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I SERVIZI PUBBLICI LOCALI E IL VICOLO CIECO DELLA GARA

La riforma dei servizi pubblici locali crea più problemi di quanti ne risolva. Il legislatore ha stabilito che la gara è lo strumento virtuoso per eccellenza. Ma la pretesa uniformità tra i servizi locali è una ipotesi grossolana. Ora si può uscire dall’impasse solo ampliando la gamma di soluzioni contrattuali ammesse, per adattarsi alle specificità dei vari settori. Oppure si lascia che i comuni scelgano liberamente il vincitore della gara, pagando però le conseguenze delle loro scelte grazie a regole chiare. Meglio se definite e applicate da un soggetto indipendente.

Circa dieci mesi fa, la legge 133/08 varava la riforma dei servizi pubblici locali: l’affidamento dovrà basarsi su procedure ad evidenza pubblica; mentre l’affidamento senza gara in houserimarrà come opzione residuale, nei casi che “non permettono un efficace ricorso al mercato”, previo parere, peraltro non vincolante, dell’Agcm.
Molti hanno salutato quella norma come un progresso nella direzione più volte auspicata anche su lavoce.info, ad esempio da Andrea Boitani e Carlo Scarpa (LINK): ostacolare la gestione diretta dei Spl, per limitare i monopoli comunali e favorire una maggiore concorrenza.
Tuttavia, la riforma attende ancora il regolamento attuativo. Nel frattempo il governo, per non venir meno alle buone abitudini, con un nuovo decreto legge omnibus genericamente intitolato agli “obblighi comunitari”, ha effettuato l’ennesimo blitz sulla materia.

IL NUOVO TESTO

Qualcosa in effetti è stato chiarito: segnatamente il destino delle società miste, oggi riammesse purché conformi all’ordinamento dell’Unione Europea. Qualcos’altro è stato modificato: si riducono le deroghe per le società quotate, che potranno conservare gli affidamenti in essere solo se la presenza pubblica scenderà sotto il 30 per cento; vengono ristretti i criteri per limitare la partecipazione alle gare di soggetti titolari di affidamenti diretti. I nodi fondamentali, tuttavia, restano lontani dall’essere sciolti.
Condivido l’auspicio verso una maggiore concorrenza nei Spl, non tanto per un “obbligo comunitario” di fatto inesistente: è infatti proprio l’Unione Europea a prevedere la liceità degli affidamenti diretti in questa forma. Sono semmai convinto che dell’affidamentoin housesi è fatto in Italia un abuso che è opportuno frenare. Molti comuni sono restii a intraprendere la via del mercato più che altro perché timorosi di perdere una fonte di rendita e di potere.
Tuttavia, a differenza di altre opinioni espresse su lavoce.info, ritengo che la riforma, anche dopo il nuovo Dl, crei più problemi di quanti non ne risolva. A mio avviso, l’impasse governativa non può essere attribuita solo al muro di gomma delle lobby locali; giustifica semmai lo scetticismo circa l’utilità di affidare a una norma trasversale una materia che, invece, comporta notevoli specificità settorialie in cui le opportunità di introdurre stimoli concorrenziali sono diverse da settore a settore. (1)
Il legislatore ha stabilito che la gara è lo strumento virtuoso per eccellenza e, in virtù di una pretesa uniformità tra i servizi locali, ha pensato di assoggettarli tutti a questo regime, senza neppure elencarli. Ma è proprio da questa ipotesi grossolana che si originano le difficoltà.

CORTOCIRCUITO LOGICO

Molti hanno letto l’articolo 23bis come se la discriminante fosse laproprietà pubblica o privata delle aziende; ma in realtà, stando al testo, consiste nel dovere o non dovere ricorrere alla gara. La legge non vieta infatti che concorrano imprese pubbliche partecipate dagli stessi enti locali, purché non siano titolari di altri affidamenti. E qui inizia il cortocircuito logico.
Infatti, in una gara in cui concorre anche il figlio del banditore, il gioco può essere alla pari solo se il vincitore viene scelto in base a criteri oggettivi, come la migliore offerta economica. Ma questi richiedono specificazione puntuale delle contingenze future, definizione precisa dei rischi economici e di chi li sopporta, affidamenti brevi, oggetti semplici. L’effettivo verificarsi di queste circostanze dipende, essenzialmente, dall’oggetto che si mette in gara e questo varia da un servizio all’altro, in funzione sia delle caratteristiche specifiche di ciascuno, sia delle scelte effettuate a monte dalla legislazione di settore. In particolare, si verificano con difficoltà laddove rischio economico e investimenti sono accollati al gestore in condizioni di elevata incertezza sui ritorni futuri, come nel settore idrico; o dove il rapporto fiduciario con il territorio è condizione fondamentale del consenso alle scelte, come per i rifiuti.
In questi casi si richiedono affidamenti lunghi, rischi condivisi, contratti incompleti e flessibili, frequentemente rinegoziati. La migliore offerta “ex ante” perde significato e assume valore, semmai, la disciplina di come il contratto verrà rinegoziato e completato “ex post” – ad esempio, i meccanismi di adeguamento periodico delle tariffe o dei piani di investimento.
Le gare, in simili casi, non potendo fondarsi su parametri oggettivi, saranno “concorsi di bellezza”, con aggiudicazione in parte discrezionale; l’imparzialità diventerebbe illusoria e nessun privato entrerebbe in lizza contro imprese pubbliche che, verosimilmente, saranno preferite. Pensare di risolvere il problema impedendo alle aziende pubbliche di concorrere sarebbe come curarsi il mal di testa tagliandosela: le aziende pubbliche rappresentano pur sempre, nel male ma anche nel bene, l’ossatura portante del sistema.

SOLUZIONI POSSIBILI

Due sono a mio avviso le strade possibili.
La prima è creare le condizioni affinché si possano fare gare efficienti, ampliando la gamma di soluzioni contrattuali ammesse per adattarsi alle specificità dei vari settori. Non solo concessioni di servizi integrati, quindi, ma anche affitto di reti, Ppp, outsourcing. Anziché limitare le alternative a “tutto in gara in una volta sola” e “niente in gara”, si potrebbe prevedere la possibilità per l’ente locale di ricorrere al mercato in modo più selettivo, eventualmente frazionando la gestione integrata in più attività semplici. Come ad esempio fa Milano, dove la gestione del servizio idrico è in house, ma i tre depuratori sono stati affidati con altrettante gare per la costruzione e gestione.
La seconda è rassegnarsi al fatto che almeno in alcuni settori le gare saranno dei beauty contest, disciplinandole in quanto tali, riducendo gli incentivi alla scelta di soluzioni inefficienti e affidando alla regolazione ex post ciò che non si può ottenere ex ante dalla concorrenza.
Si responsabilizzino cioè i comuni: scelgano liberamente il vincitore della gara, fosse anche un’azienda pubblica, purché lo facciano in modo trasparente e motivato, e con procedure aperte e partecipate. Ma paghino le conseguenze delle loro scelte, ad esempio attraverso un enforcement inflessibile dei livelli minimi di qualità del servizio e un’applicazione rigorosa del principio della copertura dei costi in tariffa, con il divieto esplicito di ricorrere alla finanza pubblica per finanziare i deficit, almeno per quella parte non coperta da fondi di dotazione e trasferimenti ammessi dalla legge.
Questa soluzione, ovviamente, richiede che i comuni siano chiamati al rispetto di regole chiare, da definire settore per settore, tenendo conto delle specificità di ciascuno: sul piano contabile e finanziario, sulla copertura dei costi, sugli obblighi di servizio pubblico, sull’oggetto delle gare e sul loro disegno, sui margini di discrezionalità ammissibili, sulla rinegoziazione post-affidamento, sulla disciplina del subentro, sulle modalità con cui eventualmente corrispondere contributi pubblici.
Il tutto sarebbe più credibile se la definizione e applicazione di queste regole fosse affidata a un soggetto indipendente, lontano da pressioni politiche contingenti, al quale sia attribuito, tra gli altri, il compito di definire le regole contabili per calcolare i costi e dunque i ricavi spettanti al gestore, approvare le revisioni tariffarie nonché valutare la sostenibilità economico-finanziaria delle gestioni. Il regolatore dovrebbe curare l’elaborazione e diffusione dell’informazione comparativa, a supporto delle decisioni che localmente verranno prese; e anche sorvegliare su come i contratti verranno rinegoziati, evitando che le aziende dei comuni vincano non perché fanno offerte migliori, ma perché contano su un enforcement più blando o una rinegoziazione più amichevole.

(1) L. De Paoli, A. Massarutto, “One size does not fit all: Considerazioni sul Ddl di riforma dei servizi pubblici locali”, Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, 1/2007.

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UN’AMNISTIA DI FATTO DIETRO LO SCUDO FISCALE

16 commenti

  1. Giuseppe Cappiello

    Condivido l’impostazione teorica ma rimane una domanda, che sembrerà retorica: quante gare sono state vinte da un “outsider”?

    • La redazione

      Non sono a conoscenza di gare in cui l’azienda "figlia" dell’affidante abbia partecipato in concorrenza con i privati. Anche perché finora, se un comune voleva la sua azienda, ricorreva all’affidamento diretto. Così avviene più o meno dovunque nel mondo, Stati Uniti compresi, e così prevede anche l’ordinamento UE.

  2. Tobia Desalvo

    Ma non sarebbe più semplice che le nomine delle aziende pubbliche venissero effettuate con procedure ad evidenza pubblica, nelle quali i candidati amministratori debbano esplicitare gli obiettivi strategici e confrontarsi sui business plan per raggiungerli? Altrimenti si cade nel problema della sovra-burocratizzazione che non migliora niente al cliente finale e rende pesante, costoso e inefficiente l’apparato pubblico di controllo.

    • La redazione

      La sua proposta è provocatoria, ma coglie un problema importante spesso sottovalutato. Nell’affidamento dei SPL, in caso di avvicendamento, chi vince in realtà non sostituisce l’azienda incumbent con la sua; semmai subentra in una quantità di rapporti giuridici preesistenti, in cui non è affatto chiaro cosa il gestore uscente può (o deve) portarsi via, cosa il gestore subentrante ha il diritto (o l’obbligo) di farsi lasciare, e fino a che punto i terzi coinvolti siano obbligati ad essere d’accordo nel sostituire un partner con un altro. E’ una successione nel governo dell’azienda, e non la sostituzione di un’azienda con un’altra. Tutti i nodi si possono sciogliere, ma l’esistenza di tanti nodi come questi moltiplica a dismisura i costi di transazione. Mentre si riduce il beneficio atteso dalla gara, si moltiplica il lavoro per gli avvocati (forse così potranno rifarsi della crisi che investe il loro settore).

  3. linda lanzillotta

    Inviterei a leggere attentamente il testo dell’art.15 del decreto legge. Niente liberalizzazione per energia, gas e trasporto ferroviario (quello su gomma si era già provveduto a esonerarlo con la legge sullo sviluppo economico). Via la liberalizzazione per i piccoli comuni cui non viene imposto di associrsi. Via la liberalizzazione per le società quotate per le quali viene introdotta una privatizzazione forzosa con cessione delle quote di controllo a trattativa diretta anche a soci industriali. Prezzi stracciati per i soci industriali che già ora siedono nei CdA ovvero regali per gli amici. Cosa resta? Direi poco o nulla! Non c’è niente da fare: questa riforma è indigeribile per qualsiasi ceto politico di centro destra o di centrosinistra. Dopo più di dodici anni che ci si prova non resta che prenderne onestamente atto! Linda Lanzillotta

    • La redazione

      Linda Lanzillotta lamenta, con molte buone ragioni, che lo spirito della "sua" riforma sia stato ripreso a parole, ma tradito nella sostanza. Per come la vedo io si tratta però di un esito inevitabile, logica conseguenza del peccato originale della riforma: quello di ritenere che "liberalizzazione" sia sinonimo di "gara", e di voler assoggettare a quest’unico abito giuridico settori tanto diversi, accomunati solo dal fatto di essere "locali", come se ciò li definisse anche automaticamente come "semplici". Tra una riforma ineccepibile in linea di principio ma praticamente inattuabile (almeno senza bagni di sangue), come quella proposta nella scorsa legislatura, e l’inconcludente pastrocchio che emerge dal 23bis corretto dal 9-9-9, faccio fatica a scegliere.

      Non esiste solo la gara, e non sempre la gara è la soluzione migliore. La stessa teoria economica dice che dipende dalle circostanze. Non basta che il pubblico gestisca male qualcosa o lottizzi qualcos’altro per stabilire che automaticamente con la gara le cose andranno meglio: altrimenti perché nessuno propone di affidare con gara il sistema sanitario o l’amministrazione della giustizia?

      Se c’è qualcosa che ha nuociuto ai servizi pubblici locali negli ultimi 10 anni, secondo me, è stato il clima di incertezza legislativa permanente, il continuo stillicidio di leggi e leggine, riforme fatte e riforme annunciate. Chi volete che investa un centesimo in settori in cui il rischio regolatorio è tanto imprevedibile? Magari non se ne parlasse più! Purtroppo non sarà così: sono pronto a scommettere che già l’anno prossimo, puntuale come la vendemmia d’autunno, si ricomincerà daccapo con la Grande Riforma.

  4. Giorgio Bonamore

    Non sembrano esistere soluzioni che risolvano tutti i problemi. Però, se chi si aggiudica una gara e quindi firma un contratto non viene vincolato a obiettivi quantificati e non vengono previste penali se questi non vengono raggiunti; e chi copre la carica pubblica assegnataria non viene responsabilizzato (in sede civile sempre, in sede penale secondo i casi definibili), temo che qualsiasi siano le regole, il problema risulterà sempre aperto.

  5. Sergio Marotta

    Sono sostanzialmente d’accordo con quanto sostenuto nell’articolo: le gare sono un vicolo cieco e non assicurano nè la qualità del servizio né l’efficienza e l’economicità della gestione. Occorre responsabilizzare i Comuni cioè le classi dirigenti locali. A mio avviso l’unico modo per farlo è superare l’illusione di poter utilizzare una norma di legge per rendere obbligatoria l’esternalizzazione dei servizi e conformare il diritto italiano alle modalità di affidamento consentite dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. A dieci anni dall’art. 35 della finanziaria 2002 è tempo di rassegnarsi al fatto che questa strada non porta al miglioramento dei servizi né ad una maggiore concorrenza. L’unico modo di responsabilizzare i Comuni consiste, a mio avviso, nel consentire loro di scegliersi le modalità di gestione che ritengono più adatte al loro territorio e alla loro comunità e al tipo di servizio da fornire alle comunità locali e poi di rispondere poi delle loro scelte. Il che significa tornare ad una norma che definisca le forme di gestione e non la legittimità o meno degli affidamenti esterni! Sergio Marotta

  6. Giancarlo

    Anche nell’ultimo DL del 09.09.09, come nella precedente L. 133/08, non si parla del regolatore dei Spl. Chi organizzerà le gare? Quale sarà il bacino di servizio (e di gara)? Quali condizioni porre a bando? Chi nominerà le commissioni di valutazione? Quali competenze sono richieste e quali risorse saranno assegnate a questo compito? Mentre si continua a legiferare sui modelli di gestione, poco o nulla si dice sulla regolazione, che invece è destinata ad essere cruciale sia prima che dopo dopo la gara. Il tema non scalda più di tanto il dibattito politico, né appassiona l’opinione pubblica. Ma senza investire sul regolatore, ogni riforma in senso pro-concorrenziale di servizi a carattere universale e dai forti connotati sociali, rischia di fallire.

    • La redazione

      Sono perfettamente d’accordo. Sarebbe ora che il legislatore si rendesse conto che (almeno) servizi idrici e rifiuti sono monopoli naturali assai poco contendibili, in cui la "concorrenza per il mercato" funziona molto poco e molto male. E dunque occorre pensare ad altri metodi per introdurre stimoli competitivi e governare la partecipazione del settore privato.

  7. Dunia Astrologo

    Mi sembra interessante la vostra proposta, anche se so, per esperienza diretta, quanto sia difficile realizzarla, una trasparenza VERA. Non credo molto alle authorities indipendenti, ma se c’è un insieme di regole che stabiliscono limiti (inferiori/superiori) sia sul piano economico sia su quello della garanzia della qualità del servizio, chi è chiamato a valutare sarà tutelato e supportato nelle sue scelte. Posto che costui sia stato a sua volta scelto per le sue competenze e non per le sue appartenenze. Cordiali saluti Dunia Astrologo.

    • La redazione

      Sono d’accordo sul fatto che sia difficile, ma non credo che scrivere bandi di gara completi e "a prova di revisione" sia più semplice. In altri paesi, la responsabilizzazione degli enti locali passa per la costruzione di strumenti di governance partecipata, per un enforcement efficace degli obblighi di servizio e dell’equilibrio finanziario, per una rendicontazione analitica e capillare. Potrebbe essere un buon punto di partenza.

  8. ciro daniele

    Per esperienza diretta, non credo che ci si possa spettare molto dalla “casta” che governa gli enti locali e nazionali. Se proprio vogliamo migliorare i criteri di assegnazione degli appalti, si può ricorrere ad una procedura a due stadi: nel primo si seleziona una rosa di offerte ammissibili (in base a criteri qualitativi e scartando le offerte economiche più alte e più basse); nel secondo si sorteggia il vincitore (possibilmente in base ai risultati delle estrazioni del lotto di Oslo, che dovrebbero essere meno influenzabili di quelli locali). In questo modo si crea un forte disincentivo alla collusione tra imprenditori e tra imprenditori e ceto politico. Quanto all’efficienza del sistema, non credo che una procedura causale dia risultati troppo peggiori di quelli delle attuali gare.

    • La redazione

      Il metodo del sorteggio fu utilizzato dagli Ateniesi ai tempi della guerra del Peloponneso, con risultati non esaltanti. Ci andrei un po’ più piano con i giudizi sommari: è vero che molti comuni hanno abusato delle società in house, lottizzando le nomine e spadroneggiando sui bilanci aziendali come fossero cosa propria; ed è anche vero che spesso queste aziende sono finanziariamente fragili, anche perché costrette a politiche tariffarie dissennate per non turbare gli elettori. Ma per fortuna, ci sono anche molti casi, e sono la maggioranza, in cui le cose funzionano, e non si meritano la "tabula rasa". Io credo invece che si debba investire di più sulla piena responsabilizzazione dei comuni. In fondo, si tratta dei servizi di cui fruiranno i loro elettori, e fino a prova contraria i Comuni "costituiscono" la Repubblica Italiana, assieme agli altri livelli di governo e con pari dignità, ai sensi dell’art. 114 della Costituzione. Oppure vogliamo abolirli e sostituirli con il "governo dei filosofi"? Temo che scorrerà molto sangue se qualcuno ci provasse.

  9. .bellavita

    A quanto se ne sa, la mafia siciliana ha una secolare specializzazione nei servizi idrici. Forse, se con apposite spa partecipasse alle gare per l’esercizio del servizio, potrebbe garantire una discreta efficienza, una forte riduzione della dispersione idrica e un puntuale pagamento delle bollette. Infine, si smetterebbe di costruire dighe (con imprese mafiose) che poi non vengono utilizzate perchè l’acqua la vogliono controllare i mafiosi.

  10. Corrado Fontaneto

    Sono d’accordo con una vostra considerazione,che mi sembra cruciale per la definizione del problema : liberalizzazione non significa gara. Vorrei soffermarmi meglio sul dettato del ( l’ormai previgente ) REG CEE 1191/69 sepcie per il trasporto pubblico extrurbano : prima favorire la mobilità collettiva attraverso la libera concorrenza,poi il contratto di servizio e,in extrema ratio, gli obblighi di servizio pubblico.In tal senso anche i pareri dell’AGCM 27 febbraio 1998 , 18 gennaio 2001 e 25 giugno 2009. La sequenza sopra descritta non si è realizzata perché in primis sono le Regioni ,le Province e i Comuni a comportarsi come operatori di mercato,interessati ad accaparrarsi i trasferimenti statali per garantire flussi di spesa con logiche clientelari o,in altri ambiti, per supportare il supermonopolista Trenitalia. Il nuovo Reg Cee 1370/2007 ,formulato malino, non cambierà affatto la soluzione anzi sarà la scusa per cui tutto rimarrà pietrificato come sempre.Domanda : ma la Corte dei Conti dove sta?

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