Telecom Italia ha già versato 400 milioni all’erario per la vicenda Sparkle (presunta frode fiscale, su cui l’ex Ad di Fastweb, Scaglia, si è fatto alcuni mesi di prigione) e rischia ora di pagare altre centinaia di milioni a causa della sua passata gestione, che avrebbe lasciato mano troppo libera alla Security (il caso Tavaroli-Sismi, per intenderci). Non si sa a quanto salirà il conto, ma presumibilmente a ben di più di 500 milioni. E rimane l’impressione che nell’impresa succedesse di tutto senza che i vertici sapessero alcunché (vero o falso? lo diranno i magistrati).
A metà dicembre il Cda di Telecom Italia (con il voto contrario del consigliere indipendente Zingales) decide di non chiedere i danni agli amministratori precedenti. Con più di mezzo miliardo in ballo e unimmagine pesantemente compromessa, pare una decisione incredibile. Ma il Cda non dovrebbe fare gli interessi degli azionisti? E in che senso tali interessi sono tutelati dalla decisione del Cda di proteggere gli ex amministratori?
Si parla spesso di capitalismo consociativo, di reti di interessi che legano comunque le società (e chi siede nei consigli) ben oltre gli effettivi legami azionari, ed evidentemente anche quando i legami azionari si sono sciolti.
È stato un bruttissimo episodio, sul quale abbiamo taciuto nella speranza che succedesse qualcosa. Ma evidentemente la cosa sta bene a troppi. E non emergono le ragioni della decisione, e neppure i documenti che giustificherebbero la decisione stessa. Brutto momento per la tutela degli investitori. Brutto per la trasparenza dei mercati azionari.
C’è solo un modo con cui il Cda può fugare il dubbio di voler con una mano lavare l’altra: coprendo le malefatte di passate e presenti gestioni: renda pubblici i rapporti sulla gestione precedente sulla base dei quali ha preso la sua decisione. I piccoli azionisti hanno diritto di sapere.
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Marcello Sant'Agostino
Concordo assolutamente con Boeri e Scarpa. C’è un modo per poter chiedere questi chiarimenti nell’assemblea dei soci delegando un rappresentante serio e preparato? (non un agitatore-provocatore, ma neanche uno che si faccia incantare con belle parole). Se c’è questa possibilità perché lavoce non prende l’iniziativa?
alfredo ferrari
Ma non esiste la possibilità di una class action nei confronti del cda? Dove sono le associazioni che proteggono i risparmiatori? Se questa è la privatizzazione fatta di Telecom siamo a posto. E gli immobili che fine hanno fatto? Tutto tace….. e la politica pensa a bunga bunga… ci vogliono rivoluzioni e riforme : togliere di mezzo questa classe politica…e cambiare!
Lorenzo Faglia
Anch’io sono rimasto estremamente deluso dalla scelta sia perchè non sono a conoscenza di motivazioni trasparenti, sia perchè una azienda che da anni è impegnata nel tagliare costi ed investimenti per alleggerire il debito, non si vede perchè debba accettare supinamente di pagare per frodi di gestioni precedenti senza provare a recuperare almeno una parte dell’esborso.
Michele
Sono un lavoratore Telecom in mobilità come accompagnamento alla pensione. Ho visto sia Sip sia Telecom evolversi in queste presunte società per azioni dopo la cosiddetta privatizzazione. Le proprietà, in particolare quella precedente, hanno messo in contrapposizione i loro interessi, prioritari, a quelli degli azionisti e dei clienti. Anche questi ammministratori, che si sono liberati dei precedenti amministratori con liquidazioni milionarie, che cosa stanno facendo? Con quali soldi hanno pagato? e con quali soldi pagano? Da dove li prendono? Rendere irresponsabili le gestioni dei privati precedenti è quanto di più grave possano fare. Ma evidentemente la morale negli affari non esiste oramai più. E’ diventata una questione di brutale potere.
Giancarlo Caramellino
Perché lavoce non si propone come capofila di una iniziativa dei piccoli azionisti?
piepar
I piccoli azionisti non potrebbero fare un’azione di responsabilità nei confronti del consiglio?
Maurizio Crozzoli
Come dipendente non posso che esprimere la mia preoccupazione per le scelte del CdA qui discusse nonché essere d’accordo con le critiche espresse dagli autori. Mi permetto tuttavia di allargare il discorso chiedendo agli stessi autori uno sforzo in più per aiutare chi vi sia interessato a comprendere come si sia potuti arrivare a tale situazione. Ricordo a chi se lo fosse dimenticato che il "peccato originale" (la contrazione del grande debito) risale ai tempi di Colaninno quando – per quanto mi risulta – egli si poté permettere di ottenere il controllo dell’azienda applicando la tecnica del "leveraged buyout". Poiché, letta attraverso gli occhi di chi ne vede le nefaste conseguenze sull’andamento dell’azienda, non sembra una bella manovra, sarebbe interessante se ne voleste analizzare i termini applicativi per aiutarci a capirne il senso oppure il suo non-senso (magari si tratta di un’applicazione distorta o comunque non corretta o non ben regolamentata).
Romualdo Borioni
E’ necessaria una denuncia all’autorità giudiziaria dell’operato del CdA. La Voce non potrebbe prendere una iniziativa al riguardo?
gianp
L’art. 2393 bis del c.c. prevede possa promuoversi da parte delle minoranze azionarie l’azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori. Tuttavia tali minoranze la norma prevede siano "qualificate" nel senso che devono rappresentare …"un venrtesimo del capitale sociale o la minore misura prevista dallo statuto." Come si capisce il 5% del capitale sociale di una società che suppergiù ad oggi quota più di 13 miliardi di euro non è facile da raccogliere: dovrebbero muoversi i fondi di investimento. Ed anche qualora si raccogliesse tale quota i promotori dovrebbero essi anticipare tutte le spese. Nel caso i promotori uscissero vittoriosi nel giudizio le risorse recuperate non andrebbero direttamente a loro che sostengono tutti gli oneri del giudizio bensì alla società nel suo complesso. Come si vede la tutela delle minoranze nei fatti non esiste. Puo essere utile per il singolo socio avvalersi delle prerogative di cui all’art. 2408 c.c. (Denuncia al collegio sindacale) denunciando i fatti che ritiene lesivi degli interessi della società.