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IN RICORDO DI PAUL ANTHONY SAMUELSON

Il ricordo di Paul Samuelson resterà indelebile per generazioni di economisti. Semplicemente, è stato il massimo economista del Novecento, insieme a John Maynard Keynes. Ha contribuito a rifondare la disciplina economica su basi matematiche nuove e più rigorose. Ma non c’è campo dell’economia in cui non abbia lasciato risultati fondamentali, imprescindibili punti di riferimento per chi è venuto e verrà dopo di lui. In tutto, ha avuto la semplicità della grandezza, non solo nell’eleganza dei suoi modelli, ma anche nella vita quotidiana. Il ricordo di Fabio Ranchetti.

 

Sembra impossibile che non sia più tra noi. Fino a poche settimane fa leggevamo ancora sulla stampa i suoi acuti commenti sull’attualità economica, per la quale ha sempre dimostrato interesse non minore della sua passione per l’analisi economica. Ma la ragione per cui il suo ricordo resterà indelebile per generazioni di economisti è che Paul Samuelson è stato un vero gigante di questa disciplina, anche a confronto con i più illustri tra i suoi coetanei. Semplicemente, è stato il massimo economista del Novecento, insieme a John Maynard Keynes. E non c’è campo dell’economia in cui non ci abbia lasciato risultati fondamentali, imprescindibili punti di riferimento per chi è venuto e verrà dopo di lui.

CONTRIBUTI MEMORABILI IN TUTTI I CAMPI

Si era imposto giovanissimo con una tesi di dottorato intitolata nientemeno che Foundations of Economic Analysis, e raramente titolo è stato più appropriato: con quella tesi, presentata nel 1941 a soli 26 anni, Samuelson contribuì alla rifondazione dell’economia su basi matematiche nuove e più rigorose, quelle che avrebbero poi portato all’analisi di equilibrio generale di Kenneth Arrow e Gérard Debreu. Nella sua tesi, poi divenuta un libro famoso, mostrò quanto potesse essere fruttuosa l’applicazione sistematica all’economia dell’ottimizzazione vincolata e del “principio di corrispondenza”, tratti dalla fisica. (1) Oltre a generare un impressionante numero di predizioni teoriche, spesso verificabili empiricamente, questi metodi fornirono dei principi unificanti all’analisi economica, che nei decenni successivi Samuelson e molti altri economisti hanno applicato a tutti i campi dell’economia: la teoria del consumo, l’economia del benessere, la teoria del commercio internazionale, la teoria del capitale e della crescita, l’economia pubblica, la teoria del ciclo economico e la finanza.
In ciascuno di questi campi Samuelson ci ha lasciato contributi memorabili. Nella teoria del consumo, ha formulato il principio delle “preferenze rivelate”, tuttora fondamentale in microeconomia. Nella teoria del commercio internazionale, ha proposto il famoso teorema di Stolper-Samuelson, secondo il quale aprire un paese al commercio internazionale tende ad avvantaggiare il fattore di produzione più abbondante in quel paese, risultato che ha posto le basi per i lavori successivi sulla determinazione dei salari e dei tassi di interesse di equilibrio in presenza di libero scambio. Nella teoria del benessere, ha mostrato come le scelte collettive possano essere analizzate attraverso quelle che ora sono note come “ funzioni Bergson-Samuelson del benessere sociale” e ha proposto la nozione di “beni pubblici”, tuttora fondamentale per l’analisi dell’intervento statale nell’economia. In macroeconomia, ha contribuito alla formalizzazione dell’analisi keynesiana, pervenendo insieme a John Hicks e a Franco Modigliani alla “sintesi neoclassica” del modello IS-LM su cui si sono formate generazioni di studenti. In economia pubblica, ha ideato insieme a Peter Diamond il modello a generazioni sovrapposte, tutt’ora ampiamente usato per studiare le conseguenze della politica fiscale e della struttura del sistema pensionistico. In finanza ha dato contributi fondamentali alla teoria dell’efficienza informativa dei mercati e alla teoria della valutazione delle opzioni.

LA SEMPLICITÀ DELLA GRANDEZZA

Oltre all’importanza di ciascuno di questi contributi, ciò che impressiona è stata la sua capacità di spaziare tra tanti settori in un’epoca di crescente specializzazione. E al tempo stesso non ha mai esitato a misurarsi sul terreno della politica economica, giudicando a volte in modo tagliente le scelte dei governi, né a usare il suo talento e le sue conoscenze per consigliare il governo statunitense, quando ne ha avuto la possibilità. In questo, niente è stato più lontano da lui del luogo comune del teorico dell’economia che vive rinchiuso nella sua “torre d’avorio”, incapace di rapportarsi agli eventi che lo circondano.
In tutto ha avuto la semplicità della grandezza, non solo nell’eleganza dei suoi modelli, ma anche nella vita quotidiana. Molti lo ricordano con il vezzo del papillon da professore di altri tempi, ma io preferisco ricordarlo nella cordialità con cui riceveva gli studenti nel suo ufficio di “Institute Professor” del Mit; al pari di Robert Solow e Franco Modigliani continuava a insegnare pur essendo stato dispensato dal farlo per i suoi meriti nella ricerca, e lo faceva per il solo piacere del rapporto con gli studenti. Ricordo ancora la mattina in cui Samuelson, avendo dimenticato una lezione ed essendo stato richiamato all’ordine da una solerte segretaria, si presentò trafelato e ancora in tenuta da tennis a noi attoniti studenti. Senza bisogno di appunti, fece la più bella lezione sul tasso di interesse che abbia mai sentito, spaziando da dotte citazioni dalla Bibbia e dagli scritti di San Tommaso di Aquino a richiami di termodinamica e alle più raffinate analisi matematiche del risparmio e dell’investmento. Questo era Paul Samuelson.

(1) L’ottimizzazione vincolata è lo strumento che gli economisti usano per descrivere le scelte razionali di consumatori e imprenditori: i consumatori massimizzano l’utilità sotto il vincolo di bilancio, e gli imprenditori massimizzano i profitti sotto il vincolo della tecnologia. Il “principio di corrispondenza” è l’ipotesi che i fenomeni economici siano stabili nel tempo, cosicché se la situazione di equilibrio di lungo periodo viene perturbata, il sistema alla fine perviene a un nuovo equilibrio di lungo periodo, potenzialmente diverso da quello iniziale. Il confronto tra questi due equilibri di lungo periodo è ciò che gli economisti chiamano “statica comparata”. Se gli equilibri di lungo periodo non fossero stabili, non si potrebbe validamente confrontare i punti di stazionarietà di un sistema dinamico, dopo che esso è stato perturbato alterandone un parametro.

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11 commenti

  1. Riccardo Cecchini

    Una domanda semplice semplice: è stato il massimo economista o il massimo divulgatore di economia?

    • La redazione

      Anche se Samuelson è stato un grande divulgatore di economia (davvero non saprei se il massimo oppure no), non è certo quello il maggiore dei suoi meriti. La lista e il calibro dei suoi contributi di ricerca, della quale ho provato a dare una lista (certamente incompleta) nel mio articolo dovrebbe bastare a mostrarlo in modo lampante.

  2. Fabio Ranchetti

    L’articolo di Marco Pagano è bello e informato, e da un’immagine veritiera di un grande protagonista del pensiero economico del secolo scorso. Non me ne voglia, tuttavia, l’amico e collega Marco, se ricordo che ci sono e ci sono stati nel Novecento altri economisti senza dubbio di pari livello. I primi nomi che mi vengono in mente: Hayek, Coase, Friedman e soprattutto Arrow, l’ampiezza dei cui interessi sopravvanza di gran lunga quelli di Samuelson. Meglio astenersi a dare la patente di "massimo" a qualcuno: come si fa a dire che che Adam Smith sia più geniale di François Quesnay, o Marshall di Edgeworth? O, per cambiare campo disciplinare, Heidegger sarebbe meglio di Wittgenstein? Sono domande un po’ insensate, che conducono a risposte fuorvianti: qui, meglio che altrove, vale la teoria economica delle preferenze.

    • La redazione

      Sono perfettamente d’accordo che Milton Friedman, Kenneth Arrow e Friedrich von Hayek sono tra i massimi economisti del novecento, ma nessuno tra loro ha dato contributi fondamentali in ogni settore dell’economia al pari di Samuelson. Lo stesso Arrow, pur essendo un teorico formidabile, a mio parere non ha avuto l’impressionante capacità di spaziare e di lasciare un segno indelebile in tutti i settori che è stata tipica di Samuelson. La sola ragione per cui mi pare giusto mettere solo Keynes allo stesso livello di Samuelson è che, pur non avendo la stessa versatilità e lo stesso rigore, ha rivoluzionato la prospettiva con cui analizziamo l’economia, come Samuelson e per certi aspetti ancor più di lui. Non mi pare che si possa dire lo stesso di Milton Friedman, al di là di qualunque divisione ideologica.

  3. Tommaso Aquilante

    Concordo su tutto, belli anche i ricordi personali ma ha dimenticato che un economista da annoverare tra i più grandi del’900: Milton Friedman (stesso Samuelson lo ha detto in molte circostanze) molto più di Keynes, ma capisco che per un Boston guy (Keynesiano) elogiare un Chicago guy (Friedman è stato l’anti – Keynes) è quasi impossibile.

  4. Dan Ferrato

    Sì Paul Samuelson è stato un grande riformatore dell’economia. Tuttavia mi sembra di ricordare che fu un consulente del governo Reagan, proprio per il suo modello di economia internazionale. Grande conservatore… Se mi sbaglio o ricordo male, qualcuno mi corregga per favore. Grazie.

    • La redazione

      Non mi risulta affatto che Samuelson sia mai stato consulente dell’amministrazione Reagan. Me ne stupirei moltissimo, perché ha criticato in modo serrato e duro molte delle politiche di quell’amministrazione. E’ stato invece consulente dell’amministrazione Kennedy.

  5. Giuseppe

    Ottimo articolo in ricordo di un grande uomo e un grande economista. Con un solo difetto:accostarlo a Keynes, l’economista più sopravvalutato della storia. Nell’introduzione tedesca alla sua "teoria generale "scrisse: La teoria complessiva della produzione che questo libro si propone di offrire,si adatta assai più facilmente alle condizioni di uno Stato totalitario, di quanto lo sia la teoria della produzione in condizioni di libera concorrenza.Il suo contributo alla soluzione della grande depressione è stato marginale,come il grande Professor Alesina ha avuto modo di spiegare sul Sole24ore. Si è molto arricchito speculando in borsa mentre in America dilagava la miseria, usufruendo della sua posizione privilegiata.

  6. cinianto

    Mi piace ricordare questo. Quando fu instituito per la prima volta il premio Nobel per l’economia questo fù assegnato a P. Samuelson. Solo sul suo libro ho compreso i meccanismi econimici che si interfaciano con la vita degli individui. Antonello Cini

  7. ELIA Franco

    Non mi esprimo, data la mia ignoranza, sulla superiorità dell’uno sull’altro. Anche perché, al di là del pensiero marxiano, non ritrovo, tra i moderni economisti, pensieri liberi non condizionati dal riferimento al modello capitalistico e, molte volte,se non sempre, in appoggio a politiche governative e, quindi, in spregio alla libertà della scienza. A mio parere questa caduta della scienza, lungi dall’essere, come fu quella marxiana, un’analisi critica dell’esistente, non apre spazi di pensiero e porta la società su una deriva economicista a scapito dell’umanesimo e del progresso umano. Un esempio viene dall’attuale disintegrazione degli agglomerati umani nazionali sotto la spinta di esigenze accorpative privatistiche internazionali, rispondenti cioè a logiche di accumulo ancorate al profitto e a bisogni indotti. In Italia non trovo economicisti che prendano in conto l’affermazione costituzionale del fondamento della Repubblica. Eppure quella è una perentoria direzione economica. Uno stato che si regge sul lavoro ne deve studiare le strutture e le capacità di risposta ai bisogni con ogni indicazione e correzione necessaria. Mi date una mano al lavoro di studio?

  8. Italo Nobile

    Si può dire che Samuelson sia quello che ha maggiormente integrato la propria scienza da un lato con il linguaggio formale della matematica, dall’altro con le esigenze della didattica. Quanto a von Hayek credo che sia più un grande filosofo dell’economia (assieme ad un altro grande dimenticato e cioè Gunnar Myrdal) che non un grande economista vero e proprio (della sua parrocchia politico-ideologica varrebbe appunto citare Friedman). Del resto non è stato fatto un bilancio condiviso di alcuni protagonisti dell’economia: Schumpeter, Sraffa, Robinson. Lo stesso Goodwin è pochissimo conosciuto

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