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I LIMITI DELLA VALUTAZIONE IMPOSTA PER LEGGE

Elemento cardine del decreto Brunetta è la valutazione dell’operato della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti. Ma le esperienze avviate a livello locale sono la testimonianza che i pur esigui processi virtuosi di valutazione emergono nel nostro paese nell’agire concreto delle organizzazioni e non come adempimento a un obbligo di legge. Integrare il sapere decentrato delle amministrazioni territoriali con la visione strategica del centro è un passaggio cruciale ai fini della programmazione delle politiche di investimento di uno Stato federale democratico.

Un principio cardine delle misure introdotte per l’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e per l’efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni ruota intorno al ruolo della valutazione delle prestazioni dei dipendenti, del rendimento delle istituzioni e degli esiti dei programmi pubblici. Il decreto legislativo 150 del 2009 sancisce al suo articolo 1 che la misurazione e la valutazione della performance sono volte al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la valorizzazione del merito e l’erogazione dei premi per i risultati perseguiti dai singoli e dalle unità organizzative.
 
CHI SONO I VALUTATORI
 
La funzione di valutazione è svolta da organismi indipendenti, cui compete la misurazione della prestazione di ciascuna struttura amministrativa nel suo complesso e la proposta di valutazione annuale dei dirigenti. Mentre a una commissione indipendente, i cui sei membri sono stati scelti tra eminenti personalità del mondo accademico italiano, è assegnato il compito di predisporre una graduatoria di performance delle amministrazioni statali, in base alla quale la contrattazione collettiva nazionale ripartirà le risorse, premiando le migliori strutture e alimentando una sana competizione.
Le nuove disposizioni legislative creano un nesso esplicito e cogente tra contrattazione decentrata, valutazione e premi di produttività. Come nel settore privato, contrattazione decentrata e retribuzione sono condizionate all’effettivo conseguimento di risultati programmati e di risparmi di gestione. Fino a che punto, però, una simile previsione trova terreno fertile nelle pratiche di valutazione che già esistono nelle pubbliche amministrazioni italiane? In altri termini, quali possibili fattori di ordine organizzativo e psicologico favoriscono od ostacolano una tale disposizione nel concreto operare delle amministrazioni statali, regionali e locali?
 
ESEMPI DA IMITARE
 
Benché il decreto sancisca, all’articolo 2, che ogni amministrazione pubblica sia tenuta a valutare la performance dell’amministrazione nel suo complesso e dei singoli dipendenti, il sistema è vincolante solo per le amministrazioni statali. Gli enti territoriali hanno relativi margini di adeguamento che aprono la strada, da un lato, a deroghe difficilmente controllabili, dall’altro a inedite soluzioni innovative.
È proprio nelle forme di valutazione condotte a livello locale che emergono le esperienze più promettenti, in grado di innescare effetti imitativi su più larga scala. Ad esempio, nei processi di valutazione condotti nei comuni di Reggio Emilia, Forlì e Bolzano, che sono segnalati tra i più innovativi, la definizione degli obiettivi si lega a concreti esperimenti di valutazione degli esiti dei programmi e della qualità dei servizi pubblici resi. Anche l’esperienza decennale maturata da un’azienda pubblica come l’Inps merita di essere approfondita in riferimento agli indicatori elaborati per la misurazione del lavoro.
Queste esperienze sono la testimonianza che gli ancora esigui processi “virtuosi” di valutazione esistenti in Italia emergono nel concreto operare delle organizzazioni e non come adempimento a un obbligo di legge. L’istituzione della valutazione con decreto ha finora mostrato evidenti limiti alla diffusione della cultura del risultato e della qualità. Le pratiche valutative diffuse nelle regioni, nei ministeri e nelle Asl sono forme ibride di valutazione ex-ante, procedure di ottimizzazione per la selezione dei progetti da finanziare, sistemi di monitoraggio dell’avanzamento finanziario e fisico dei programmi, controllo di gestione, accreditamento e certificazione. La verifica delle prestazioni dirigenziali è condotta secondo le modalità che ciascuna regione si è scelta senza alcuna garanzia contro comportamenti opportunistici e collusivi.
Le nuove impalcature istituzionali con esplicita missione valutativa rischiano di sovrapporsi a un contesto che, fatta eccezione per alcune realtà in regioni tradizionalmente più dinamiche, rimane ancorato a formule poco incisive, prive di indipendenza sostanziale più che formale.
Istituzionalizzare la valutazione non assicura una migliore gestione, né un cambiamento immediato delle politiche e delle pratiche di lavoro. La complessità dei processi decisionali non permette di isolare il contributo del monitoraggio, del controllo finanziario o dell’analisi di impatto alle scelte operative e strategiche.
Il problema è culturale: le valutazioni sono espressione di valori che influenzano il disegno dei programmi, le scelte metodologiche degli studi intrapresi e gli stessi giudizi valutativi. Ciò non è una minaccia all’indipendenza purché tali valori siano resi espliciti, dando testimonianza dell’evoluzione delle idee e delle conoscenze che sottendono le politiche pubbliche.
Il problema dell’indipendenza non si risolve con l’introduzione di meccanismi istituzionali in grado di superare le disfunzioni generate dai rapporti principale-agente. Occorre rivoluzionare le relazioni gerarchiche per sviluppare forme di collaborazione tra valutatori e manager utili a facilitare l’accettazione dei giudizi di valutazione, favorire l’apprendimento organizzativo e l’esercizio della responsabilità. Per aprire i processi decisionali all’apporto dei dipendenti nei vari livelli delle amministrazioni e ai cittadini, il coinvolgimento degli attori nella valutazione delle performance deve essere inclusivo sin dall’inizio, nella formulazione dei criteri e degli indicatori, nel processo di raccolta e analisi dei dati e non limitato al solo momento della diffusione dei risultati finali. Integrare il sapere decentrato delle amministrazioni territoriali con la visione strategica del centro è un passaggio cruciale per convogliare le informazioni rilevanti ai fini della programmazione delle politiche di investimento di uno Stato federale democratico.

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IL COMMENTO DI STEFANEL, DIRIGENTE SCOLASTICO

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  1. Andrea Garbin

    Per sei lunghi anni ho provato a fare sindacato in una Amministrazione Comunale, dal basso, in una lista formata da dipendenti pubblici senza partito e senza sindacato di riferimento. Non è una garanzia di buone pratiche, ma di indipendenza sicuramente, ho provato a spiegare ad altri sindacalisti e all’Amministrazione proprio questo concetto del coinvolgimento dei dipendenti nella formulazione di proposte per la valutazione e nella comunicazione dei contenuti, nell’esplicitazione e condivisione degli obiettivi. Se non si punta su una cultura della responsabilità e della condivisione non funzionerà mai, tantomeno per decreto.

  2. attilio tollis

    Ritengo che sia ormai ampiamente diffusa la consapevolezza che tutte le riforme realizzate ex-lege, in particolare nell’ambito della P.A., corrano spesso il rischio di essere implementate alla stregua di meri adempimenti normativi. Ciò detto credo che la questione della (ennesima) riforma del lavoro pubblico si ponga banalmente in questi termini: come attivare processi virtuosi senza ricorrere alla "scorciatoia" rappresentata dall’intervento normativo? Se però non si vuole ricorrere alla forzatura rappresentata dalla legge, l’autrice ha in mente strumenti efficaci e concreti che consentano di diffondere la cultura della valutazione, della meritocrazia e dell’innovazione organizzativa? Credo che sia ora di avanzare anche proposte concrete oltre a formulare osservazioni sul decreto Brunetta per quanto condivisibili. Ad esempio vogliamo dare premi alle amministrazioni che realizzano best practice e/o penalizzare quelle che continuano a perseverare con comportamenti opportunistici? In caso contrario con il solito riferimento all’autonomia organizzativa degli enti locali si fa poca strada e si formulano soltanto meri auspici destinati a restare tali.

  3. umberto carneglia

    Il cattivo funzionamento della cosa pubblica centrale e periferica e’ a mio avviso il principale problema del nostro Paese. La riforma Brunetta introduce dei principi e dei meccanismi interessanti, ma suscita forti dubbi. Accesso alla dirigenza (art.43 e seg.): avviene per il 50% per concorso pubblico. E la parte restante? Per appartenenza politica? Ci saranno quindi dirigenti di serie A e di serie B? Commissione per la valutazione ( art. 13 e 30): chi selezione e nomina i suoi membri? La politica? Comitato dei garanti (art.42): e’ nominato dal Presidente del Consiglio. Ispettorato per la funzione pubblica (art.71): opera all’interno della Presidenza del Consiglio. Organismi indipendenti di valutazione (art.14 e 30): sono nominati dall’organo di indirizzo politico amministrativo, verosimilmente di nomina politica. Appare evidente che gli organi di valutazione e controllo non sono indipendenti ma rispondono al Governo cioe’ alla politica. Quindi saranno "molto cauti" nel sanzionare comportamenti negativi qualora questi siano ispirati dalla politica. Se cosi’ fosse, avremmo fatto pochi passi avanti.

  4. Nunzio Leone

    La nota è bel appropriata. Ma il 286 è figlio di una cultura che per un giurista diventa una sorta di tormentone: basta una legge per imporre il cambiamento o è necessario metabolizzarlo culturalmente? Se non ci fossero stati i Ccnl che obbligavano a riconoscere le retribuzioni di risultato solo con la valutazione dei Nuclei, sarebbero sorti i Nuclei? E chi li nomina? Quando parlavo di performance i puristi dicevano che i termini anglosassoni sono espressione snobistica, oggi il 150 reca il termine per circa 90 volte. E la I dell’organismo, l’indipendenza chi la rassicura. Ma alla fine non possiamo crogiolarci nelle critiche, ma legare valutazione che vuol dire differenzazione a progetti, esiti, obeittivi, risultati e indicatori. E confrontarci in un momento ampio e unitario, in tutto il territorio nazionale, dove ci sono luci e ombre.

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