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LA DISUGUAGLIANZA DOPO LA CRISI

Il Governatore della Banca d’Italia si preoccupa per la riduzione della propensione al risparmio nelle classi di reddito più basse. E il rapporto Istat 2010 mette in evidenza l’impatto della crisi sulla disuguaglianza. Nell’Europa dei 15 gli indicatori di disuguaglianza dei redditi sono diminuiti tra il 1995 e il 2000, ma sono aumentati negli ultimi anni. Sulla distribuzione della ricchezza tra paesi, invece, mancano dati significativi dalle economie emergenti e il confronto non ha comunque molto senso se non si specificano gli aspetti distributivi o settoriali.

Il tema dell’impatto della crisi finanziaria e di quella economica sulla ricchezza, sulla distribuzione dei redditi e sulla povertà è venuto alla ribalta dopo la relazione del governatore della Banca d’Italia, che esprime preoccupazione per la riduzione del valore mediano della propensione al risparmio concentrata nelle classi di reddito e ricchezza equivalenti più basse, e la presentazione, solo pochi giorni prima, del Rapporto Istat 2010. Sul tema non sono poi mancati singoli contributi, in particolare su lavoce.info (vedi Elena Giarda, Marco Leonardi, Il debito delle famiglie aggrava la crisi, La Voce.info 24.05. 2011) e su Il Sole-24Ore. (1)
Nel corso dei prossimi mesi, altri dati e altre analisi consentiranno di avere un quadro più ampio, ma intanto si delineano alcuni fatti e si precisano quesiti cui è importante rispondere.

DISUGUAGLIANZA MADE IN USA

Un riferimento d’obbligo è al Rapporto 2010 del Census Bureau degli Stati Uniti, una indagine annuale molto ampia: 100mila indirizzi con tassi di risposta, di anno in anno, superiori al 65 per cento. (2) Emerge la seguente evoluzione nella distribuzione dei redditi per quintili di famiglie:

Usa – Distribuzione della ricchezza per quintili nel tempo

  2009 2007 2000 1976
Quintile inferiore 3,4 3,4 3,6 4,3
Secondo quintile 8,6 8,7 8,9 10,3
Terzo quintile       14,6 14,8 14,8 17
Quarto quintile 23,2 23,4 23 24,7
Quintile più elevato 50,3 49,7 49,4 43,7

 

L’ipotesi che le disuguaglianze siano aumentate è avvalorata quando i dati delle famiglie sono corretti per tener conto della numerosità del nucleo famigliare, metodo peraltro considerato il più corretto. (3)
Il tasso ufficiale di povertà negli Usa era pari nel 2009 al 14,3 per cento rispetto al 13,2 per cento nel 2008, l’aumento più significativo dal 2004. E secondo Timothy Smeeding la crisi ha colpito soprattutto i lavoratori tra i 18 e i 34 anni. (4)
Potremmo aggiungere che l’orizzonte dell’indagine stessa, che arriva a fine 2009, appare sufficiente per cogliere, per gli Sati Uniti, l’effetto shock di una crisi insieme finanziaria ed economica. Sappiamo anche che dal mese di dicembre 2007 a quello di giugno 2009 sono stati persi negli Usa 8,4 milioni di posti di lavoro. Dal mese di giugno 2009 agli inizi del 2011 ne sono stati guadagnati circa 2 milioni.
Da ciò possono derivare due considerazioni:
a) L’aumento dei divari riscontrati dal Census Bureau nel 2008 e nel 2009 riflette probabilmente una caduta nei redditi da capitale (dividendi, capital gain realizzati) e da lavoro per i redditi alti (bonus, eccetera), più che compensata dalla caduta dei redditi bassi.
b) Un ragionamento di massima ci dice che la situazione è probabilmente ancora peggiorata nel 2010 e nei primi mesi del 2011 vista la debolezza della ripresa nel mercato del lavoro.
Le tendenze in Europa potrebbero, per certi versi, essere simili agli Stati Uniti. Nell’Europa dei 15 (fonte Eurostat) gli indicatori di disuguaglianza dei redditi sono sì diminuiti tra il 1995 e il 2000 (il rapporto tra il quintile più ricco e quello più povero è sceso da 5,1 a 4), ma sono aumentati negli ultimi anni: lo stesso rapporto era risalito nel 2009 (a 4,9) con una continuità non scalfita dalla crisi (4,7 nel 2006). (5) Ma attenzione: anche Eurostat segnala diversità intra-europee, dall’analisi delle quali potranno emergere importanti considerazioni.

IL FATTORE CRESCITA

Veniamo ora all’altro punto, emerso nei dibattiti recenti e sollevato in particolare da Alberto Alesina, la distribuzione della ricchezza a livello globale tra paesi. La crisi ha portato a uno spostamento relativo della ricchezza verso i paesi emergenti?
Qui interviene “il terzo incomodo”, la crescita con le sue caratteristiche specifiche. Sappiamo che la crescita si accompagna a elevati tassi di investimento che possono attirare capitali esteri, ma anche generare risparmio interno. Cina e India, per esempio, hanno tuttora tassi elevatissimi di risparmio delle famiglie che si traducono in accumulazione di ricchezza finanziaria. Anche in Brasile abbiamo assistito negli ultimi dieci anni a una accumulazione importante di attività finanziarie a livello domestico.
Ma tutto questo non c’entra direttamente con la crisi: un trend di crescita di medio-lungo termine genera ricchezza in molte economie emergenti, a un certo punto la crisi sopraggiunge come fattore aggiuntivo e solo incidentale. È vero solo che la crisi stessa, avendo colpito molto meno le economie emergenti perché dotate di un sistema finanziario più regolamentato, ne ha aumentato il vantaggio relativo, ma la tendenza era già in atto in precedenza.
Ma forse il punto cruciale è un altro. La distribuzione del reddito e della ricchezza all’interno di un paese e quella tra paesi riguardano due aspetti ben diversi e così poco apparentati che accostarli può risultare del tutto privo di senso (e questo può sì generare confusione).
Infatti, all’interno di un paese, ci si può riferire alla distribuzione della ricchezza delle famiglie oppure a quella tra settori.
E occorrerebbe anche tener conto che negli ultimi venti-trenta anni c’è stato uno spostamento fra salari e profitti e che, all’interno di questi, i profitti del settore finanziario sono cresciuti molto più velocemente degli altri settori (così come i salari dei lavoratori del settore finanziario sono cresciuti molto più rapidamente della media).

CONFRONTI SETTORIALI

Ha senso il confronto della ricchezza tra paesi senza la specificazione degli aspetti distributivi o settoriali? Poco, pochissimo e soprattutto è sempre azzardato trarre, da dati macroeconomici, implicazioni micro, e viceversa. Basta fare due semplici esempi.
Nel caso delle famiglie: ci può essere un aumento della ricchezza analogo in due paesi diversi, ma se nel primo è concentrato nelle mani di una esigua minoranza e nell’altro è invece diffuso, gli effetti sono ben diversi. In senso più generale, esiste un dibattito aperto sull’effetto della crescita sulla distribuzione del reddito, con il rischio evidenziato recentemente dalla Asian Development Bank e della Banca Mondiale di cadere nella “trappola del reddito medio”. (6)
Nel caso dei settori (famiglie, imprese finanziarie, imprese non finanziarie, settore pubblico, estero), ci dobbiamo invece chiedere se l’aumento della ricchezza va effettivamente a finanziare la stabilità e la crescita. Purtroppo, nemmeno i paesi emergenti che fanno parte del G20 hanno oggi un sistema di conti nazionali settoriali e finanziari. È quindi difficile fare considerazioni puntuali al loro riguardo.
All’indomani della crisi, erano stati lanciati da più parti segnali di allarme riguardo agli squilibri nella distribuzione della ricchezza all’interno dei paesi più maturi, basti pensare alla Commissione Fitoussi-Sen-Stiglitz o a Robert Reich, che individuava la causa della crisi stessa proprio nei processi di distribuzione del reddito che hanno caratterizzato gli ultimi trenta anni. (7)
Oggi sappiamo che in questi paesi il trend non si è invertito negli anni della crisi. Ciò desta preoccupazione, in particolare alla luce del ridimensionamento del welfare state che richiederà alla famiglie di farsi carico direttamente di una parte delle spese di natura sociale. A livello mondiale, invece, e con particolare riferimento alle economie emergenti, sappiamo molto meno di quello che vorremmo sapere.

 

(1)Sul Sole-24Ore si vedano gli interventi di Luigino Bruni “La curva ad U della disuguaglianza” (25 maggio 2011); Massimo Morello “L’economia mondiale vira verso Oriente, ma attenti alla trappola del reddito medio” (21 maggio 2011); Alberto Alesina “I ceti medi hanno pagato il conto della crisi economica” (27 marzo 2011).
(2) US Census Bureau, “Income, Poverty and Health Insurance Coverage in the United States 2009”, September 2010.
(3) Si legge infatti nel rapporto a p. 10 “Per i redditi corretti per scale di equivalenza, tra il 2008 e il 2009 si è verificato un incremento dell’indice di Gini e della redistribuzione delle quote di reddito aggregato, che suggeriscono un incremento della disuguaglianza dei redditi. In particolare, tra il 2008 e il 2009, per il quintile più basso, la quota aggregata di reddito è scesa dal 3,6 per cento al 3,4 per cento e per il secondo quintile, la quota aggregata di reddito è scesa dal 9,4 per cento al 9,2 per cento. Il cambiamento nella disuguaglianza di reddito tra il 2008 e il 2009 non è stato statisticamente significativo, se misurato per quintili di quote di reddito familiare aggregato e indice di Gini”.
(4) In un servizio di Hope Yen per Associated Press del 28 settembre 2010, Smeeding ha sostenuto che “La diseguaglianza dei redditi è in aumento e se tenessimo conto dei dati al netto delle imposte, il trend sarebbe più evidente. Più che in altri paesi abbiamo una distribuzione dei redditi molto diseguale, dove i compensi vanno ai vertici in una logica del chi vince prende tutto, i lavoratori meno qualificati tra i 18 e i 34 anni hanno subito incrementi di povertà perché i datori di lavoro hanno preferito non licenziare o tenere i lavoratori meno giovani in un quadro di diminuzione dell’occupazione. Le difficoltà hanno spinto molti giovani a ritornare a vivere con i genitori, gli amici o persone care, con potenziali problemi per il mercato del lavoro se non riceveranno la necessaria formazione per ritrovare un impiego”.
(5) Sebbene i dati europei e quelli americani non siano direttamente confrontabili “cross-section”, dato che si tratta di indagini non del tutto omogenee nei criteri seguiti, il trend è assolutamente comparabile.
(6) Per quanto le economie orientali si siano sviluppate, le differenze di reddito restano fortissime. Basti pensare, che metà della popolazione del continente vive senza alcuna assistenza sanitaria e 900 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità. Come rileva Ejaz Ghani, consigliere economico della World Bank, il tasso di povertà nell’Asia del sud è passato dal 60 al 40 per cento, ma, data la crescita demografica, il numero di poveri (che vivono con meno di 1,25 dollari il giorno) è aumentato. Così “Oltre il 70 per cento dei poveri del mondo oggi vive in paesi a reddito medio”, come scrive Massimo Morello nel suo articolo sul Sole-24Ore.
(7) Si veda, rispettivamente, Jean-Paul Fitoussi, Amartya Sen e Joseph E. Stiglitz “Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress”, www.stiglitz-sen-fitoussi.fr. E Robert B. Reich, Afterschock. The next economy and America’s future, Alfred A. Knopf, New York.

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  1. savino

    E come se non bastasse abbiamo politici e tecnici così intelligenti che adesso vogliono aumentare l’IVA, per dare il definitivo colpo da k.o. ai consumi e proprio alla corretta distribuzione delle ricchezze (capirai, con il potere d’acquisto già striminzito di dipendenti e pensionati). Quanto sono bravi…. una qualsiasi massaia sarebbe un migliore ministro dell’economia.

  2. mirco

    Negli anni 80, quando ero studente di economia, mentre ero a lezione di geografia economica il professore portava l’esempio del brasile e ci spiegava i dati della crescita della produzione agricola. Dati strabilianti crescita impetuosa. A leggerli senza spirito critico sembrava che la popolazione non avesse problemi di alimentazione. Poi si capiva che si produceva caffè, cacao, canna da zucchero. per i paesi ricchi e non si piantavano, mais, patate, per i contadini. L’economia è veramente una scienza triste se non si ha l’anima. prima o poi distruggeremo tutto solo per il dio denaro e ci scorderemo la " buona amministrazione della casa".

  3. bellavita

    Forse il governatore farebbe bene a preoccuparsi della propensione al debito delle famiglie a basso reddito, che incappano nelle carte di credito revolving autorizzate a applicare tassi sopra il 20%, e al ricorso all’usura obbligatorio per liberare l’indispensabile vecchia auto dalle ganasce fiscali, se non non si va a lavorare.

  4. Michele Citarella

    Serve un Governo del Presidente, con elementi di certezza di alta professionalità, per salvare l’Italia e la Costituzione Italiana, mandando a casa i traditori e mercenari presenti in Parlamento. Dipende da noi anche che questo accada al più presto. Scriviamo tutti al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. dare un segnale alle borse europeee e alla borsa di Milano è importante di grande valore sociale.

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