Nessuno riesce a domare le cause vere di una crisi che ha provocato costi incalcolabili: comprendono, oltre alle falle enormi nella regolazione, anche il livello insopportabile delle disuguaglianze nei paesi sviluppati e i grandi sbilanci del commercio mondiale. Se si prova a intervenire si sbatte contro il muro degli interessi di chi vuol continuare a profittare dell’attuale stato di cose. Il mondo sviluppato non reggerebbe a una seconda ondata di crisi finanziarie, ma per la lobby finanziaria la regolazione è un inutile intralcio. Facendoci così correre nuovi rischi.
La grande crisi, disse poco prima di morire Tommaso Padoa-Schioppa, da finanziaria s’è fatta economica, ma si avvia a divenire sociale prima, poi politica. Nessuna delle sue cause è stata davvero sconfitta. A provarcisi, si sbatte contro il muro degli interessi di chi vuol continuare a profittare dell’attuale stato di cose. I costi della crisi vanno ben al di là delle perdite subite dagli investitori (che in parte sono più fittizie che effettive, essendo anche remissione di utili mai davvero conseguiti, come per i clienti di Bernie Madoff). A quelle perdite, infatti, va aggiunto molto altro, il conto è infinito, incalcolabile: comprende il reddito potenziale svanito per la crisi, l’aggravio degli interessi sui debiti degli Stati sovrani che sembravano solidi e sono divenuti improvvisamente fragilissimi, l’attacco conseguente all’euro, la minor occupazione, le retribuzioni che resteranno basse per anni a causa del basso punto di partenza, il mancato utilizzo degli impianti, etc..
LE CAUSE DELLA CRISI RESTANO INTATTE
Nessuno riesce però a domare le cause vere della crisi: che sono, oltre alle falle enormi nella regolazione, anche il livello, insopportabile, delle disuguaglianze nei paesi sviluppati, e i grandi sbilanci del commercio mondiale. Gli Usa avrebbero voluto un accordo per limitare questi ultimi, ma si sono prevedibilmente ribellati i grandi esportatori (Cina, Germania eccetera). A Bretton Woods il vincitore impose un accordo che il mondo attuale non vuol subire; è il multipolarismo, bellezza. Affrontare le disuguaglianze vorrebbe dire intervenire sulla produzione o la distribuzione del reddito: anche tassando di più i benestanti, e meno chi campa a fatica. Non è certo questa la priorità in giro per il mondo, tanto meno in Italia. Il miracolo non verrà né dal federalismo (che approfondirà il solco), né dallo spostamento del peso dalle persone alle cose, destinato a restare la mitica pietra filosofale della finanza pubblica; almeno se non vorremo aggiungere, all’iniqua abolizione della tassa di successione, anche un sistema fiscale apertamente regressivo.
La regolazione ha supinamente accettato di essere catturata dalla finanza, che voleva prendere rischi sempre più alti, tirando sempre più la leva; s’è così fuso un motore pensato dai suoi saggi progettisti per un regime di giri assai più basso. Eppure per la lobby finanziaria la regolazione è un inutile intralcio. Aveva ragione Mario Draghi quando due anni fa spingeva per definire subito le nuove regole, prima che, svanita la fifa blu, la finanza ritrovasse i bollenti spiriti che ci hanno condotto a questi passi: anche la crisi dei debiti sovrani nella zona euro è, in buona misura, una crisi bancaria. Il caso dell’Irlanda è il più visibile, ma assai seria è anche la situazione di alcune banche tedesche. Il momento magico però è passato, se Bob Diamond (Barclays), può dire, ruvido, che il tempo dei rimorsi è finito; ogni giorno un banchiere ci ammonisce sul rischio che le banche fuggano dai regimi più rigidi, approdando a quelli più laschi. Sul Financial Times Oswald Grubel (Ubs) rampogna Regno Unito e Svizzera che, per evitare nuovi salvataggi a spese del pubblico, vogliono che le banche abbiano più capitale, e magari diventino più piccole. Grubel minaccia di trasferire Ubs in legislazioni che accettino livelli di capitale inferiori a quelli pretesi dalla piccola Svizzera, rea di non voler finire come l’Islanda. Berna però sa che Singapore non vorrà accollarsi giganteschi rischi di salvataggio solo per calamitare tutto il proprietary trading bancario a corto di capitali (a parte il fatto che, in quell’arcigna città- Stato, i trader di Ubs si divertirebbero meno che a Zurigo o Londra).
LA LOBBY E LE REGOLE
Nessuna proposta va bene alla lobby; quale che sia, essa peggiora sempre le cose, mentre il problema è ben altro. Se si alzano i requisiti di capitale, per i critici ne deriverebbe un forte aumento nel costo del credito (invece i calcoli della Bank of England danno risultati diversi). Anche la pretesa di imporre prudenziali cuscinetti di liquidità cade sotto la stessa accusa. Non parliamo poi della riforma Obama/Volcker, che repubblicani e finanza Usa vogliono smontare. In particolare, ci dicono, è inutile concentrare i derivati sui mercati regolamentati, perché la loro trattazione fuori da questi, over the counter (Otc), non è all’origine della crisi. È una verità parziale; l’Otc, infatti, ha velocemente propagato il contagio, oltre a consentire grassi margini a uno spudorato oligopolio. La misura – si lamenta – farebbe salire il costo delle coperture, per il collaterale necessario sui mercati regolamentati. È vero, di nuovo, ma questo sarebbe solo, doverosamente, il modo per far pagare agli interessati il premio per il rischio della garanzia pubblica implicita. Isolare dall’attività bancaria – che fruisce della garanzia pubblica esplicita – il proprietary trading con i suoi rischi, sarebbe inutile, perché è marginale (falso) e serve ai clienti (vero solo in parte). Il problema del too big to fail, ci dicono, non esiste: la diversificazione settoriale e geografica riduce i rischi (falso). Anathema sit per la minima tassa sulle operazioni finanziarie, che pure aiuterebbe ad assorbire i costi della crisi e ridurrebbe la frenesia di quell’high frequency trading che ingolfa i mercati e spesso è solo una loro sofisticata manipolazione. Del tutto intonso resta, infine, il grande tema dell’eccessivo livello dei profitti oligopolistici, distribuiti poi con largesse al personale. È l’oligopolio, infatti, la fonte dei pingui bonus.
Il mondo sviluppato non reggerebbe a una seconda ondata di crisi finanziarie. Eppure una casta di incoscienti, potente ma così incapace di imparare la lezione da credersi ancora master of the universe, ci soggioga, correndo il rischio di portare alla fusione il nucleo radioattivo della finanza mondiale.
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gforese
Sottoscrivo in pieno le illuminanti osservazioni di Bragantini.
Lukas Plattner
Purtroppo credo che la cattura sia diventata un male endemico inestirpabile. Solo negli Usa il settore finanziario nel 2010 ha speso in attività di lobbying 471 milioni di dollari, per non parlare di revolving door e contributi alle campagne elettorali ai due fronti dello schieramento, si poteva calvacare l’indignazione pubblica a ridosso della caduta di Lehman, ma davvero poco è stato fatto, ora sembra essere troppo tardi.
Vincesko
Il Parlamento europeo ha approvato l’8 marzo scorso, a larghissima maggioranza (529 voti a favore e 127 contrari, tra cui non a caso i parlamentari del PDL del miliardario Berlusconi e quelli della Lega Nord), la risoluzione che sostiene l’introduzione della TTF, http://bit.ly/fOtGLJ . Ma questo è solo il primo passo. Adesso tocca alla Commissione UE e poi al Consiglio UE. Quindi, l’azione di pressione dal basso (vedi lAppello del PSE http://partitodemocratico.gruppi.ilcannocchiale.it/?t=post&pid=2603059, a cui si sono affiancati tutti i sindacati europei) deve continuare!
Treter M.
Pur descrivendo situazioni parzialmente vere, l’articolo sembra veramente poca cosa. Si è limitato a scrivere cose note, non vedo alcuno spunto particolare. Dare la colpa della crisi ai brutti banchieri cattivi, va bene per i politici che vogliono scaricare le loro colpe e le discussioni da bar. Se andiamo ai fondamentali, si noterà un tasso d’interesse troppo basso, negli ultimi 20 anni…e dopo ci si lamenta della leva, che ne è una naturale conseguenza. Se fosse colpa del brutto banchiere cattivo, che sono uguali in tutto il mondo, non si capisce come alcuni stati hanno dovuto provvedere a maxisalvataggi e altri no. Non si capisce perché certi paesi ripartono e altri no. Basta con le banalità della crisi finanziaria, la crisi è stata prima di tutto strutturale, nell’economia reale. Come diceva il mio saggio prof di economia monetaria: "Quando la marea scende, si vedrà chi nuotava senza mutande"
savino
Un principio cui fare riferimento per fissare delle regole di finanza etica, almeno in Italia, ci sarebbe. E’ proprio determinato da quell’art. 41 della Costituzione che Tremonti vuole abolire. Cosa significa il fatto che la libera attività d’impresa incontra un limite nell’utilità sociale? Significa che le imprese devono tornare a produrre beni e servizi, anzichè aria fritta e che, per fare ciò, devono porre al centro della propria libera iniziativa il fattore lavoro. Facendo così si otterranno profitti per l’imprenditore da un lato, occupazione e beni finiti per l’utilità sociale dall’altro. Se si continua, invece, a dare fiato alle trombe alla speculazione la situazione videogame prospettata dal Ministro diventa realtà nei fatti. Tant’è che la speculazione ormai non è solo finanziaria, ma ha investito anche il settore energetico e addirittura quello agro-alimentare.
Gianluca
Concordo pienamente sul discorso delle lobby finanziare che intralciano come possono il cammino di chi vorrebbe introdurre regole e limiti normativi. E concordo, ancor di piu’, sul fatto che bisognerebbe intervenire sul problema dalle grandi sperequazioni di reddito che oggi interessano tutti i paesi industrializzati. L’articolo finisce pero’ li’, una sorte di discussione da pausa caffe’ aziendale. Data la stima che nutro per Bragantini, mi sarei aspettato qualcosa in piu’.
Salvatore Bragantini
Ringrazio dell’attenzione e rispondo alle osservazioni. La crisi è stata causata, ho scritto, dalle grandi disuguaglianze, dai macro sbilanci globali (cause strutturali, certo), infine da una regolazione finanziaria catturata dalle grandi investment bank. A questo tema ho dedicato il grosso del commento. I bassissimi tassi di interesse rientrano in questo quadro. Non proporre una soluzione magica mi pare solo serio, non ce l’ha nessuno: ho comunque indicato le mie preferenze, chiaramente. I banchieri non sono brutti, ma hanno acquisito, specie in Usa e Uk, un potere smisurato, grazie ai soldi spillati al resto dell’economia con la protezione della garanzia pubblica e ai margini che in alcune zone del mercato sono da oligopolio. Too big to fail is too dump to keep, scrive John Kay sul FT.
Franco
L’articolo chiarisce le idee sulle disfunzioni dell’attuale sistema economico, ma vorrei aggiungere il personale scetticismo sulle varie ricette risanatrici, partendo dalla costatazione che ormai il sistema finanziario si è talmente avvinghiato al sistema produttivo-consumistico che è praticamente impossibile che l’economia reale possa prevalere se non a prezzo di durissimi sacrifici, guerra compresa. In altre parole è diventato più chiaro che le politiche nazionali sono ormai dirette dalle multinazionali che, tese come sono al massimo profitto di monopolio per singolo e rispettivo settore, orientano e spingono gli stati solo nelle direzioni a loro più convenienti. Esempio attuale le rivolte arabe e la divisione negli interventi dei paesi occidentali, ognuno dei quali mira solo al suo tornaconto. In campo politico più strettamente interno all’Italia si assiste al disgustoso palleggiamento di pietanze tra le stesse forze governative, teso a portare alle estreme conseguenze la finalità della accumulazione-arricchimento a scapito dell’unità del Paese e dell’Europa con buona pace delle regioni e degli stati impoveriti e con sempre più estese praterie per le multinazionali.
Treter M.
Della garanzia pubblica hanno beneficiato i cittadini, più che le banche. Cittadini senza merito di credito, hanno potuto comprarsi una casa a tassi irrisori. Non per niente tra i più grandi buchi della crisi spiccano le banche para statali Fannie Mea e Freddie Mac, che hanno causato il crosso del mercato immobiliare. Tassi bassi, garanzie statali che distorcono il mercato, le fondamenta della crisi si trovano in scelte politiche errate. Potrei anche elencare i sussidi al settore auto che era sovradimensionato, ma non lo si voleva accettare per paura di perdita posti di lavoro. Il numero dei politici sul banco degli imputati della crisi è sempre troppo basso a mio modo di vedere, i banchieri cattivi hanno più appeal.
Massimo Tosatto
Se le banche hanno fatto scendere il merito dei credito per entrare in un mercato più redditizio, ma più pericoloso, accettando quei clienti, la colpa non può ricadere sullo stato. A ben vedere la commistione tra banca commerciale e banca di deposito è forse più che mai alla radice di questi problemi, con i risparmi dei correntisti scommessi su prodotti esili con alti ritorni ma bassa affidabilità, indicati dalle società di rating come sicuri. C’è, inoltre, un grosso problema di interessi che convergono: quelli dei banchieri che vogliono vendere come sicuri prodotti che non lo sono ma hanno alta redditività, quelli delle società di rating che hanno come clienti le banche a cui devono valutare il rischio, quelli di chi vuole comprare casa ma non ha abbastanza fondi. A ben vedere, l’effetto più macroscopico è stato quello di uno tsunami. Come lo tsunami, appena prima di riversarsi sulla spiaggia, è la piacevole novità del mare che si ritira lasciando più terra su cui camminare, la situazione ante crisi era quella di chi si voleva comprare casa a ogni costo, facendo crescere oltre ogni misura i prezzi fino a renderli inarrivabili, pagabili in generazioni nell’illusione che l’acqua si ritirasse sempre più. Solo che, a quel punto, il terremoto era avvenuto, inavvertito da qualsiasi strumento, sotterrato dalla frenesia dei bonus, delle case, delle attese sempre crescenti. Nessuno ha voluto rinunciare a nulla perchè "è il mercato, bellezza". Proprio qui, però, il mercato ha mostrato tutti i suoi limiti, perchè, alla fin fine, il mercato è anche umano e pensa solo a se stesso…