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SE IL FABBISOGNO STANDARD PREMIA I MENO VIRTUOSI

Con la manovra di luglio, i concetti di fabbisogno sanitario nazionale e regionale standard, introdotti dal decreto legislativo 68/2011 sul federalismo regionale, cominciano a entrare tra le disposizioni di razionalizzazione della spesa sanitaria. Poiché permangono forti ambiguità sulla ricostruzione ex-post dei livelli di fabbisogno sanitario regionale standard rispetto alla distribuzione ex-ante delle risorse ordinarie assegnate alle Regioni, la norma sui tetti di spesa dei dispositivi medici non è esente da distorsioni, che potrebbero favorire le Regioni meno efficienti.

È passato del tutto inosservato, tra le righe della manovra di luglio, il riferimento al concetto di “fabbisogno standard” introdotto dal decreto legislativo 68/11 di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale (cosiddetto federalismo regionale). Il riferimento, contenuto tra le misure di razionalizzazione della spesa sanitaria, non è infatti senza conseguenze.
Vediamo di che cosa si tratta: all’art. 17, c. 1, lett. c) del decreto legge 98/11 si sostiene che, a decorrere dal 2013, la spesa sostenuta per l’acquisto dei dispositivi medici è fissata entro un tetto determinato annualmente a livello nazionale e a livello di ogni singola Regione, riferito rispettivamente al fabbisogno sanitario nazionale standard e al fabbisogno sanitario regionale standard.
La norma, che si innesta tra i tanti vincoli e adempimenti che costituiscono il patto di stabilità sanitario, non è rilevante per la misura dell’oggetto del contenimento (il tetto per la spesa dei dispositivi medici) che concorre alla disciplina di bilancio del settore, quanto invece per la base di riferimento per il calcolo del contenimento (i fabbisogni standard sanitari di cui al Dlgs 68/11), che è fonte potenziale di distorsioni. La ricostruzione degli standard si fonda infatti su una metodologia approssimativa, incapace di collegare le questioni di equità nel riparto delle risorse assegnate alle Regioni con quelle di efficienza nell’allocazione della spesa.

LA RICOSTRUZIONE EX-POST DEI FABBISOGNI SANITARI STANDARD

La vicenda della ricostruzione dei costi e dei fabbisogni standard sanitari normati nel decreto attuativo del federalismo fiscale per la finanza regionale è fonte di confusione e di illusorie aspettative verso la riduzione delle inefficienze.
Il Dlgs 68/11 utilizza un insieme di definizioni in cui è facile perdersi. È bene in particolare tenere distinti il concetto di finanziamento integrale della spesa sanitaria, con cui ci si riferisce all’ammontare di finanziamento della sanità fissato esogeneamente a monte del processo di bilancio, dal concetto di spesa, con cui si indicano le risorse ordinarie attribuite al finanziamento dei Lea nel «secondo esercizio precedente a quello di riferimento». È quest’ultimo concetto infatti che costituisce la base di riferimento per la determinazione dei costi standard e dei fabbisogni standard regionali.
Utilizzando i dati Copaff che espongono la distribuzione della spesa sanitaria regionale per macroaree (5 per cento per l’assistenza collettiva, 51 per cento per la distrettuale e 44 per cento per l’ospedaliera), che è equivalente alle risorse ordinarie assegnate alle Regioni nel 2009 (sostanzialmente rappresentate dalla somma del finanziamento indistinto che segue i criteri di riparto della formula capitaria e il finanziamento vincolato che può seguire criteri di riparto diversi), un semplice esercizio di simulazione ci permette di evidenziare le conseguenze che la nuova metodologia di riparto indicata dal Dlgs 68/11 avrebbe avuto sulla determinazione dei fabbisogni sanitari standard se fosse stata applicata al 2009 (vedi figura 1). (1)
La metodologia richiede innanzitutto di individuare tre Regioni che rispettino l’equilibrio economico-finanziario e indicatori di valutazione dell’appropriatezza, dell’efficienza e della qualità dei servizi nell’erogazione dei Lea.
La scelta, che deve anche seguire un criterio di rappresentatività geografica e la presenza di una Regione di piccole dimensioni, è ricaduta su Lombardia, Toscana e Basilicata.
La simulazione, effettuata seguendo il dettato delle norme, permette di argomentare due osservazioni:
a) la terna delle Regioni prescelta è irrilevante per la determinazione della quota di accesso al finanziamento da parte delle singole Regioni, determinata top-down: poiché il costo standard è una costante moltiplicativa, lo stesso risultato si otterrebbe con una terna qualsiasi;
b) la terna prescelta è invece rilevante per la ricostruzione bottom up del livello del fabbisogno regionale standard e di conseguenza di quello nazionale, costruito per somma.
L’effetto b) della terna prescelta sulla distribuzione del fabbisogno regionale standard rispetto a quello della distribuzione iniziale del finanziamento è ben evidenziato nella figura 1:

La ricostruzione del fabbisogno sanitario standard ex post per l’anno 2009 (che, come si è detto è però ininfluente ai fini del calcolo della quota di accesso da applicare al finanziamento dell’anno di riferimento), evidenzierebbe in valori assoluti a livello nazionale risparmi di spesa per oltre 300 milioni di euro e una redistribuzione del fabbisogno a livello regionale verso Regioni quali Lombardia, Lazio, Veneto e Abruzzo a prescindere dalla loro virtuosità. La differenza globale tra la distribuzione iniziale delle risorse e quella del fabbisogno nazionale standard deriva proprio dal fatto che il valore assoluto di tale fabbisogno non si ricostruisce sulla base della spesa pro-capite pesata di tutte le Regioni, ma solo di quelle incluse nella terna che, nel caso dell’esercizio proposto, si collocano sotto la media nazionale; la redistribuzione regionale di questo fabbisogno, che nulla ha a che fare con l’efficienza, è poi semplicemente l’effetto di una spesa pro-capite pesata collocata sotto o sopra la media del benchmark.

CONSEGUENZE DISTORSIVE NEI TAGLI DI SPESA

Fintanto che la nuova metodologia sui costi e fabbisogni sanitari standard prevista dal decreto sulla finanza regionale in attuazione del federalismo fiscale viene considerata solo ai fini dei criteri del riparto del finanziamento del settore, esogeneamente determinato, c’è poco da preoccuparsi, per quanto discutile sia l’idea di utilizzare in tale riparo «pesi per classi di età della popolazione (…) relativi al secondo esercizio precedente a quello di riferimento» che di fatto significa utilizzare i consumi rilevati attraverso la tessera sanitaria e le Sdo (Schede di dimissioni ospedaliera) di ben quattro anni prima.
Qualora invece per la disciplina di bilancio si aggiungano vincoli e adempimenti (e chi scrive è favorevole all’individuazione di tali vincoli) che assumono come base di riferimento i livelli dei fabbisogni sanitari standard ricostruiti ex post, è facile incorrere nel rischio di ripartire un taglio (per quanto lineare) in misura distorsiva tra le Regioni. Sarebbe questo il risultato dell’applicazione della norma sul risparmio della spesa per i dispositivi medici inclusa nella manovra di luglio. Infatti, come si evince dalla figura 1, se avessimo applicato oggi la nuova disposizione, il tetto calcolato sui fabbisogni sanitari regionali standard avrebbe agevolato (nel senso di permettere un minor risparmio di spesa) una Regione come il Lazio, che non splende certo per virtuosità.
Se, in questo caso, si tratta tutto sommato di poca cosa, ritorna invece forte la preoccupazione di un’applicazione generalizzata dell’art. 25, c. 3, del Dlgs 68/11, laddove sottolinea che i costi e i fabbisogni standard «costituiscono il riferimento cui rapportare (…) a regime il finanziamento integrale della spesa sanitaria». Si paventa infatti l’intenzione di legare la determinazione dell’intero finanziamento per il Ssn (e delle misure sul suo contenimento) a metodologie approssimative che nulla hanno a che fare con l’efficienza e che inficiano nello stesso tempo l’equità della distribuzione delle risorse (e dei tagli) nel settore.

(1) E. Caruso, N. Dirindin [2011], “Costi e fabbisogni standard nel settore sanitario: le ambiguità del decreto legislativo n. 68 del 2011”, in Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa, Espanet Conference, 29 settembre – 1 ottobre 2011, Milano.

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  1. nicola s.

    Non si deve necessariamente buttar via bambino e acqua sporca. Se si elimina il comma che obbliga a distorcere il benchmark con criterio geografico e dimensionale (le Regioni hanno già dimensione di scala minima tale che …), i risultati sono molto diversi da quelli mostrati in figura n.1. Il Lazio risulterebbe tra le Regioni più devianti. Dissento sul fatto che la scelta delle Regioni di riferimento sia ininfluente. Lì il testo del decreto è pasticciato, e dovrebbe essere riscritto. Stessa cosa si può dire sul riparto. Il vizio di circolarità può essere risolto, evitando di rimandare “ai pesi del secondo anno prima …”, e stabilendo che pesi siano i rapporti di spesa interfascia di età in capo alle Regioni benchmark. Il decreto ha molti passaggi scritti male (su questo concordo), ma atteggiamenti disfattisti certo non aiutano a fare luce. Perdonatemi la franchezza.

  2. ns

    http://www.cermlab.it/argomenti.php?group=sanita&item=61
    http://www.cermlab.it/argomenti.php?group=sanita&item=70
    http://www.cermlab.it/argomenti.php?group=sanita&item=76
    http://www.cermlab.it/argomenti.php?group=sanita

    Se si parte da un benchmark sbagliato, poi, a cascata, non ci si deve meravigliare che scaturiscano, e si accumulino, effetti distorsivi. Un saluto e grazie, ncs

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