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E SULLA SANITÀ LE REGIONI BATTONO IL GOVERNO

Dopo forti tensioni, regioni e governo trovano l’accordo sulle risorse da destinare al Servizio sanitario nazionale: 106,2 miliardi, più 400 milioni per la non autosufficienza e 30 milioni per le politiche sociali. Si avvicina così la stesura definitiva del Piano per la salute dei prossimi tre anni. Tanto più che le regioni ne hanno già fissato gli obiettivi strategici, mostrando un’attenzione verso la sanità che si fatica a vedere nelle proposte del governo. Ma l’esecutivo ha ceduto anche sul commissariamento delle amministrazioni tenute al piano di rientro.

 

L’accordo sul nuovo Patto per la salute sottoscritto il 23 ottobre fra governo e regionisancisce la fine di un periodo di forti tensioni istituzionali che avevano portato la Conferenza delle Regioni a sospendere, il 2 luglio, la partecipazione a tutti i tavoli di lavoro e confronto.
Il documento non è peraltro che una parte del Patto per la salute per il prossimo triennio. L’accordo riguarda sostanzialmente le risorse, punto considerato dalle regioni pregiudiziale, in assenza del quale non sarebbero state disponibili a riaprire alcun confronto istituzionale. Ma una volta raggiunto l’accordo sulle risorse, si tratta di lavorare agli obiettivi di governo della sanità, il che non è certamente meno importante, soprattutto nelle regioni in difficoltà.
Su tali aspetti la Conferenza delle regioni ha già approvato un documento da proporre al governo, documento che, una volta allineato all’accordo del 23 ottobre, potrebbe consentire di giungere rapidamente alla stesura definitiva (e completa) del Patto per la salute per gli anni 2010-2012.
Tutto bene dunque? Come giudicare l’esito dell’aspro scontro?

L’ACCORDO

La ripresa del dialogo fra regioni e governo non può che essere giudicata positivamente ed è un punto segnato dalle regioni che ottengono i soldi che avevano chiesto e che si erano sempre viste rifiutare.
L’accordo è stato raggiunto molto più rapidamente di quanto non ci si aspettasse, complice probabilmente la tensione che proprio in quei giorni era esplosa all’interno della maggioranza: in assenza di Silvio Berlusconi (per la nota neve a San Pietroburgo) e di Maurizio Sacconi (ministro competente), Giulio Tremonti ha manifestato ampia disponibilità. D’altro canto sarebbe stato difficile continuare a negare ascolto alle regioni che all’unanimità, senza distinzioni di colore politico, avevano ripetutamente denunciato la grave situazione che si sarebbe venuta a creare in ogni amministrazione, comprese quelle più efficienti, per l’insufficienza degli stanziamenti.
Oltre ai 106,2 miliardi per il Servizio sanitario nazionale, le Regioni hanno anche ottenuto 400 milioni per il Fondo per la non autosufficienza e 30 milioni per le politiche sociali. Stanziamenti del tutto inadeguati rispetto ai bisogni delle famiglie e ancora nettamente inferiori a quelli messi in campo nella gran parte dei paesi europei, ma certamente importante segnale del governo nei confronti degli sforzi che molte regioni stanno facendo in questo campo.
Il governo si è inoltre impegnato a garantire 4,7 miliardi per gli investimenti in edilizia sanitaria e per l’ammodernamento tecnologico, investimenti in molti casi non più rinviabili, dato lo stato di degrado di alcune strutture sanitarie e le carenze (dal punto di vista della sicurezza antisismica) drammaticamente emerse in occasione del terremoto dell’Aquila.
Una valanga di soldi quindi, rivendicati ad alta voce e assolutamente necessari, ma sulla cui disponibilità sarebbe stato difficile scommettere a priori.

TRA AUTODISCIPLINA E PIANI DI RIENTRO

Tutto bene dunque?
Come sempre i soldi sono necessari, ma non sufficienti a risolvere i problemi. Occorre ora un accordo su come spenderli (con quali obiettivi di miglioramento del servizio) e su come monitorare le attività delle regioni.
A questo ci pensa la recente proposta della Conferenza delle regioni che fissa obiettivi strategici, peraltro in termini molto generici, per lo più rinviando ad appositi tavoli di lavoro, e prevede la creazione di una “struttura tecnica di monitoraggio e verifica”. Al di là del merito, la proposta è un altro punto segnato dalle regioni che cercano di darsi regole di autodisciplina, non solo rispetto ai vincoli di bilancio ma soprattutto rispetto ai livelli di assistenza. Vero è che spesso sono le stesse regioni a non rispettare (pienamente) gli impegni presi, soprattutto nel Centro-Sud, ma la loro proposta denota un’attenzione nei confronti della sanità che si fatica a vedere nelle proposte del governo, il quale continua a considerare il servizio sanitario una semplice spesa da finanziare. In tal senso il punto segnato dalle Regioni lascia l’amaro in bocca: la verifica del raggiungimento degli obiettivi economico finanziari e di miglioramento dei servizi dovrebbe essere interesse primario del governo centrale, garante dell’uniformità dei livelli di assistenza e certamente tecnicamente attrezzato per proporre soluzioni adeguate.
C’è infine un altro punto segnato dalle regioni. Riguarda gli interventi nei confronti delle amministrazioni in disavanzo tenute al piano di rientro. Anche in questo caso ha prevalso la soluzione proposta dalle regioni, alle quali il governo ha ceduto in maniera affatto convincente. L’accordo prevede che “in caso di mancata presentazione o insufficienza del piano, la regione viene commissariata (il presidente della regione assume il ruolo di commissario ad acta  per la redazione e attuazione del piano di rientro)”.
Il fatto che il commissario ad acta debba necessariamente coincidere con il presidente della regione è un paradosso. Il commissariamento è una sanzione e non ha alcun senso che il commissario sia lo stesso presidente che potrebbe essere, almeno in parte, responsabile del dissesto finanziario. Se poi si considera che i cittadini sono puniti per il dissesto, tramite l’aumento obbligatorio delle aliquote Irpef e Irap, mentre nessuna penalizzazione è prevista per i politici, appare evidente che sulla responsabilizzazione finanziaria delle regioni si fa fatica a passare dalle parole ai fatti.

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  1. marcello battini

    La scelta del Governo nazionale di non volersi occupare delle verifiche e dei controlli, nei confronti delle Regioni, a garanzia dei cittadini, chiarisce, oltre ogni dubbio, la scarsa attenzione assegnata alla questione sanità. La scelta d’incaricare i Governatori, se ne ricorrono i presupposti, di fare i Commissari ad "acta", completa il totale disinteresse verso una questione di rilievo costituzionale. Niente di nuovo, anzi, sempre peggio. Chissà se un giorno anche le "veline" avranno un soprassalto di dignità.

  2. marco

    Visto questi presupposti credo che sarebbe meglio lasciare alle regioni il prelievo fiscale e quindi le risorse per finanziare la sanità. Perfettamente inutile e ridicolo un commissariamento da parte del governatore della regione, che dopo essere stato parte in causa del dissesto, verrebbe anche premiato, perchè non credo che il ruolo di commissario sarebbe svolto gratuitamente. Monitoraggi e verifiche hanno senso e sono importanti strumenti, se supportano successivi meccanismi premianti o sanzionatori nel caso di raggiungimento o meno degli obiettivi. Le linee guida delle regioni nel punto 1.2. a) rivolgono l’attenzione alle strutture private anche per il controllo della spesa. Quale spesa, la loro, quella regionale o nazionale? Coinvolgere i privati nel controllo della spesa pubblica…? La questione è in contraddizione e non chiara.

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