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L’UNIONE EUROPEA DOPO IL REFERENDUM IRLANDESE

Il sì dell’Irlanda al nuovo Trattato di Lisbona non risolve tutti i problemi. Gli euroscettici possono in alcuni casi diventare forze di governo e dunque i paesi che credono nell’Unione devono procedere nelle scelte concrete con gli strumenti della cooperazione rafforzata. Ci sono poi i seri pericoli di disintegrazione posti dalla crisi economica e finanziaria. E la necessità di parlare con una voce unica sulle grandi questioni mondiali. Serve un esercizio della funzione d’iniziativa, politica e legislativa, che il Trattato assegna in esclusiva al presidente della Commissione.

 

Ancora una volta l’Unione Europea ha scampato il disastro e, grazie al voto favorevole di poco più di un milione di elettori irlandesi – certo, il 67 per cento dei votanti – può riprendere a guardare avanti, sperabilmente a progettare il futuro sulla base del nuovo Trattato di Lisbona.
Resta ancora da risolvere un problema, quello della firma del Trattato da parte dell’irriducibile euroscettico Vaclav Klaus, presidente della Repubblica ceca, il quale, probabilmente in contatto con i conservatori inglesi, vorrebbe guadagnare tempo fino al probabile cambio della guardia a Downing Street l’anno prossimo: così, poiché il parlamento ceco ha già ratificato, ha fatto presentare da suoi fidi senatori un nuovo ricorso di incostituzionalità contro il Trattato alla Corte costituzionale del suo paese, che già lo aveva giudicato compatibile con l’ordinamento nazionale. Spera che un nuovo referendum, chiamato in tutta fretta dal governo Cameron, affondi definitivamente il Trattato di Lisbona.

EUROGRUPPO PER COOPERAZIONI RAFFORZATE

Il progetto pare destinato a fallire, ma la sua protervia sollecita una prima riflessione sul futuro politico dell’Unione: abbiamo in casa componenti politiche irriducibilmente ostili all’Unione, che in alcuni casi possono diventare maggioranza politica di governo, e che già hanno trasformato in un calvario l’accordo sui nuovi assetti istituzionali, che pure appaiono appena adeguati alle sfide che l’Unione dovrà affrontare. Credo gli altri paesi debbano preparasi a procedere nelle scelte concrete utilizzando gli strumenti della cooperazione rafforzata in modo quasi normale: ad esempio, nel coordinamento delle politiche economiche contro la crisi, nelle nuove regole per la finanza, o ancora più semplicemente nell’unificazione delle rappresentanze diplomatiche nelle aree terze del mondo e nelle istituzioni internazionali. Se qualcuno non vuole partecipare, non è un dramma, ma gli altri devono avanzare, pena la perdita della legittimazione, oltre che del sostegno politico, davanti alle opinioni pubbliche che aspettano dall’Unione soluzioni ai gravi problemi che incombono.
Eurogruppo appare come un candidato naturale per tali avanzamenti, dato il grado più elevato d’integrazione dei suoi membri, grazie all’euro, e il carattere informale dei suoi meccanismi di funzionamento. In quanto “titolare” dell’euro, esso potrebbe porsi come interlocutore diretto delle altre maggiori aree valutarie nel disegno della nuova governance economica mondiale, già scontando che il Regno Unito di Cameron tenderà ad andare per conto suo e che i paesi esclusi dall’euro tenderanno a esprimere posizioni divergenti.

CONSEGUENZE DELLA CRISI

Una seconda riflessione riguarda i seri pericoli di “disintegrazione” posti dalla crisi economica e finanziaria. L’area dell’euro era già prima della crisi un’area a crescita rallentata, non essendo riuscita a ridurre le rigidità che la frenano e a stimolare la crescita dei redditi interni con le riforme sempre rimandate; ora non sa come recuperare la caduta, mentre i suoi governi vivacchiano tra annunci propagandistici rassicuranti e scelte rinviate. In queste condizioni, il mercato interno appare gravemente minacciato dagli aiuti di Stato all’industria automobilistica e alle banche; Il Patto di stabilità sembra nei fatti sospeso, dopo l’annuncio dell’intenzione francese di non  rispettarlo almeno fino al 2012.
Anche il coordinamento delle politiche economiche è molto ammaccato: mentre ovviamente occorre ancora espandere, la Germania ha adottato una riforma costituzionale che limita strettamente il disavanzo pubblico e le impone di iniziare a ritirare il debito pubblico, mentre impedisce un’azione comune a livello dell’Unione per il rilancio della domanda attraverso l’emissione di eurobond. Non c’è un’ombra di accordo sull’exit strategy, cioè i sentieri di ritorno a politiche monetarie e fiscali meno squilibrate, dopo la fine dell’emergenza.   
Senza una politica economica comune, è dubbio che possa reggere anche l’Unione monetaria, stretta tra le richieste di protezione delle industrie in crisi e dei disoccupati. Non basta più l’integrazione negativa: occorre accordarsi su grandi progetti d’investimento in reti e ricerca e gestirli a livello europeo. Occorre avanzare finalmente nella creazione di un mercato europeo dell’energia, che oggi è impedito dai grandi monopolisti nazionali, lasciandoci alla mercé della Russia di Putin.
Solo una crescita più sostenuta dell’occupazione e dei redditi interni può consentire di far coesistere, e gradualmente riassorbire, gli squilibri esistenti di competitività all’interno dell’Unione. La strada maestra è l’apertura alla concorrenza del settore dei servizi, ancora largamente protetto nei maggiori paesi dell’Unione. Ma ciò richiede a sua volta un grado molto maggiore di mobilità e flessibilità del lavoro, anche tra paesi, impossibile senza radicali riforme dei meccanismi di sostegno alla disoccupazione, da coordinare a livello europeo, e massicci investimenti in capitale umano. Anche se oggi parlare di flessibilità appare a molti una bestemmia.

PARLARE CON UNA VOCE UNICA

Infine, non v’è dubbio che l’Unione dovrà usare glistrumenti istituzionali resi disponibili dal nuovo Trattato per portare nel mondo una voce unica sulle grandi questioni della politica estera, dello sviluppo, dei commerci e della finanza. Il presidente stabile del Consiglio europeo e la nuova figura di alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, insieme anche vice-presidente della Commissione, offrono il destro per farlo, ma non andremo molto lontano se non si può arrestare la cacofonia di voci degli staterelli che compongono l’Unione, in cerca di visibilità sulla scena mondiale. Barroso è stato confermato alla presidenza della Commissione, dunque forse potrà osare nell’esercizio di quella funzione d’iniziativa, politica e legislativa, che il Trattato gli assegna in esclusiva. 

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  1. Padanus

    Articolo denso e complesso a mio parere. Colgo solo uno dei tanti spunti: "Barroso è stato confermato alla presidenza della Commissione, dunque forse potrà osare nell’esercizio di quella funzione d’iniziativa, politica e legislativa, che il Trattato gli assegna in esclusiva". Confermato da chi? Qualcuno lo ha eletto? E con quale rappresentatività dovrà parlare a nome dell’unione? Quanto è distante, rispettivamente rappresentativo, dai cittadini dell’Unione? Mi trovo d’accordo sulle cooperazioni rafforzate, ma troviamo un modo per accrescere la rappresentatività dei cittadini europei.

  2. markhos

    Il fatto che l’Irlanda abbia ratificato il trattato di Lisbona è di assoluta importanza. Certo, come vine spiegato nell’articolo da Stefano Miccosi i problemi per raggiungere l’obbiettivo dell’unanimità della ratifica è oggi più vicino, ma ancora lontano in quanto alcuni paesi che stanno all’interno dell’Unione pongono delle resistenze. Adesso forse appare più evidente il problema sollevato da un ‘integrazione più forte che comporta non più solamente questioni squisitamente economiche ma anche di rilevanza sociale, infatti, ormai la tutela dei diritti dell’uomo sta prendendo piede all’interno dell’unione e ciò comporta notevoli difficoltà per alcuni paesi che, in determinati settori in cui vengono coinvolti questi specifici diritti (e sono parecchi!), non vogliono cedere neanche un briciolo di sovranità! L’Unione europea è qualcosa di diverso dalle Comunità Economiche Europee, qualcuno dovrà pur spiegarlo a quei governi che continuano a guardare solo agli interessi economici, e questo a partire dai grandi stati fino ad arrivare ai più piccoli che credono di giocare finalmente il ruolo di grande potenza all’interno dell’ U.E.

  3. renato

    Credo sia il caso di procedere a più velocità, forse non a due ma a tre andature diverse. Trovo non giusto che un paese scettico sulla CEE, tragga tutti i benefici che dall’appartenenza alla stessa gli derivano e poi rallenti tutto secondo la propria necessità politica. Quindi un nucleo di paesi che condividono l’idea comunitaria e che quindi partecipano a tutti gli organi di assemblea e di governo, un secondo nucleo che partecipi solo alle commissioni specifiche ma senza potere di voto, per ultimo un terzo nucleo composto da quei paesi che pur volendo non possono aderire in tutto ma gli euroscettici debbono stare fuori.

  4. mirco

    Che una politica economica comune, una difesa comune, siano necessarie come l’aria per salvare L’Unione è ormai assodato. Credo che l’attuale unione anche dopo la firma del trattato da parte dei paesi più euroscettici, possa essere pensata come l’europa allargata, mentre è necessario assolutamente che si formi un un nucleo di paesi più coesi e uniti, un nucleo politico, un vero stato confederale insomma e quindi perchè non partire da quei paesi che hanno adottato l’auro?

  5. Ugo Grottoli

    Il tema delle cooperazioni rafforzate che periodicamente ritorna è sicuramente la via d’uscita per cercare di rilanciare il processo di integrazione europea ma non pare abbia sulla scena attore in grado di interpretarlo e farsene carico. Dopo un accenno iniziale di respiro politico sovranazionale Sarkosy sembra dedito esclusivamente ai propri problemi interni. Ancor più la Merkel.Non parliamo poi dell’Italia che con una lega in grado di dettare gran parte dell’Agenda politica scoraggia anche quel minimo di iniziative che il nostro lacerato sistema potrebbe consentirci di promuovere. Resta inaccettabile che mediocrissimi leader di piccoli stati tengano con il fiato sospeso chi nell’Europa unita continua a vedere l’unica riposta possibile a tanti problemi.

  6. Ricky

    Il Trattato è la fotocopia della Costituzione Europea già bocciata da francesi e olandesi per manifesta antidemocraticità. Dà un potere incredibile ad organi che i cittadini dei Paesi non eleggono direttamente e svuota i poteri dei Parlamenti dei Paesi membri. Per questi motivi sarà approvata ed adottata prima o poi.

  7. MD

    Dico che Tony Blair non è adatto per la guida dell’Unione europea, e perché. E’ sufficiente accostargli Jacques Delors, ultimo dei padri della costruzione europea, in ordine cronologico, per rendere tangibile la distanza tra i due leader. Quest’ultimo ha speso tutta la sua carriera politica per dare, attraverso il gradualismo istituzionale, un moto inarrestabile al processo di unificazione del continente europeo e dotarlo delle infrastrutture civili indispensabili; Tony Blair ha operato al margine della storia lungo tre direttrici: con la mancata adesione all’euro ha sfruttato per la piazza di Londra il momento di disorientamento seguito al lancio della nuova valuta internazionale; con la propria azione di governo ispirata a politiche neo-liberiste ha contribuito ad affondare la social-democrazia in Europa soccombente alle urne negli Stati membri fondatori; con il sostegno alla faida delirante tra la famiglia Bush e la Famiglia Hussein ha infranto il sogno di un’Europa “forza gentile” aperta a cittadini di qualsiasi credo religioso e laici.

  8. Andrea

    Perché questa Europa non la vollero i Francesi e gli Olandesi? I Francesi lamentavano un capitolo troppo striminzito sui diritti/doveri dei cittadini in confronto a quelli delle aziende. E qui sta il pundo. L’Europa è solo un agente di sfondamento per aprire nuovi mercati per le aziende. Tutto deve essere mercato e in Europa peggio che altrove. Per questo, animati da un sano spirito antidemocratico i vertici non eletti dell’Europa hanno deciso di fare una fotocopia, di cambiargli nome e di non sottoporre mai più al voto la loro "costituzione" che sarebbe meglio chiamare carta dei diritti dei capitalisti sui didietro europei. Ma purtroppo tutti quegli scoppiati che non sanno più in cosa credere e si mettono a supportare qualsiasi merda pur di poter sventolare una bandierina e sentirsi finalmente "parte di qualcosa" questo mai lo capiranno, e il loro didietro lo offriranno per primi e con orgoglio, giusto prima di accorgersi che fa male!

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