Il governo pensa di congelare l’indicizzazione delle pensioni al di sopra di un certo importo. Sarebbe più equo indicizzare quelle pensioni alla crescita economica, così come avviene in Svezia. Un intervento che permetterebbe di ottenere risparmi sostanziali sulla spesa pensionistica. Ma ancor più importante determinerebbe una compartecipazione dei pensionati alle perdite o ai guadagni dell’economia. Perché sin quando le pensioni saranno una variabile indipendente, la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita.
Nellambito della manovra finanziaria sta prendendo corpo lidea di congelare la perequazione delle pensioni al di sopra di un certo importo, cioè di bloccare la crescita delle prestazioni pensionistiche, che normalmente vengono adeguate di anno in anno al costo della vita seguendo la dinamica dellinflazione.
PENSIONI E CRESCITA DELL’ECONOMIA
Stante alla versione entrata in Consiglio dei ministri (non è ancora disponibile la versione approvata alla fine della riunione), il blocco della rivalutazione sarà totale per gli assegni pensionistici superiori a cinque volte il trattamento minimo di pensione (30.500 euro lordi oppure circa 2.400 euro mensili), mentre per le prestazioni di importo compreso tra tre e cinque volte il minimo (tra 1800 e 2400 euro mensili circa), l’indice di rivalutazione automatica sarà applicato nella misura del 45 per cento per cento. Sarebbe certamente un modo per fare cassa. Ma a quale prezzo in termini del comportamento contributivo di molti lavoratori? Un governo che arbitrariamente cambia le regole, modificando le quiescenze in essere può un domani rinnegare limpegno a pagare le pensioni. Insomma, queste misure vanno meditate e basate su principi di equità inter-generazionale se non intra-generazionale e vanno accuratamente spiegate.
Noi pensiamo che un intervento equo, sostenibile e al tempo stesso in grado di ottenere risparmi sostanziali (o almeno comparabili a quanto potrebbe recuperare la manovra) sulla spesa pensionistica, consista nellindicizzare le pensioni al di sopra di un certo importo alla crescita economica, così come avviene in Svezia. In particolare le pensioni di importo superiore a mille euro potrebbero essere indicizzate tenendo conto della crescita economica del paese rispetto a un valore di riferimento. La formula da applicare sarebbe la seguente:
Dove Pt è il livello della prestazione pensionistica in termini nominali al periodo t,πt è il tasso di inflazione, g è il tasso di crescita del Pil reale (una media dei cinque anni precedenti) e δ è un tasso di crescita obiettivo che si può collocare all1,5 per cento. Volendo ancorare il sistema al sistema europeo si potrebbe porre δ pari al tasso di crescita medio dellarea euro nei cinque anni precedenti.
Se la crescita in termini reali (la produttività reale) del paese è maggiore del tasso di riferimento, le pensioni crescono non solo con linflazione ma recuperano in parte anche la dinamica dei salari. Se invece il paese cresce meno del valore di riferimento, ladeguamento al costo della vita è parziale.
LA COMPARTECIPAZIONE DEI PENSIONATI
Oggi ladeguamento delle pensioni è parzialmente progressivo, infatti le pensioni inferiori a 1382,91 al mese ottengono indicizzazione piena, quelle tra 1382,91 e 2304,85 vengono adeguate al 90 per cento dellinflazione, sopra a 2304,85 al 75 per cento dellinflazione. Ma queste regole non seguono una logica economica e neanche le proposte contenute nella manovra.
Per valutare la nostra proposta, la tabella fornisce una semplicissima simulazione basata sulle pensioni erogate nel 2008, distinte per classi di importo. (1)
Si applicano tre ipotesi diverse di perequazione a partire dallanno 2008 per i 5 anni successivi: nella prima ipotesi le pensioni crescono secondo la normativa vigente, nella seconda ipotesi si applica la proposta della recente manovra (blocco della rivalutazione per le pensioni più elevate), nella terza ipotesi simuliamo gli effetti della indicizzazione alla svedese. La simulazione è un semplice esercizio applicato in parte sul passato e tenendo fisso il numero dei pensionati. Come si può notare, confrontando le colonne (b) e le colonne (c) i risparmi complessivi del sistema svedese sono del tutto analoghi a quanto si sarebbe ottenuto applicando la manovra già dal 2009, i risparmi della nostra proposta sono notevolmente più marcati negli anni cui la crescita è stata negativa. Ma al di là dei livelli di risparmio, limportante è la compartecipazione dei pensionati alle perdite o guadagni delleconomia nei diversi anni.
Il principio è che le pensioni possano crescere rispetto allinflazione solo in presenza di tassi di crescita sostenuti. Questa formula contribuirebbe a costruire in Italia una forte constituency a favore di riforme che favoriscano la crescita. Sin quando le pensioni saranno una variabile indipendente, la cui dinamica prescinde completamente dallandamento delleconomia la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita. Quando leconomia va bene, i pensionati non partecipano ai guadagni di produttività e, dunque, le pensioni perdono valore rispetto ai salari, dando origine al fenomeno delle cosiddette pensioni dannata. Quando le cose vanno male, invece, la spesa previdenziale aumenta ulteriormente la sua quota sul prodotto interno lordo, sottraendo risorse a politiche di contrasto alla povertà e alla disoccupazione. Nel 2009, ad esempio, la quota delle pensioni sul Pil è aumentata di quasi un punto percentuale. Era già la più alta quota in Europa. Lo sarà ancora di più.
Eppure il benessere degli anziani dipende molto dalla crescita delleconomia. La mancata crescita comporta, ad esempio, un progressivo ridimensionamento dei servizi sanitari. Quindi senza crescita anche i pensionati finiranno per stare peggio. Bene che ne siano consapevoli fin da subito. È fondamentale che questa crescente fascia di popolazione partecipi in modo ancora più evidente ai vantaggi della crescita economica e sostenga quelle politiche che servono a migliorare la qualità e quantità dellassistenza sanitaria pubblica e a permettere che pensioni relativamente generose possano essere pagate nonostante i cambiamenti demografici in atto.
Indicizzando le quiescenze in essere alla crescita economica come in Svezia, che ha adottato un regime pensionistico molto simile al nostro, si renderebbe il sistema sostenibile, quindi equo dal punto di vista intergenerazionale, e si favorirebbero politiche che ci facciano tornare a crescere.
(1)Fonte. Istat Trattamenti Pensionistici http://www.istat.it/dati/dataset/20110622_00/
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Stefania Sidoli
Condivido in toto le analisi svolte nell’articolo, che con grande efficacia coniugano due fattori essenziali quali il rapporto pensioni/crescita economica e la necessità di una sempre maggiore e migliore consapevolezza da parte dei pensionati della necessità di politiche per la crescita. Che ne è già consapevole: il pensionato oggi è assai spesso, visto l’allungamento della vita, a sua volte figlio di pensionati il più delle volte con una pensione non generosa e genitore di figli che lavorano ( quando lavorano) e sono a loro volta genitori…Forse il pensionato non sente il problema " crescita" solo in funzione dei servizi sanitari ( che pure sono un problema, non c’è dubbio) ma in funzione di un sistema che non sa più come dare risposte concrete e fruibili alle esigenze elementari di una collettività le cui fragilità sono tanto più evidenti quanto meno riconosciute. Bisognerebbe tenere insieme un sistema pensionistico sostenibile nel presente come nella prospettiva futura con un’analisi nuova e realistica sull’identità dei pensionati di oggi. Che è esattamente quello che finora a nessuno è mai venuto in mente di fare.
Alessio Calcagno
Bravo bravo!! As I said in the object, the difficult part for a political party is to be elected in such Gerontocracy. Any idea?
Franco
Non sono per niente d’accordo. Almeno la garanzia del mantenimento del potere d’acquisto è doverosa. Con questo sistema un paese come l’italia, che cresce mediamente meno dell’area euro, avrebbe pensioni sistematicamente calanti in termini reali.
Michelangelo Casiraghi
Scrivono gli autori: "Un governo che arbitrariamente cambia le regole, modificando le quiescenze in essere può un domani rinnegare limpegno a pagare le pensioni. Insomma, queste misure vanno meditate e basate su principi di equità inter-generazionale se non intra-generazionale e vanno accuratamente spiegate". Scusate: c’è qualcosa, patto, contratto o qualsiasi altra cosa in essere che questo governo nn abbia negato??? E allora, da dove viene questa rimostranza? C’è qualche differenza tra il modificare i regimi pensionistici vigenti , sconvolgendo le aspettative di pensionandi a distanza di quale mese, e modificare i trattamenti pensionisti in atto, quando – oltretutto – sono quantitativamente ben superiori alla media? cerchiamo di esser onesti intellettualmente, perchè la considerazioone che "sin quando le pensioni saranno una variabile indipendente, la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita" vale per tutti o per nessuno. Qui, invece, ci si arrampica malamente sugli specchi, sperando che qualche considerazione pseudoeconomica valga a renderli meno scivolosi.
Jorge
Le considerazioni e gli obiettivi espressi sono del tutto condivisibili: le risorse a disposizione di ogni categoria sociale non possono prescindere dalla evoluzione delle quantità totali disponibili. Esiste tuttavia una peculiarità italiana, peraltro criticabile, che rende la proposta potenzialmente più difficile da accogliere rispetto a realtà come la Svezia. Da noi non esiste un vero sistema universale di protezione sociale che intervenga a sostegno dei redditi di chi è colpito da una recessione. L’unico ammortizzatore è spesso costituito proprio dalla pensione di un genitore, un nonno, uno zio. Un sistema che tendesse a legare anche la spesa pensionistica all’andamento dell’economia avrebbe un effetto prociclico, riducendo ulteriormente il potere di acquisto ed i consumi durante le crisi e attenuando gli effetti di "stabilizzazione automatica" prodotti normalmente dalla spesa sociale. Detto ciò, il punto fondamentale sul tema pensioni rimane la profonda iniquità intergenerazionale di un sistema in cui i pensionati ricevono 100 dopo aver pagato mediamente 50, penalizzando così le opportunità di lavoro e di reddito di giovani che invece pagheranno 100 per ricevere (forse) 50.
giancarlo c
Idea interessante dal punto di vista della sostenibilità nel lungo periodo e rispettosa della logica del 4 comma 2 Cost
Roberto A
Mi pare che i due autori siano un po’ usciti fuori dal seminato…la norma del governo è limitata a 2 anni, mi pare e non è un meccanismo definitivo, solo temporaneo per 2 anni per risparmiare qualche miliardo che contribuisca alla manovra. E non ha senso legare le pensioni alla crescita…occorre che le pensioni mantengano il loro potere d’acquisto e quindi vanno collegate all’inflazione, visto che un pensionato una volta in pensione, non ha strumenti per modificare la sua situazione reddituale, come invece può fare quando ancora lavora. E non fa testo l’esempio per cui quel meccanismo spingerebbe i pensionati a preoccuparsi di più che la classe politica attui misure più forti per la crescita…La misura governativa è semplicemente una misura una tantum…la questione vera è che andava impostata l’equiparazione dell’età pensionabile delle donne nel privato, nello stesso momento in cui lo si è previsto per il pubblico. Ed è un bene che si sia anticipato, anche se solo di un anno, il meccanismo che lega l’età di pensionamento al cacolo delle aspettative di vita.
giulio
Non c’è che dire. Si potrebbe, per fugare il dubbio che le pensioni di chi non può più difendersi (per questioni di età) siano messe a repentaglio o che comunque siano dal futuro incerto, introdurre anche un termine di indicizzazione rispetto al costo della vita. Questo però obbligherebbe allora ad indicizzare anche i salari e di fatto a reintrodurre la cosiddetta scala mobile (la cui abolizione per me è stato un errore catastrofico). Faccio notare che adesso che la scala mobile non c’è più i prezzi aumentano comunque. Dunque è falso il pretesto di Confindustria per abolire al scala mobile (e quindi poter pagare di meno i dipendenti) che essa fosse la principale causa di inflazione).
ARIS BLASETTI
Oh questa è la più bella che abbai letto da tanto tempo a questa parte ora i pensoinati dovrebbero essere parte diligente della crescita del paese, come se noi avessimo voce in capitolo nelle scelte economiche del governo, qualunque esso sia. Certo una levata di scudi contro il provvedimento del governo da parte della categoria è logica è giusta se non altro per il fatto che, durante la vita lavorativa, i contributi aumentavano automaticamente con l’aumentare dell’inflazione e non vi era alcun tetto a detto aumento, anzi…Certo è anche che le proteste di oggi non si erano sentite quando analogo, se non più penalizzante era stato assunto dal passato governo Prodi. Provvedimenti di questo genere non fanno altro che portare acqua al partito degli evasori, chi me lo fa fare di pagare contributi e tasse salate quando poi, al momento di incassare il dovuto il governo si inventa qualsiasi scusa per non rispettare gli impegni. Meglio evadere e risparmiare i soldi con una bella assicurazione privata (sperando che non vadano a intaccare -con qualche legge espropriante- anche questa). A pagare è sempre il ceto medio impiegatizio e dirigenziale che non puo’ evadere.
Silvestro Gambi
Di tanta gente che dovrebbe davvero vedersi indicizzata la vita alla crescita ecomomica togliendole la possibilità di scaricare il differenziale dei loro guadagni sui prezzi si va a pensare ai pensionati la cui influenza sull’economia è quasi zero. L’idea, a prescidere, potrebbe essere necessaria e persino buona. Tuttavia qualsiasi manovra economica in tempo di crisi dovrebbe avere una caratteristica sopratutte: l’equità.
Michele
Concettualmente parlando si tratta di una eccellente idea, peraltro già contenuta nella legge di riforma del 1995, ma è importante ricordare che il nostro paese ha una crescita asfittica da più di 20 anni, e sperare che possa arrivare al 3% (classico numero alla legge di Okun) è oggi un miraggio, in quanto nessuno ci è mai riuscito (o forse non ci ha nemmeno provato). L’obiettivo deve quindi essere aumentare la crescita effettiva e potenziale.
bob
Se si facesse una fotografia delle pensioni elargite in Italia si vedrebbero molte anomalie che non possono non essere valutate in un progetto futuro. Non ho dati ma penso che oltre il 50% delle pensioni pagate siano: pensioni di invalidità, baby-pensioni, pensioni politiche. In pratica questi pensionati non hanno a suo tempo creato sufficiente accumulo per pagarsi il futuro. Allora cosa vogliamo fare? 50% delle pensioni invalidi sono farlocche. Baby-pensioni: scandaloso vedere ex dirigenti dell’Ansaldo a Genova pensionati a 42 anni con 2-3 mila euro di pensione. Non parlo di quelle dei politici. "Crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita" sinceramente non capisco questo passaggio. Come dovrebbero e come potrebbero?
TEU
I pensionati, che per definizione non lavorano più, devono partecipare alla crescita economica? Quindi in italia le loro pensioni rimarrebbero di fatto ferme, mentre l’inflazione aumenta erodendo inesorabilmente il loro potere d’acquisto…di tutte le cose che si possono copiare dagli evoluti paesi nordici questa è proprio la più stupida!
paolo spin
Spiace vedere come è stata interpretata (dagli autori di alcuni commenti) la frase: altrimenti "la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita". Non credo si chieda agli anziani di lavorare per la crescita del paese, ma almeno di assumersene la responsabilità, attraverso la selezione di una classe politica che almeno tenti di far crescere il paese. Non basta stare seduti davanti al televisore. Più voto (a persone credibili) e meno tele-voto.
Mirko
Sembra che il Prof. Boeri sia un fautore della scala mobile, che penso abbia fatto abbastanza danni. Le pensioni andrebbero rivalutate ogni 5 anni sulla base della sola media di crescita del paese. Andrebbero poi tassate in maniera pesante tutte quelle derivanti da periodi di contribuzioni inferiori ai 35 anni, inclusi statali e militari/polizia. Così magari noi giovani possiamo anche smettere di pagare il 32+9.49% di contributi per pagare le pensioni a questi arzilli ex marescialli di 50 anni, cosa che è semplicemente ridicola.
Paolo Rebaudengo
Come si fa in Svezia (per le pensioni), come si fa in Danimarca (per il mercato del lavoro) e così via, un pezzo copiato di qua e un altro di là: non funziona, ogni sistema è tenuto insieme da tante variabili socio-economiche, politiche e culturali e va preso nella sua interezza. Ma il sistema contributivo (rispetto a quello retributivo) non doveva garantire la corrispondenza tra versamenti effettuati e importi delle pensioni e dunque la sostenubilità del sistema? E non ci è sempre stato detto dall’INPS che, per la parte pensionistica dei lavoratori dipendenti (dunque escluse le pensioni sociali e gli assegni di invalidità che devono essere sostenute dalla fiscalità generale) il bilancio è in attivo? Il preventivo INPS per il 2011: il FPLD è in attivo per oltre 2 MD/, il fondo gestione CIG è in attivo di oltre 1 MD, il fondo gestione parasubordinati è in attivo di 7 MD; in disavanzo i fondi gestione commercianti, artigiani, coltivatori per complessivi 8,8 MD/. Non è a partire dai dati che bisogna ragionare? Perchè mai i lavoratori dipendenti, anche da pensionati, devono pagare i conti di tutti gli altri?
Antonio ORNELLO
Non avrei voluto ripetermi, tornando ad osservare che le vostre proposte farebbero pagare ai pensionati persino l’altrui evasione contributiva e fiscale, che tanto male fanno all’economia, contrariamente agli innocui e spesso ignari pensionati; ma dal frontespizio della newsletter di oggi apprendo addirittura di una lobbistica constituency dei pensionati contro la crescita economica, oltre alla sfacciata esplicitazione che neppure la mancata indicizzazione delle pensioni, nell’odiosa manovra appena varata, raggiungerebbe i livelli di risparmio delle vostre proposte. Molto meno che svedesi, ma semplicemente più scarsi e nostrani… zolfanelli.
francesco scacciati
Sinceramente la proposta mi pare sbagliata sotto tutti gli aspetti. Chi è pensionato non partecipa alla crescita (o alla decrescita) più o meno rapida del paese e dunque dovrebbe vedere il suo reddito indicizzato al solo livello dei prezzi (scala mobile al 100% di copertura). Votare per chi è favorevole alla crescita? Alzi la mano chi tra i politici dichiara di essere per la recessione!L’indicizzazione avrebbe l’ulteriore vantaggio di un rapporto pensioni/PIL calante in periodi di boom e crescente in periodi di flop, con evidente effetto beneficamente anticiclico.
Aldo Mariconda
Solo una battuta: beati gli svedesi! Hanno avuto dei governi capaci di farli uscire dalla crisi che colpiva la Svezia nel 1990, con una punta nel 1992. Come: ° Puntando sull’Information & Communicatiuon Tecnology, data la forza del settore in Svezia. Come? Anticoipando la deregulation TLC al 1994 e cablando Stoccolma e provincia, sempre nel 1994, con la fibra ottica a banda larga, nelle canalizzazioni fognarie, con Stokab AB, società al 90% del comune e 10% della provincia. Risultato immediato: 22 aziende anche d’importanza mondiale sono scese in campo portando concorrenza, differenziazione dei servizi, occupazione. Questo senza fretta di privatizzate Telia AB, la locale Telecom.. " Negli anni successivi hanno riformato pensioni, sanità e privatizzato i servizi pubblici locali. Come risultato hanno avuto un incremento annuo del Pil dal 3 al 4% fino al 2007. Oggi hanno superato la crisi e vanno a gonfie vele. Seguono un principio generale, infrastrutture pubbliche e servizi privati. Vorrei oggi essere cittadino svedese!!!
antonio petrina
Ma non c’era stato un referendum popolare contro la scala mobile che l’aveva abrogata?
ARIS BLASETTI
I nostri politici sono tutti uguali, fermi nel difendere i loro privilegi ma disinteressati al bene della nazione. In campagna elettorale promettono di abolire le Province poi… Abbiamo il triplo del senatori degli Stati Uniti!! Senza contare quanto li paghiamo!!! Escono i libri sulla Casta e sulle Sanguisughe ma poi a pagare è il solito ceto medio, ai tempi di Prodi, ora di Berlusconi domani forse di Bersani. Quanto a riforme vere non si illuda, mi dia retta, sono tutti della stessa pasta. Saluti
Mario Mantovani
In un sistema pensionistico ancora largamente retributivo e con pensioni calcolate in base a contributi figurativi una manovra equa dovrebbe salvaguardare il potere d’acquisto di chi ha effettivamente pagato elevati contributi per 35 – 40 anni. Per queste persone la perequazione non è un regalo, né una "scala mobile", bensì l’interesse percepito sul capitale in mano allo Stato, non ancora restituito come rendita pensionistica. Il blocco basato sull’importo della rendita non è equo.
EMILIO LONGO
Requisito per una riforma delle pensioni è la consapevolezza collettiva della natura dei trattamenti pesionistici erogati. Innanzitutto, è necessario quantificare la parte di trattamento che rapprsenta la rendita finanziaria conseguita dal beneficiario sulla base dei contributi versati, del tasso di capitalizzazione (es. quello dei btp a lunga durata) e dell’aspettativa di vita residua al momento del pensionamento. Questa rendita costituisce l’unico ‘diritto acquisito’ dal pensionato. La differenza tra la pensione effettivamente erogata e la rendita di cui sopra, rapprsenta invece una forma di spesa pubblica per finalità assistenziale, di natura discrezionale. Mettere in evidenza questa componente assistenziale, permetterebbe di verificare l’allocazione più equa delle risorse che lo Stato ha a disposizione tra le diverse fascie di popolazione in situazione di bisogno. Questi comprendono, oltre agli anziani che non sono in grado di condurre una vita dignitosa con la rendita maturata, anche altri gruppi meritevoli di maggiore supporto pubblico, quali le famiglie a basso reddito con figli e rate del mutuo sulla casa, gli studenti meritevoli ma privi di mezzi ed i disoccupati.
daria negroni
sono una lavoratrice sessantenne che ha avuto versati solo 10 anni circa di contributi e che quindi oggi si "attacca". Come me tanti e tanti. Abbiamo percepito di meno perché per i datori di lavoro la contribuzione era onerosa ed ora di tutto quel cumolo di versamenti cosa si sa????
franco bressanin
Preciso che non sono un economista, ma un ingegnere. detto questo mi chiedo: nell’articolo appena letto, si parla di “crescita”. ma cosa intendiamo con questo termine? – l’ aumento del PIL? – l’incremento della produzione di beni? – il miglioramento della qualità di vita? -l’aumento del potere di acquisto dei salari? ed in questa “crescita ” includiamo anche i profitti da transazioni finanziarie ( compravendita di titoli e prodotti finanziari vari)? Altrimenti mi sembra che senza definire con precisione questo “termine”, il riferimento ad esso genera conclusioni sfuocate ed indefinite.
Antonio Benagli
Secondo me il problema delle pensioni non dipende del metodo italiano o svedese, ma dipende dall’ equita’ del sistema. Può secondo voi un pensionato a 400 euro al mese percepire una pensione variabile anche al ribasso?