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CRESCITA MONDIALE: RIMANE SOLO LA CINA

Il timore di una nuova recessione in America e in Europa affonda le Borse. La Cina è l’unica area del mondo che per ora non rallenta e rimane l’ultima speranza di crescita per l’economia mondiale. Nel 2008 la crescita cinese non bastò per evitare la Grande Recessione. Ma oggi l’economia cinese è più grande di allora e la sua crescita più radicata in Asia. Le imprese che  vorranno approfittarne dovranno essere presenti in Cina con marchi e forze di vendita.

Le Borse vanno a picco per il timore di una nuova recessione. L’economia americana ha fatto registrare un +0,1 e +0,3 per cento di crescita del Pil nei primi due trimestri 2011. Nell’Europa squassata dalla crisi del debito le cose non vanno meglio: i grandi paesi con problemi di sostenibilità fiscale – Italia e Spagna – mostrano crescita quasi zero e quello che è peggio è che nel secondo trimestre 2011  anche la locomotiva tedesca ha bruscamente rallentato facendo segnare un +0,1 rispetto a trimestre precedente; in Francia la crescita è a zero. Una crescita che si avvicina allo zero è una pessima notizia per il mondo occidentale super indebitato che non potrebbe certo far fronte ad una recessione con nuovi massici piani di aiuto come nel 2008-09. E dunque le Borse vanno giù.

LA SPERANZA CINESE PER L’ECONOMIA MONDIALE

C’è però un’area del mondo in cui la crescita non rallenta: la Cina, che nel secondo trimestre 2011 può snocciolare un +2.2 per cento rispetto al trimestre precedente (corrispondente ad una crescita annuale del 9,5 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2010). In Cina il secondo trimestre è andato più o meno come il già stellare  primo trimestre. Per ora, come riporta la Reuters, le importazioni cinesi potrebbero aver raggiunto un nuovo massimo proprio nel luglio 2011. La Cina resiste, a dispetto dell’inflazione crescente che ha raggiunto il 6,5 per cento e che molto preoccupa le sue autorità monetarie. Crescendo, alimenta la sua crescita con massicce importazioni dall’estero. Per ora, più che i discorsi di Obama o gli incontri notturni a Bruxelles o a Berlino sembra essere la Cina l’ultima speranza dell’economia mondiale per evitare la Grande Contrazione, come ormai la chiamano Paul Krugman e l’ex capo economista del Fondo Monetario Ken Rogoff.
Nel 2008 la resistente vitalità dell’economia cinese non bastò ad evitare la Grande Recessione. Con il crollo della crescita americana ed europea la crescita crollò anche in Cina. Oggi, dopo soli tre anni, le cose sono un po’ diverse per due ragioni. La prima è che l’economia cinese è relativamente più grande di allora e la crescita cinese può ormai sostituire quella americana ed europea nel sostenere il Pil e quindi i redditi del mondo. La crescita del 10 per cento in Cina vuol dire 600 miliardi di dollari di redditi in più. E’ lo stesso che una crescita del 2 per cento del Pil di Usa ed Europa combinate. C’è poi da ricordare che oggi una nuova recessione americana sarebbe meno costosa di tre anni fa per l’economia cinese perché la crescita cinese di oggi è già molto più centrata sull’Asia rispetto ad allora. Mentre americani ed europei erano impegnati prima con i loro piani di salvataggio e ora con quelli di rientro dal debito, per i cinesi la crisi è stata un’occasione per far marciare l’integrazione economica in Asia. Dal primo gennaio 2010 è entrato in vigore un accordo doganale che riduce di molto le barriere doganali e amplia al 90 per cento dei prodotti l’accordo tariffario tra la Cina e i dieci paesi Asean (Indonesia, Filippine, Malesia, Thailandia, Singapore, Brunei, Vietnam, Laos, Birmania e Cambogia). Si tratta di un altro miliardo e mezzo di persone che stanno uscendo a milioni dalla sussistenza e dalle campagne dove vivevano fino a ieri per lavorare e consumare prodotti manufatti e servizi. Nel 2011 la crescita economica di India, Corea e dei 5 più grandi paesi Asean porterà alla creazione di nuovi redditi per 150 miliardi di dollari. Come se il Pil dell’Europa mettesse a segno un +3 anziché il +2 che ci si aspettava prima della crisi. Il decoupling, la crescita non sincronizzata tra Occidente ed Oriente, ha oggi più speranze di essere che prima della crisi 2008-09.

LA SPERANZA CINESE E’ PER OGGI, PER DOMANI CHISSA’

Per ora, la paura che la Cina e l’Asia diventino fortezze che tengono per sé la loro capacità di generare ricchezza è dunque infondata. Per questa volta potrebbe essere un paese comunista e confuciano a salvare il moderno capitalismo dalla Grande Contrazione. C’è però qualcosa che attenua la speranza cinese per le economie occidentali. Proprio perché la crescita cinese è più “asiatica”, quindi più locale, potrebbe anche essere un traino meno potente per la crescita occidentale. I professional di Shenzen e di Hanoi sempre più spesso si comprano uno smart-phone Htc taiwanese, non un i-phone americano o un Nokia finlandese. Se questo è vero, ciò ha un’importante implicazione: in futuro per approfittare al meglio della rapida crescita asiatica bisognerà essere fisicamente presenti là dove l’azione si svolge, con impianti, marchi, catene di distribuzione e forze di vendita. Se no la speranza cinese porterà profitti solo alle multinazionali americane, giapponesi e tedesche mentre il resto dell’Europa continuerà ad arrancare.

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15 commenti

  1. Giovanni

    La crescita cinese regge anche alla stretta monetaria in corso, ma il modello di sviluppo attuale fino a quando sarà sostenibile? Riuscirà l’economia cinese a riconvertirsi rapidamente in un’economia di consumo (invece che di investimento) e ad assorbire tutta la capacità in eccesso che si sta (e si è già) piano piano creando? Il rischio è di vedere un rallentamento cinese che potrebbe partire già dal 2013, e non si sa se sarà un hard o un soft landing. E poi c’è il rischio di debito latente accumulato dalle banche e dalle amministrazioni locali, di cui nessuno conosce davvero l’entità. Giusta una piccola notazione: HTC è taiwanese, non coreana…

    • La redazione

      Caro Giovanni, prima di tutto grazie della precisazione, abbiamo corretto l’errore. L’apprezzamento dello yuan rispetto a dollaro ed euro potrebbe aiutarci a realizzare un soft landing.

  2. francesco gorga

    I paesi occidentali devono ritornare alle origini, investire nelle università, nei centri di ricerca, premiare le aziende che fanno ricerca con benefici fiscali. E i politici occidentali, come i nostri padri, devono pensare di più a progetti a lungo termine che a vincere le elezioni domani, Platone lo aveva detto oltre 2000 anni fà.

    • La redazione

      Caro Francesco, certo Platone non aveva il problema di vincere le elezioni. Ma siamo sicuri che delegare le decisioni ad una dittatura degli illuminati produrrebbe i risultati sperati? Chi stabilisce quali sono gli “illuminati” giusti per la società al di fuori del processo democratico?

  3. Giuseppe

    Forse sono prigioniero di una visione politico ideologica liberale, ma per quanto ho studiato una crescita economica e sociale sostenibile e duratura va di pari passo a una crescita di libertà economica e politica. La carenza di solide strutture democratiche alla lunga sono un freno, anche in Occidente. E in Cina queste strutture non sono nemmeno in programmi futuri. Qualcuno ha ipotizzato la via Confuciana al libero mercato, ma personalmente sono molto scettico.

    • La redazione

      Caro Giuseppe, la relazione tra libertà economiche e libertà politiche è in effetti meno lineare di quanto assunto dalla visione politico ideologica liberale in cui crediamo. In Asia ci sono vari casi di paesi illiberali dal punto di vista politico (Cina ma anche Corea del Sud e Singapore) che, introducendo libertà economiche, hanno accelerato la crescita economica in modo duraturo. E l’America Latina degli anni ottanta e la Russia e vari paesi dell’Europa Orientale negli anni novanta sono esempi di paesi nei quali l’introduzione di libertà politiche si è associata ad un crollo della crescita economica e a caos.

  4. Enrico Talotti

    Il problema dei paesi occidentali è senza dubbio di crescita di lungo periodo. Sono d’accordo con chi dice che il problema è negli scarsi investimenti in ricerca, ma non solo anche nella scarsa propensione al risparmio, nel rallentamento dela produttività e del progresso tecnico di molti paesi (tra cui l’Italia). Il problema non si può eludere con politiche economiche e fiscali di breve periodo solo per contrastare il ciclo, senza per altro considerare gli effetti negativi di breve periodo che ad esempio in europa non possono essere corretti con tempestività dalla politica monetaria e che creano solo attriti tra stati della comunità europea.

    • La redazione

      Caro Enrico, l’attuale congiuntura economica sfavorevole è la combinazione di problemi di breve periodo (troppo debito pubblico e privato) e di lungo periodo che includono le cose che citava. In generale, però direi che è in atto una svolta epocale che sta spostando l’asse economico da Occidente ad Oriente. Tutti, politici e non politici, non siamo ancora attrezzati ad accettarla.

  5. Giana74

    Il tema della crescita deve essere affrontato dai policy makers occidentali, più che badando compulsivamente alle onde della congiuntura, su 2 fronti di lungo periodo:
    1. Interno, con l’adozione di politiche industriali/fiscali finalizzate ad aumentare la produttività in modo sostenibile (i.e. l’Italia dovrebbe ristrutturare con lacrime e sangue il suo modello industriale per restare competitiva nel medio periodo) per approfittare della crescente domanda degli emergenti e sopportarne al contempo la concorrenza.
    2. Esterno, con la determinazione politiche condivise a livello globale per guidare un cambio nei modelli di sviluppo/ abitudini di consumo onde evitare che la crescita della domanda emergente porti all’ “implosione del pianeta” quando il cinese/indiano/etc medio avvivicinerà lo stile di vita attuale dell’americano medio. Ma come spiagarlo agli elettori senza lasciarci il consenso?

    • La redazione

      Caro Gianantonio, giuste e razionali osservazioni: i punti 1 e 2 sono i problemi del futuro dell’economia italiana ed europea. Ma è particolarmente difficile tenere la barra a dritta sugli obiettivi di lungo periodo quando la congiuntura volge al brutto. Finora non è bastato nemmeno avvicinarci molto al bordo del precipizio.

  6. Claudio Dordi

    Caro Francesco, nel giro di pochi anni l'est Asia sara' una grande zona di libero scambio (pensa che tutti questi accordi sono gia' in vigore e che stanno gia' riducendo le barriere al commercio: ASEAN FTA + ASEAN-Cina + ASEAN-Corea + ASEAN-Giappone+ ASEAN-India + ASEAN-Australia e Nuova Zelanda…oltre 3.5 miliardi di persone). Ho scritto in altri articoli che qualsiasi paese ASEAN (piu' che in Cina, e nell'ASEAN in Vietnam piu' che in altri paesi, per vari motivi) puo' diventare l'hub per gli investimenti diretti al fine di distribuire prodotti nella super-FTA. I prodotti (e i servizi) delle nostre piccole-medie imprese hanno grandi potenzialita' nell'area: tuttavia, come rendere conveniente alle piccole-medie imprese investire nel sud-est Asiatico? Quali formule imprenditoriali (consorzi, etc.) potrebbero rendere sostenibili le decisioni dei nostri piccoli-medi imprenditori di investire nella zona (senza il bisogno di chiudere in Italia!)? Perche’ le nostre imprese medio-grandi sono cosi’ restie ad investire in zona per distribuire nel mercato regionale (e non per re-importare!)? Vivendo nell’area da anni ho la sensazione che vi sia un un forziere pieno d’oro ancora intatto che aspetta solo di essere aperto.

  7. Giovanni Scotto

    Purtroppo si moltiplicano i segnali sistemici che annunciano la crisi irreversibile del paradigma della crescita materiale come si è realizzata all’incirca negli ultimi duecento anni. Due eventi per tutti: il cambiamento climatico (ovvero l’impossibilità fisica del pianeta di assimilare i nostri scarichi di CO2) e il picco di produzione petrolifera (insensibile alle impennate di prezzo, la produzione di greggio ristagna da cinque anni). Il fatto che sia impossibile una crescita infinita in un sistema finito come il nostro pianeta è una banalità che non bisognerebbe neanche menzionare… se non fosse che abbiamo creato potentissime istituzioni e convincenti orpelli culturali per dimenticare questa ovvietà. L’Italia può ancora guadagnare qualcosa in efficienza, certo. I giorni della crescita, però sono contati. Non potrà essere questa la soluzione ai problemi economici.

  8. bellavita

    bisognerebbe conteggiare anche l’India, la cui crescita dovrebbe assicurare un altro +1% al PIL mondiale, e valutarne i riflessi.

  9. Leandro

    Leggo il commento di Claudio Dordi e mi sento di condividerne l’analisi rapportandola in Africa, più precisemente in Etiopia. Opero nel Corno d’Africa e ho ben realizzato che qui ci troviamo alla perferia di un grande centro dettato da Pechino. Paradossalmente per entrare nel mercato Asiatico si potrebbe usare Addis Ababa come accesso, poichè l’import dalla Cina qui sfiora cifre enormi, pertanto tutti gli operatori commerciali etiopi hanno dimistichezza con i mercati dell’Estremo Oriente. Il ritardo dell’Occidente ad accettare un partner mondiale che agisce in maniera diversa dal nostro e con obiettivi nuovi, potrebbe portare all’implosione dell’Europa. La Cina ha il vantaggio di operare con aziende saldamente gestite con struemnti grezzi ma efficienti, e soprattutto agisce con spirito di sacrificio. La Finanza mondiale non è un problema per Perchino, tutto al più una ghiotta ed extra occasione!

  10. Luca

    Buongiorno professore sono un suo ex studente dell’università di Parma. Concordo pienamente con quanto da lei scritto. Vivo e lavoro in Cina da 2.5 anni quindi vivo giornalmente questa crescita. Mi ricollego a quanto da lei scritto per affermare a gran voce che le nostre aziende (almebo la maggioranza) non hanno compreso l’importanza di questo mercato e quando anche siano consapevoli che delle sue potenzialità non lo approcciano nel modo corretto. La forza vendita e l’investimento sono due fattori senza i quali l’insuccesso e’ assicurato. Tedeschi e francesi dovrebbero essere presi come esempio per le modalità di approccio di questo mercato. I risultati parlano da soli. Noi italiani dobbiamo vedere la Cina non più come una minaccia, ma come un’opportunita che, anche se non semplice, possa in futuro portare entrate inaspettate alle nostre aziende in Italia e quindi sopperire al difficile periodo che il nostro paese sta affrontando e affronterà nei prossimi 2-3 anni.

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