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Sull’evasione parlano i dati

Con la preparazione della nuova manovra finanziaria torna alla ribalta la discussione sull’evasione fiscale e sui modi per contrastarla. Prima di tutto, però, sarebbe necessario capire che cosa è accaduto in questi ultimi anni. I dati ci dicono che affidare la lotta all’evasione solo a strumenti che agiscono a valle delle dichiarazioni non è sufficiente. Bisogna invece riflettere su forme di contrasto a monte, soprattutto in un sistema economico come il nostro dove agiscono sei milioni di partite Iva.

In Italia, come del resto in altri paesi, le statistiche sull’’evasione fiscale sono scarne. Per limitarsi a quelle più recenti e affidabili, disponiamo oggi delle stime dell’’ufficio studi dell’’Agenzia delle Entrate (Usage) sull’’evasione dell’’Iva (dal 1982 al 2004) e dell’’Irap (dal 1998 al 2002), nonché di quelle dell’’Istat sul sommerso economico (fino al 2006, ma con una rottura nella serie dal 2000). Questi dati dicono alcune cose interessanti, e relativamente poco note, sull’’andamento dell’’evasione delle imposte ad ampia base imponibile, come l’’Iva e l’’Irap, e sul sommerso economico. La loro interpretazione, tuttavia, rimane in larga parte inesplorata.

LA SECONDA METÀ DEGLI ANNI NOVANTA E I PRIMI ANNI DUEMILA

Le fonti citate indicano per questo periodo o per parti di esso una diminuzione dell’’evasione dell’’Iva, dell’’Irap e del sommerso economico come risultante dalla vecchia serie Istat. Per l’Iva si passa dal 36,1 per cento del totale nel 1996 al 31,2 per cento del 2001, con un valore minimo del 26,9 per cento nel 1999. (1) Per l’Irap dal 27,3 per cento del totale nel 1998 al 21,9 per cento del 2001. (2) Per il sommerso la media passa dal 16,45 per cento del Pil del 1996 al 15,65 per cento del 2001. (3)
Non è semplice capire le ragioni di questi fenomeni. Un primo fattore è probabilmente il più ampio ricorso alle tecnologie informatiche, che hanno reso possibile l’’incrocio dei dati dichiarati al fisco in tempi brevi e che, anche grazie all’’innovazione del fisco on-line, hanno generato nei contribuenti la percezione di una maggiore capillarità dell’’azione di dissuasione. Secondo alcuni potrebbero avere avuto un peso anche la riorganizzazione dell’’amministrazione finanziaria e l’’adozione del modello per Agenzia, più snello ed efficiente rispetto a quello precedente. Vi è anche chi enfatizza il ruolo delle innovazioni normative di quel periodo, come l’’adozione degli studi di settore, nonché l’’effetto-Visco, riassumibile con l’’idea di un messaggio coerentemente severo nei confronti dell’’evasione.
L’’inizio del secolo segna un’’inversione di tendenza per l’’evasione dell’’Iva, che torna a crescere in particolare dal 2003, raggiungendo, secondo Usage, il 33 per cento della base imponibile teorica nel 2004. Al contrario, la nuova serie Istat sul sommerso economico testimonia una continua riduzione dal 2000 (media pari al 18,7 per cento) al 2005 (17 per cento). (4) In quest’ultimo caso è relativamente più semplice comprenderne le ragioni, perché è la stessa Istat a indicarle nella sanatoria dei lavoratori immigrati irregolari del 2002.
Per quanto riguarda la ripresa dell’’evasione dell’’Iva, una spiegazione potrebbe essere connessa con il ruolo giocato dalle compensazioni indebite, che, grazie alla creazione di crediti fasulli dovuti all’’occultamento del fatturato (o alla contabilizzazione di falsi costi), potrebbe aver funzionato come un vero e proprio bancomat dell’’evasione. (5) Inoltre, l’’affievolirsi progressivo dei ricavi presunti dagli studi di settore, dovuto anche alla massiccia manipolazione dei dati da parte dei contribuenti, potrebbe aver giocato un ruolo negativo non trascurabile.

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GLI ANNI DAL 2006 IN POI

Il 2006 è l’’ultimo anno per cui (a oggi) possediamo delle stime ufficiali, quelle dell’’Istat, che indicano una riduzione del valore medio del sommerso economico di circa 0,9 punti percentuali in quota di Pil tra il 2005 e il 2006. La riduzione è dovuta quasi esclusivamente alla minor incidenza della componente di occultamento del fatturato (e di sovra dichiarazione dei costi intermedi), che è diminuita di 0,7 punti percentuali sul Pil in un anno. La stessa Banca d’’Italia stimava in circa il 15 per cento la parte di aumento di gettito riconducibile all’’aumento del grado di adesione “indotto dall’’intensificarsi dei provvedimenti di contrasto dell’’evasione” e a “modifiche strutturali” tra cui “l’aumento del peso della grande distribuzione”. (6) Quest’’ultimo accenno è particolarmente interessante perché nell’’analisi prevalente l’’influenza dell’’organizzazione e della dimensione di impresa sull’’evasione è sottovalutata rispetto ai fattori tradizionali (la probabilità di un controllo e l’’entità delle sanzioni) e a quelli morali e culturali. Le stime dell’’Istat e della Banca d’’Italia avvalorano quindi, quantomeno per il 2006, le rivendicazioni del governo Prodi sui risultati ottenuti nella lotta all’’evasione.
Per gli anni successivi al 2006 non disponiamo ancora di stime ufficiali. Tuttavia, risulta utile uno sguardo a un indicatore indiretto ma significativo, ovvero il rapporto tra il gettito netto dell’’Iva e alcune grandezze macroeconomiche di riferimento: i consumi delle famiglie e le risorse interne, pari alla somma del Pil e delle importazioni nette. Se la propensione all’’evasione fosse costante nel tempo, questi rapporti dovrebbero essere anch’’essi costanti quando le aliquote e le basi imponibili sono stabili. Ebbene, analizzando questi rapporti si nota che hanno andamenti simili a quelli degli indicatori dell’evasione descritti in precedenza, con un aumento tra il 1996 e il 2000 e una riduzione negli anni successivi fino al 2005, un incremento nel biennio 2006-2007 e una nuova riduzione nel biennio successivo (si veda la figura 1). In assenza di spiegazioni alternative,– l’’aumento della quota di consumi destinati a beni ad aliquota ridotta, pur avvenuta nel 2008, non è infatti in grado di spiegare il fenomeno se non in minima parte,– l’’ipotesi di un incremento della propensione all’’evasione in questi ultimi due anni è più che plausibile. Secondo alcune tesi, potrebbe essere riconducibile alla crisi, che, colpendo una fascia di Pmi e lavoratori autonomi privi di coperture, ha indotto il ricorso all’’evasione come una sorta di ammortizzatore sociale occulto.

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Figura 1: L’’Iva di competenza in rapporto ai consumi e alle risorse interne: 1996 – 2009

Per quanto carenti siano le nostre conoscenze sull’’evasione e sulle politiche idonee a ridurla, i dati del biennio 2008-2009 – quando accertamenti e riscossioni sono aumentati molto ma anche l’’evasione è cresciuta – nonché altre informazioni (ad esempio, il paradosso che l’’incidenza dell’’evasione sia maggiore nelle regioni in cui è più elevata la probabilità di essere accertati), ci dicono che affidare la lotta al fenomeno solo a strumenti che agiscono a valle delle dichiarazioni non è sufficiente. L’’arrivo nel 2011 del nuovo “redditometro” non farà eccezione a questa regola. È quindi necessario aprire una discussione specifica sugli strumenti di contrasto dell’’evasione a monte, soprattutto in un sistema economico come il nostro dove agiscono 6 milioni di partite Iva. Su questo tema ci ripromettiamo di tornare in un prossimo futuro.
(1) “Le basi imponibili Iva. Aspetti generali e principali risultati per il periodo 1980-2004”, a cura di S. Pisani e M. Marigliani, Documenti di lavoro dell’’ufficio studi dell’’Agenzia delle Entrate, 2007/7, www.agenziaentrate.it/ufficiostudi.
(2) “Analisi dell’’evasione fondata su dati Irap. Anni 1998-2002”, a cura di S. Pisani e C. Polito, Documenti di lavoro dell’’ufficio studi Agenzia delle Entrate, 2006/2, www.agenziaentrate.it/ufficiostudi.
(3) Cfr. La misura dell’’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali, Anno 2002, 5 ottobre 2004, Istat.
(4) Vedi “La misura dell’’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali”, Anni 2000-2006, 18 giugno 2008, Istat.
(5) La crescita tumultuosa delle compensazioni Iva indebite, come nuova forma di evasione fiscale degli anni Duemila, è sostenuta da R. Convenevole in “La materia oscura dell’’Iva”
(6) Relazione annuale del Governatore della Banca d’’Italia, 2006, pp. 136-137.

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15 commenti

  1. Alessandro Savorana

    Arginare il fenomeno dell’evasione non é impresa facile. Peraltro, in periodi di congiuntura sfavorevole, l’evasione tende a lievitare quale compensazione alla contrazione del reddito disponibile. L’articolo è interessante. Concordo sull’insufficienza dei controlli a valle. Occorre intensificare a monte i controlli effettivi presso gli operatori, che può rivelarsi uno strumento dissuasivo efficace. E’ però del pari opportuno ripristinare un sistema di regole certe e di garanzie nel rapporto tra fisco e contribuente, al fine di evitare indesiderate distorsioni in sede di accertamento. Dall’abuso di diritto, alla valutazione di merito delle scelte imprenditoriali presunte antieconomiche, il confine tra lecito risparmio di imposta e una contestazione per elusione è sempre più sottile. L’esigenza di confidare su regole certe di imposizione risponde a principi di equità, e legittimo affidamento. Il risparmio di imposte lecito non deve essere perseguito; vanno perseguiti i veri evasori.

  2. Maurizio

    Nel Paese con il record di pressione fiscale ci si concentra sempre e solo sull’evasione fiscale. Facciamo finta che da domani tutti pagano, senza eludere ne evadere, il dovuto a quanto arriverebbe la pressione fiscale? qualcuno ha fatto un calcolo? è sostenibile? Ma qualcuno si rende conto che molte attività produttive non sono più possibili nel nostro Paese proprio per una serie di balzelli, tasse, imposte ecc ecc. Qualcuno si rende conto che dietro la chiusure di queste piccole attività ci sono posti di lavoro, gente che si alza la mattina e fa il piccolo piccolo imprenditore. Non è una selezione di mercato che comporta la loro sparizione ma una selezione dello stato che si è dotato di strumenti mafiosi per riscuotere solo dai piccoli quello che ormai non è definibile come tassazione. Quando il piccolo imprenditore deve lavorare per lo Stato e se non riesce a pagare qualcosa gli viene tolta la casa, la macchina i risparmi non siamo più alla tassazione ma alle estorsioni. Da oggi non chiamiamolo più sistema fiscale ma racket fiscale e gli evasori chiamiamoli ribelli o disperati adeguamo il voabolario.

  3. dvd

    Se la notizia è che la gente di (abc) non paga la tassa sui rifiuti perchè non c’è il servizio, o il canone rai o la dia per la ristrutturazione del pollaio, nessuno si scandalizza, ma se diamo la notizia che il piccolo artigiano o il commerciante di (abc) non emette lo scontrino, ma paga la tassa sui rifiuti, il canone rai e la dia per l’insegna, è sdegno, gogna, e chi più ne ha più ne metta. Nessuno poi a dire della casa e sue spese, tutto o quasi sottofatturato. Sono forse solo gli incalliti dell’evasione con la p.iva o sono anche i salariati? Che dire poi delle norme fiscali che si applicano tanto alla Fiat quanto alla piccola Srl familiare che senza il lavoro della mamma del figlio e della nonna, chiude e lascia per strada anche 5/6 dipendenti. Perchè tanta differenza nel valutare situazioni sostanzialmente simili? Per logica non ci arrivo, solo per motivi di cassa (facilità della raccolta) ed effetto mediatico lo comprendo. Siamo però sicuri che sia questo il vero problema? Non credo. I mercati finanziari capaci di mostruosità ma sintesi del pensiero di milioni di operatori, ci dicono che il problema vero non è il fisco ma la spesa, a noi la soluzione, non demagocica !!

  4. AM

    Facendo seguito al commento di Maurizio, ipotizziamo che improvvisamente per timore della repressione o per responsabilità sociale tutti gli italiani e gli immigrati decidano di pagare puntualmente e correttamente tutte le numerose imposte. Le entrate della PA e la pressione fiscale farebbero un balzo all’insù, E poi? Si potrebbe ridurre il debito pubblico e abbassare numero ed aliquote delle imposte. Io sono pessimista e penso che aumenterebbero la spesa e gli sprechi. Abbiamo un esempio con l’ICI. In molti comuni di villeggiatura dove le seconde case sono attorno all’80-90% e dove le rendite catastali per questo tipo di abitazioni sono elevate e si applicano le aliquote massime consentite le finanze comunali nuotano nell’oro. Cosa succede? Aumentano le spese, vi sono sprechi di ogni genere e il numero dei dipendenti comunali sale ben oltre il necessario.

  5. Fabrizio

    Resto allibito a leggere che qualcuno cerca ancora di eludere il problema dell’evasione fiscale. Sicuramente si evade in ogni parte del mondo, ma nel mondo occidentale risulta che solo in Grecia ci sia evasione fiscale superiore alla nostra. Queste risorse sono sottratte alla crescita del paese. I buoni amministratori con queli soldi finanziano lo sviluppo: ci avete mai pensato?

  6. Matteo

    Piccola storia di vita: una donna impiegata come segretaria presso un dentista dopo oltre un anno di lavoro in nero praticamente totale (salvo una ‘prestazione occasionale’ di pura facciata) chiede una regolarizzazione del proprio rapporto di lavoro. Risposta del dentista: non posso, altrimenti ‘salirei’ nello studio di settore e pagherei più tasse. Ora, qui non stiamo parlando dell’artigiano che arriva con difficoltà alla fine del mese. Stiamo parlando di un soggetto che anche in periodo di crisi fattura oltre 100.000 euro all’anno, cifra che ovviamente non tiene conto dei risultati della formula ‘una fattura ogni due/tre prestazioni erogate’. Dunque, la teoria dell’evasione come ammortizzatore sociale in tempi di crisi può valere per alcune categorie di lavoratori autonomi ma non per altre. La morale della piccola storia è che spesso l’evasione è un fenomeno di puro mantenimento di uno status sociale economicamente elevato a scapito della collettività. La soluzione a ciò non può dunque stare se non nel rendere più efficaci i controlli, rendere più agevole il ruolo di controllo della collettività su determinate categorie professionali e educare al rispetto degli altri.

  7. Mauro

    Quella dei comuni turistici con l’80-90% di seconde case e perciò, grazie all’ICI, occupati a nuotare nell’oro è una balla spaziale. Lo affermo conoscendo benissimo interi comprensori turistici dove la percentuale di seconde case non è mai inferiore al 60% e, in un caso, sfiora il 98% (!). Questi Comuni, nonostante l’ICI, sono perennemente non alla frutta ma all’amaro, e quanto a dipendenti ne hanno due, massimo tre (parliamo di paesini con meno di cinquecento abitanti). Le tasse non devono essere una rapina, questo sì, ma fare i libertari a tutti i costi non porta da nessuna parte se non, in ipotesi estrema, a sciogliere la società come la conosciamo per tornare a piccole comunità di "liberi" da tutto, e perciò perfettamente isolati da tutto e tutti. Chi vuol farlo s’accomodi, nell’outback australiano però. Pretendere che le partite IVA (vere, non quelle costrette) e le società di capitali contribuiscano a pagare quei servizi, pochi o tanti che siano, di cui anch’esse usufruiscono per costruire la loro impresa, non è comunismo, non è elogio dell’esproprio proletario, è semplice buon senso.

  8. Lucia Vergano

    Qualsiasi riflessione in merito al sistema fiscale italiano non può esimersi dal considerare lo stato in cui versano le finanze pubbliche. In un paese gravato da un debito pubblico elevatisimo come il nostro, il risanamento dei conti pubblici costituisce una priorità improrogabile. Tale obiettivo richiede uno sforzo da parte di tutti i contribuenti, commisurato alla loro capacità contributiva. Oltre a promuovere misure (tanto a monte quanto a valle) atte a contrastare l’evasione fiscale, ritengo che per ripartire più equamente il carico fiscale tra i contribuenti sia necessario incrementare le aliquote che gravano sulle rendite in generale, e su quelle finanziarie in particolare, in un’ottica redistributiva. Per rendere socialmente più accettato un carico fiscale consistente, sarebbe inoltre necessario aumentare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici erogati, anche attraverso una profonda ristrutturazione degli investimenti pubblici (ad esempio, maggiori fondi destinati all’istruzione, alla sanità e alle infrastrutture, nonchè agli ammortizzatori sociali, evitando grandi opere dalla dubbia utilità sociale).

  9. luciano scalzo

    Fare la lotta fiscale dopo lo scudo fiscale (il terzo della serie) significa rinunciare a recuperare in partenza i 90 miliardi di euro scudati. L’importo scudato, è bene ricordarlo, costituisce evasione effettiva e non stimata. Siccome lo scudo fiscale è anonimo non si conosce chi ne ha usufruito. E’ tuttavia certo che i soldi all’estero non li ha porati il negoziante sotto casa che non emette lo scontrino. Chi ha portato illegalmente i soldi all’estero scudandoli si è assicurato un salvaguardia fiscale per gli anni avenire. Quanto al redditometro è inutile evidenziare che colpisce, semmai, la piccola evasione (quella di sussistenza). Sfido chiunque a trovare una persona fisica italiana proprietaria di uno yacht da 15 metri o di un cavallo da corsa di valore. E’ quindi evidente che il redditometro colpirà il propietario, persona fisica, del gommoncino o del caravan per le vacanza.

  10. AM

    L’Italia è uno dei paesi dell’Europa occidentale con maggiori sprechi da parte delle amministrazioni pubbliche e sfido chiunque a provare il contrario. Forse sono stato generico nel parlare di località di villeggiatura dal momento che in questa categoria potrebbero rientrare moltissini comuni italiani , anche poco noti, molti dei quali in difficoltà finanziarie aggravate dalla diffusa evasione fiscale. Mi riferivo invece a prestigiose località turistiche di mare e di montagna, dotate di alta percentuale di seconde case con elevati valori catastali dove il gettito dell’ICI è considerevole anche dopo la discutibile esenzione delle prime case. Abbondanti entrate consentono l’assunzione di un numero elevato di dipendenti fra gli elettori ed ottimi livelli retributivi. Sul Corriere della Sera di oggi, Gian Antonio Stella cita l’esempio di comuni turistici altoatesini dove i sindaci percepiscono remunerazioni ben superiori a quelli dei sindaci di grandi centri urbani come Milano o Napoli.

  11. Luigi Bernardi

    Sembra impossibile vincere la "lotta" all’evasione, qualche risultato solo con l’ultimo centro-sinistra. Servono poche misure ma radicali radicali: – La dimensione e la tipologia dell’evasione sono state studiate molto, ma non le cause dello specifico valore elevato italiano e del Club Med. Servono ricerche sul punto. – La dichiarazione Ire deve contenere una autocertificazione del valore del patrimonio totale di dichiarante e parenti stretti. L’eventuale incongruità col reddito sarebbe evidente. – I vari strumenti presuntivi devono sfociare in un accertamento esecutivo e messa a ruolo almeno parziale e non in un amichevole pattegoamento, dato il basso ivello delle sazioni e quello elevato della corruzione (si, perché non lo si dice?) è molto elevata. L’onere della prova è così invertito, come già avviene in alcuni casi (es. costituzione illegale di attività nei paradisi fiscali). – Con l’accertamento deve scattare il blocco del patrimonio del contribuente fino alla conclusione definitiva della vertenza.

  12. andrea vichi

    Ritengo che oramai l’evasione sia da considerare uno dei reati (è ancora un reato in Italia?) tra i più odiosi. Draghi ha detto che essa è all’origine della "macelleria sociale" in corso. Credo che sarebbe importante conoscere quali sono le conseguenze, le sanzioni, a cui va incontro chi evade. Ho l’impressione che da qualche anno si sia legiferato per indebolire il quadro sanzionatorio, e che evadere in Italia "paga". Vedi la famigerata depenalizzazione del falso in bilancio. Inoltre, come si sono organizzati gli altri stati?

  13. UMBERTO VERTI

    Pur non essendo un economista ritengo che la strada semplice per il recupero e la messa in chiaro del nero attuale sia promettere abbattimento fiscale a condizione di recuperare annualmente una percentuale almeno il 10% dell’evasione (oggi stimata per difetto in 120 miliardi d’euro) questo partendo dalla deduzione delle imposte (quindi anche l’i.v.a.) dal reddito tassabile ai fini irpef (per persone fisiche che non hanno modo di scontarle dal reddito, ma le pagano e vedono ridursi il danaro disponible – ovviamente previa presentazione delle fatture su cui pesa l’i.v.a. e/o altre imposizioni) da qui l’interesse a chiedere fatture per beni prestazioni e servizi, e l’attenzione a ottenere documentazione da allegare alle dichiarazioni con effetto secondario di ridurre la circolazione di false fatturazioni in quanto potrebbero essetre facilmente incrociate facendo emergere l’infedeltà fiscale. Il tutto offrendo materiale di lavoro anche al fisco che avrà più elementi per i controlli e un vantaggio fiscale complessivo per persone fisiche e per società sane. Se non chiedo troppo, mi faccia sapere cosa ne pensa le sarei grato, distinti saluti.

  14. Giovanni Petrassi

    Non si sa cosa pensare dei dati riportati nell’articolo e di quello che si legge, invece, sui giornali. Cito dal Corriere della Sera i seguenti articoli: 14 giugno 2007 "Evasione fiscale sopra i 270 miliardi l’anno, la ricchezza nascosta al Fisco equivale ad un quinto del Pil" – i dati derivano dall’Ufficio studi dell’Agenzia delle Entrate; 20 settembre 2008, "Evasione fiscale, 300 miliardi all’anno", trattasi di una stima fatta dal Krls Network of Business Ethics su dati ministeriali ed Istat; 16 febbraio 2010 "Fisco: il 27% dei contribuenti dichiara imposta netta uguale a zero" nel 2008. Dati forniti dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’Economia. E sono dati impressionanti oltre che incompatibili con la comune esperienza, infatti, su 41 milioni di contribuenti, la metà non supera € 15.000 annui di reddito, il 91% dichiara redditi inferiori a 35.000 euro, l’1% dichiara redditi superiori a 100.000 euro annui e il 12% dei restanti contribuenti con redditi superiori a 35.000 euro paga il 52% dell’imposta. Per quanto riguarda le imprese, il 52,6% del totale (circa 526.000) ha raggiunto un’imposta netta positiva, il che significa che quasi una società su due è in perdita.

  15. Roberto A

    Io non ho visto nessun effetto Visco nel 2006, visto che fino a metà anno ha governato il centrodestra e che il gettito fiscale ha cominciato a crescere a ritmi decisi fin dall’inizio del 2006, basta guardarsi i dati del ministero mensili. E soprattutto per il fatto che l’economia è ripartita a fine 2005 per accellerare nel 2006. E un po’ tutti i paesi europei hanno avuto incrementi notevoli delle entrate non previste, in quello stesso periodo.

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