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ATTUARE IL FEDERALISMO? NON HA PREZZO

Si torna a discettare dei costi del federalismo. In realtà, la legge delega non prevede l’attribuzione di nuove funzioni né legislative né amministrative agli enti locali e dunque nessuna nuova devoluzione di spesa. Anzi, la sua attuazione potrebbe mettere fine al lungo conflitto di competenze tra Stato e Regioni. Sulla questione della definizione di costo standard servirebbe però maggiore chiarezza. Ma il rilancio dell’autonomia tributaria a livello locale è necessario. Perché anche il non-federalismo ha un costo.

Ci risiamo. Con l’avvicinarsi delle scadenze sui primi decreti leggi per l’attuazione della legge delega sul articolo 119 della Costituzione, è ricominciata nei media la solfa sui “costi del federalismo”. Il “federalismo”, qualunque cosa significhi, non lo possiamo fare, si dice, “perché non ce lo possiamo permettere”, soprattutto alla luce di quanto sta avvenendo in Europa. Ma cosa siano e quanti siano questi costi, “niun lo sa”. Nei giorni scorsi anche un commentatore generalmente preparato e attento alle cose economiche come Massimo Giannini, nel tentativo di rispondere a questa domanda, ha preso fischi per fiaschi, confondendo la spesa attuale delle Regioni in sanità, istruzione e assistenza – stimata dalla commissione tecnica sulla attuazione del federalismo fiscale in circa 133 miliardi di euro – con la nuova spesa che si dovrebbe devolvere alle Regioni, dimenticando che se i 133 miliardi costituiscono la spesa attuale, vuole dire che tributi propri regionali e trasferimenti già la finanziano, e non c’è dunque nessuna necessità di nuovi finanziamenti in vista. Allora è opportuno fare uno sforzo di chiarezza, prima che nel legittimo dibattito sul federalismo fiscale e dintorni si finisca per accapigliarsi sull’inesistente, invece di concentrarsi sui problemi seri.

I COSTI DEL FEDERALISMO

In linea teorica, ci possono essere molti costi addizionali derivanti dal decentramento fiscale. Se per esempio, si decentrano nuove funzioni, ma non il personale per svolgerlo, costringendo Regioni e enti locali ad assumerlo ex novo, avremo un costo addizionale, dovuto al moltiplicarsi delle burocrazie. Per quanto nessuno sia mai stato capace di fare i conti in modo corretto, è in parte successo con i “decreti Bassanini” della fine degli anni Novanta, quando funzioni di spesa per circa 30mila miliardi di lire vennero trasferite a Regioni e enti locali, senza riuscire a decentrare tutto il personale statale rilevante. Ma tutto questo non c’entra nulla con la legge delega 42/2009, che si occupa di dare un’interpretazione all’articolo 119 della Costituzione sui nuovi sistemi di finanziamento degli enti territoriali di governo, non sulle loro competenze. In altri termini, la legge delega non prevede l’attribuzione di nuove funzioni, né legislative né amministrative agli enti locali, e di conseguenza nessuna nuova devoluzione di spesa.
Un secondo possibile costo del decentramento è dovuto al moltiplicarsi delle sedi decisionali, con più enti legittimati a prendere decisioni sulle stesse materie, aumentando così l’ambiguità della legislazione e l’incertezza tra gli operatori. È sicuramente successo con l’approvazione del Titolo V della Costituzione nel 2001, a causa dell’espansione indebita delle competenze legislative delle Regioni prevista nel secondo comma dell’articolo 117 e di un meccanismo mal disegnato di attribuzione di queste funzioni, che non prevedeva un periodo di transizione al nuovo sistema. Di conseguenza, negli ultimi dieci anni la Corte costituzionale è stata costretta a un super lavoro per cercare di risolvere i conflitti di competenza tra Stato e Regioni, un processo che non si è ancora del tutto concluso. Ma di nuovo, tutto questo non c’entra nulla con la legge delega sul federalismo fiscale. Anzi, una chiarificazione del quadro delle risorse può contribuire a risolvere il problema, rendendo più aderente il quadro finanziario a quello delle competenze.
Una terza fonte di costi addizionali può essere legata invece alla stessa legge delega. La norma prevede nuovi meccanismi per la determinazione dei fabbisogni finanziari di Regioni ed enti locali nella gran parte delle loro funzioni, per oltre l’80 per cento della loro spesa attuale, legati ai costi standard piuttosto che alla “spesa storica”, cioè al finanziamento ereditato dal passato. Naturalmente, nella nozione di costi standard non c’è nulla che conduca a un’espansione della spesa locale. Al contrario, se i finanziamenti futuri fossero davvero basati sui costi “standard”, implicherebbero una riduzione dei trasferimenti per le amministrazioni più inefficienti, con conseguente risparmi di spesa. Ma data la difficoltà nel computo dei costi standard e i vincoli politici, molti hanno temuto che la partita si risolvesse in realtà in un tentativo di dare più risorse agli enti territoriali del Nord, per far contenta la Lega, e lasciare gli stessi soldi quelli del Sud, per non scontentare le altre anime nella coalizione di governo. Ciò comporterebbe sicuramente un’espansione della spesa. È difficile dire quanto il pericolo sia concreto. Finora il governo si è contraddistinto più per il tentativo di tagliare le risorse a tutti gli enti territoriali che per la voglia di darne di più ad alcuni. E se anche l’ipotesi di favorire il Nord avesse inizialmente albergato nella mente di Giulio Tremonti, l’attuale situazione economica ne rende assai difficile l’attuazione. Ma se il rischio esiste, vigiliamo su questo, invece di preoccuparci di indefiniti e inesistenti costi del federalismo.

LE COSE DA FARE

Quel che è peggio, il dibattito sui costi del federalismo e la conseguente richiesta di soprassedere all’attuazione della legge delega, rischia di allontanare la soluzione di una serie di problemi veri della finanza regionale e locale che invece vanno affrontati e alla svelta. Esiste un costo del non-federalismo che deve essere computato nel dibattito.
Il primo è il problema dell’autonomia tributaria a livello locale. L’eliminazione dell’Ici prima casa per i comuni, il blocco di tutte le addizionali (Irap e Irpef) per gli enti territoriali, ironicamente deciso dal governo in attesa dell’attuazione del “vero” federalismo fiscale, ha messo in ginocchio le amministrazioni territoriali, privandole di strumenti di flessibilità del bilancio, un problema reso ancor più serio dal varo di un Patto di stabilità interno tanto asfissiante quanto stupido. In assenza di risorse certe, gli enti locali hanno fatto ricorso alle fonti più diverse per colmare i buchi di bilancio, dai derivati agli oneri di urbanizzazione. Qui la soluzione più semplice e più logica sarebbe la reintroduzione di un’imposta locale sul patrimonio immobiliare, nelle more di un più generale ridisegno del sistema tributario che spostasse il carico fiscale dai fattori produttivi, capitale e lavoro, al patrimonio e ai consumi. Se non lo si vuol fare per ragioni politiche, si discuta allora di come riorganizzare il sistema tributario locale in modo alternativo. Per esempio, si parla di una nuova imposta locale sui servizi offerti all’abitazione e della devoluzione ai comuni di una serie di imposte erariali sugli immobili: il governo faccia qualche proposta seria, invece di limitarsi agli annunci sui giornali.
La seconda esigenza immediata è quella di rafforzare i controlli amministrativi e le sanzioni nei confronti degli enti territoriali che sfondano il bilancio. Come già denunciato più volte, è inutile prevedere il commissariamento delle “Regioni canaglia”, se poi il sistema punisce i cittadini, ma premia gli amministratori e i politici locali, trasformando il presidente della Regione nel commissario di se stesso. Il federalismo è responsabilità; e la legge delega prevede sanzioni (per esempio, l’ineleggibilità dei politici locali che hanno sfondato il bilancio) che dovrebbero essere introdotte, assieme al rafforzamento degli interventi (tramite task force governative) per riportare la spesa delle Regioni fuori linea a livelli accettabili di efficienza e di qualità nell’offerta di servizi.
Infine, la legge delega prevede un più forte ruolo delle Regioni nei confronti dei propri enti territoriali, sia per quel che riguarda la distribuzione dei trasferimenti erariali a comuni e province, sia per quello che riguarda la stipula di Patti di stabilità interna a livello regionale. Visto il disastro che lo Stato centrale ha finora combinato su questo fronte, si tratta di un’opportunità da non perdere.

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15 commenti

  1. padanus

    Buongiorno, non mi aspettavo un articolo così a favore del federalismo… Piacevole sorpresa. L’articolo guarda avanti, molto avanti, e si discosta dai timori che da molti vengono paventati in difesa dello status quo. Però su un punto mi pare legato al passato: "patrimoniale immobiare". Che significa reintrodurre un’imposta su un settore, guarda caso quello dei beni "al sole", diffusissimi anche tra le fasce di reddito basse (vedi alta % dei proprietari di casa) e che fatalmente viene girata sull’uso del bene primario per eccellenza (a danno di chi è in affitto). Ma perchè non si ragiona di una patrimoniale – tout court – che grazie ad una base molto più ampia avrebbe una incidenza assai più bassa? E poi dichiarare i patrimoni insieme ai redditi permette un controllo di plausibilità delle dichiarazioni (redditometro docet). Mi sembra di parlare come Visco… Non vorrei essere frainteso, ma in Svizzera fanno così e le tasse sono complessivamente più basse.

  2. Marco Esposito

    Sostenere a tutti i costi che l’attuazione del federalismo fiscale non avrà costi porta a costruire articoli un po’ ideologici, come questo del pur ottimo autore. Si pensi soltanto al costo per un’impresa di media grandezza di dover gestire rapporti con una pluralità di esattori. E poi, diciamolo con chiarezza, se il federalismo sarà attuato in modo da soddisfare gli appetiti di un partito territoriale il vero costo lo subiranno i cittadini che oggi sono meno (e peggio) rappresentati.

  3. francesco

    Lo scopo del federalismo è proprio di mantenere le risorse dove sono prodotte, e non di aumentare le tasse con patrimoniali o altre stupidaggini del genere. Se dobbiamo continuare a mantenere il sud perchè (dati del Sole 24 ore) l’80% del reddito è in nero, tanto vale che facciamo un’altra bella cassa del mezzogiorno e tanti saluti. E’ vero, con il federalismo il sud dovrebbe avere meno soldi dallo Stato, e allora il problema dov’é? Devono continuare ad essere mantenuti dagli altri? Lo sono già, se questa è l’intenzione meglio lasciar perdere il federalismo.

  4. Fulvio Krizman

    Anche riguardo al federalismo bisogna tenere conto di una cosa semplice ma quanto mai angosciante. L’Italia non è un paese fiscalmente normale. E’ in questa sua anomalia che s’inserisce il federalismo fiscale, che per certi suoi aspetti ha l’opportunità di far uscire allo scoperto responsabilità di mala amministrazione che sono stati continuamente coperti con un falso concetto di solidarietà che ha determinato la fine della solidarietà vera per una reale eguaglianza dei cittadini al di là della regione di appartenenza. Risolvere quindi le anomalie fiscali che si chiamano evasione ed elusione, dal quale derivano sfruttamento e lavoro nero che genera evasione contributiva e previdenziale. In questa situazione di (illegalità diffusa) parlare di rientroduzione dell’ICI o di nuovi balzelli locali è troppo facile. Gli amministratori locali sanno dove sul loro territorio si possono annidare ingiustizie fiscali e spero anche che finalmente si comprenda che la giustizia fiscale è un caposaldo per la democrazia di un paese. Fulvio Krizman

  5. Marta

    Ovviamente, un articolo sul federalismo diventa l’occasione anche per commenti contenenti la solita solfa menzognera del Nord che mantiene il Sud. Su un sito come questo ci si aspetterebbe di trovare commenti di lettori più informati.

  6. luigi del monte

    Mi chiedo come mai nessun giornalista economico l’abbia capito. Mi pare ovvio che se, per esempio, si volesse dare i soldi non a spesa storica ma a spesa media vuol dire che chi sta sopra la media riceva di meno (bisogna controllare che non aumenta il numero del bene acquistato altr siamo punto a a capo) e che chi spende di meno della media o riceva più soldi di prima con l’effetto di riforma a costo zero o solo per lui vale la spesa storica e la riforma è a costo negativo, cioè un risparmio. Va bene che i politici non sono dei matematici o laureati in settori scientifici, ma il concetto di media è da terza media!! ma siamo sicuri che questa sia una riforma federale? A me, simpatizzante leghista, sembra che sia un centralismo più efficiente di oggi con premi e sanzioni. cosa dire sul commissariamento dei presidenti di regioni? Scandaloso, se uno è votato e riesce nell’intento con poteri ordinari bene, altr commissariamo con organo governativo. un po’ come sta succedendo in Grecia che ne è stata limitata la sovranità nazionale.

  7. stefano fantacone

    Grazie per il contributo -ulteriore- alla chiarezza nel confuso dibattito sul federalismo. Ma un punto continua a rimanermi oscuro: la sanzione di ineleggibilità per il politico che "sfonda il bilancio". E che incentivo è mai questo? Il politico vive, appunto, di politica e la massima sanzione e per lui perdere una tornata elettorale (basta pensare allo scorno che affligge i leader del PD per non riuscire iù a vincere un’elezione). Se invece al politico impediamo per legge di partecipare alle elezioni, allora creiamo un vero e proprio incentivo (distorto) a scappare con la cassa! E poi, più seriamente, il federalismo ha senso se responsabilizza l’intera collettività locale, non il singolo amministratore che, appunto, può sempre scappare con la cassa.

  8. Marino

    L’uso del costo standard al posto della spesa storica va benissimo. Nel senso più semplice, si prende la spesa sanitaria di un paio di regioni virtuose (Emilia e Veneto) si divide per il numero degli abitanti delle due regioni e si ottiene la spesa procapite. Per ogni regione si moltiplica la spesa procapite per il numero degli abitanti (ovviamente non è così semplice, va ponderato sulle classi di età ecc.) e si assegnano i fondi. Ma non è federalismo, è una razionalizzazione dei trasferimenti centrali. Ho dei dubbi sull’ineleggibilità dei politici locali che hanno sfondato il bilancio. Non che non se lo meritino, ma (fatto salvo il caso teorico di chi si trova il bilancio in attivo e conclude il mandato con un ammanco) è difficile accertare le responsabilità (che sono individuali) e la perdita dell’elettorato passivo al di fuori di una condanna penale forse è incostituzionale. Ma nominare commissario straordinario il presidente in carica, no, andrebbe vietato.

  9. Marcello Battini

    A prescindere dal federalismo, sono due le cose da sostenere: 1) se un ente riduce la ricchezza, allora deve essere commissionato. Il commissario deve essere estraneo all’amministrazione in causa e deve essere un esperto qualificato. Si tratta, come per la Grecia, di applicare una riduzione di sovranità. 2) La punizione, oltre che politica, deve essere anche economica e deve riguardare, non solo i politici e i dirigenti dell’ente da commissariare, ma tutti i dipendenti dell’ente in questione, così da creare un reale conflitto d’interessi, interno all’amministrazione e insieme evitare che soggetti esterni paghino per colpe di cui non sono responsabili (si pensi all’aumento dell’Irap, in alcune regioni a rischio "sanità" che potrebbero determinare al chiusura di fabbriche e quant’altro).

  10. francesco

    Sono oramai cinquant’anni di legislature che sento parlare di cassa per il mezzogiorno, aiuti straordinari per il mezzogiorno, finanziamenti per il mezzogiorno, problema mezzogiorno. Non sono io che sostengo che il nord mantiene il sud. Non è così? Niente di meglio, allora eliminiamo tutti questi finanziamenti al mezzogiorno e nessuno avrà più da ridire, ci saranno solo finanziamenti uguali per tutti, nord e sud.

  11. Francesco Burco

    Sono a favore di un federalismo anche duro, che colmando le lacune dei nostri politici amministratori, costringa le regioni (ma si parla a livello regionale?) sprecone a una cura lacrime e sangue; però di qui a dire che non avrà costi mi sembra che ce ne passi. Soprattutto nella fase di start up. Premesso che non io non ho minimamente capito quale siano le entrate in odore di devoluzione alle regioni (le imposte dirette o quelle indirette? le tasse? mah). Premesso che capisco dall’articolo che non essendo devolute competenze, il tutto dovrebbe risolversi a livello di sistema Italia in un gioco a somma zero, cioè riduzione dei trasferimenti dallo Stato e simmetrico incremento del potenziale esattivo delle Regioni. Poi va da sè che nel gioco di sistema a somma zero qualche redistribuzione ci sarà sennò non ha senso, la regione sprecona dovrà avere meno soldi e qualche virtuosa di più. Comunque il solo fatto che vi siano due centri di riscossione diversi, due o più postestà legislative, due procedure di riscossione, l’esigenza di riconciliare e rendicontare i conti al centro, due funzioni di controllo etc…Il tutto moltiplicato per il numero di regioni…mah…

  12. renato foresto

    Sono d’accordo con l’autore che il non-frderalismo abbia un costo. Fa testo al riguardo la " ristrutturazione della spesa nella Procura di Bolzano " narrata da un quotidiano qualche anno fa che ha recato un risparmio del 60 % dei costi e un accorciamento dei tempi della Giustizia: sessanta per cento di sprechi pubblici nel profondo nord. Mi aspettavo allora una girandola di inchieste analisi pressioni per estendere lo snellimento a tutto l’ apparato giudiziario, ma non ho più avuto notizie. E’ diffusa opinione che il nord mantenga una sanità efficiente e il sud inefficiente ma non è questione di bianco e di nero perché anche al nord prevale il grigio. Ho sott’ occhio il risultato dell’ indagine fatta dalla Corte dei Conti dell’ Emilia- Romagna sulla Sanità di quella Regione, da cui ho isolato l’ andamento dei costi delle 11 Asl locali nel triennio 2002-2005. Sono cresciuti nell’ insieme da 1468 € per abitante a 1753 ma con tassi annuali ( + 69, +122, +94 ) così strani da apparire slegati alla produttività. Ma c’ é di più: fra le 11 Asl ce n’ é 6 la cui spesa ha raggiunto 1651 € per abitante e le altre 5 € 1876: quale sarebbe il futuro costo standard di riferimento ?

  13. dvd

    Al di là delle opinioni in merito ai dati economici sovranazionali (ossia il vero governo "immateriale") ci dicono che l’europa deve smettere di spendere e sprecare e ritornare a lavorare con efficienza. Ora se l’Italia fosse nel suo complesso saggia e virtuosa (un pò come la Germania per intenderci) non si parlerebbe di modifica alla Costituzione, riforme strutturali, federalismo, "ghigliottine" fiscali e chi più ne ha più ne metta; ma visto che non lo siamo e ci sentiamo sempre i più "furbi" del mondo solo perchè abbiamo il mare, il sole e altre stupidate del genere, occorre che, come per i bambini, si tiri via dalle mani il "giochino" per vedere come si reagisce. Al di la dei costi delle eventuali nuove "burocrazie locali" (per me si creeranno solo nelle zone meno virtuose) il dato che poi emergerà con chiarezza è chi spreca e chi no, chi lavora e chi no, chi paga le tasse e chi no ecc… Perchè poi si ragionerà per paragone e contrapposizione, si spera "costruttiva" e non "ideologica"! Almeno proviamoci ! Forse che la strada attuale della "centralità" ci ha portato lontano e vittoriosi rispetto ai nostri "pari" europei!? Non penso proprio!

  14. sergio sciancalepore

    Chiedo che qualcuno mi chiarisca questo atroce dubbio: Quando si parla di regioni del nord (tipo Lombardia) in cui si pagano molte più tasse/procapite rispetto ai soldi spesi nel territorio (Roma ladrona docet…), nelle cosidette tasse pagate sono anche incluse quelle versate dalle grandi società (Banca Intesa Sanpaolo; Unicredit ecc. Eni Enel ecc…) notoriamente prodotte con il lavoro svolto su tutto il territorio nazionale e non solo? Se è così, non dovrebbero essere sterilizzate tali entrate al fine di verificare il reale rapporto tra contribuzione e servizi pubblici goduti? Rimango in attesa. Grazie.

  15. emmanuele cangianelli

    Credo che occorrerebbe da subito, per coprire i "buchi" nati dall’abolizione ICI prima casa, attivare alcune delle proposte della prima Commissione sul federalismo fiscale ("Vitaletti" settembre 2005): "Prelievi su alcolici, tabacchi e giochi: sebbene siano destinati alle entrate erariali, sembrano prestarsi piuttosto agevolmente a finanziare le Regioni, che costituiscono il livello al quale viene effettuata la grande massa dei servizi pubblici a domanda individuale"; "in questo modo consumi “non meritevoli” (come il gioco e il consumo di alcol e tabacco) finanzierebbero quelli “meritevoli”, come la sanità e l’istruzione"; "Il grado di attendibilità del riparto può ragionevolmente essere ritenuto elevato quando, con riferimento al territorio regionale, i dati sugli incassi di un determinato tributo forniscono informazioni attendibili sul gettito prodotto".

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