel controllo e nella definizione di strategie assistenziali ottimali, ponendo anche dei dubbi di coerenza con lo spirito del nuovo testo della Costituzione. Il ruolo dell’INPS potrebbe quindi essere diffuso tra gli enti locali, generando tramite la differenziazione del livello di sostegno, indiretti ma potenzialmente rilevanti effetti sulla politica di diffusione sul territorio dei flussi migratori. Esiste peraltro un trade-off per cui più basso è il livello di governo e migliore è la capacità di ottimizzare “da vicino” costi e qualità, con perdita però di una visione strategica sistemica recuperabile solo a livello regionale (le risorse sono raccolte su base regionale), dove però la cascata a valle può essere inficiata da logiche sub-ottimali. Utile e urgente anche l’interfaccia unica. A patto di mantenere una possibilità di scelta (non più costretta ma facoltativa) che permetta alla domanda, ove possibile, di selezionare l’offerta migliore. Altrimenti si perderebbe uno dei pochi strumenti di espressione della persona assistita, che preferisce scegliere strutture e risorse umane ritenute migliori.

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