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PERCHÉ L’ITALIA NON CRESCE

 L’economia italiana ha prodotto risultati deludenti nell’ultimo decennio. Eppure, quelli che normalmente sono fattori di crescita sono migliorati. Sono aumentati gli investimenti in capitale umano e fisico e quelli in ricerca e sviluppo e si è intervenuti sulla regolamentazione del mercato del lavoro e dei prodotti. A peggiorare notevolmente sono stati invece gli indicatori di governance del paese: efficacia del governo, rispetto della legge e lotta alla corruzione. È questa la zavorra che impedisce all’Italia di crescere. Liberarsene non sarà facile.

Nell’ultimo decennio, l’economia italiana ha palesemente avuto risultati deludenti, sia rispetto agli altri paesi europei, sia rispetto agli anni Novanta.
Per trovare la spiegazione di questo fenomeno, non ci si può limitare a puntare il dito contro le ormai riconosciute debolezze che da tempo rallentano l’Italia, ma bisogna focalizzarsi su quei fattori di crescita che si sono chiaramente deteriorati dal 2000 in poi. Non è facile. I fattori di crescita più facilmente misurabili mostrano, in realtà, un miglioramento sia assoluto che relativo.

1. Investimento in capitale fisico e in capitale umano: il primo è alto e il secondo sta migliorando rapidamente.
2. Indicatori strutturali in termini di regolamentazione dei mercati del lavoro e dei prodotti: in miglioramento sia in termini assoluti che in relazione alla Germania.
3. Investimenti in ricerca e sviluppo: sono anch’essi in aumento.

Gli unici fattori a peggiorare sia in assoluto che rispetto ai principali paesi dell’area euro sono gli indicatori di governance, come corruzione e rispetto della legge. Per invertire il declino politico servirebbe un impegno pluriennale dell’intera nazione, ma è un impegno di cui ancora non vi è traccia.

CAPITALE UMANO E FISICO

La crescita deludente dell’economia Italiana non può essere attribuita a una carenza di capitale fisico o umano.
Per molti anni dello scorso decennio l’Italia ha investito quasi il 20 per cento del proprio Pil, si tratta di una percentuale superiore a quella della Germania (e lo stesso è avvenuto per gli investimenti in impianti e attrezzature, vedi Figura 1). Ma nonostante gli sforzi, il Pil è poco superiore a quello di dieci anni fa. (1) Ciò implica che l’efficienza degli investimenti è stata estremamente scarsa. Tra il 1999 e il 2009 lo stock di capitale netto dell’intera economia italiana è aumentato del 19 per cento, ma il Pil è aumentato solo del 5 per cento. Al contrario, lo stock di capitale tedesco è aumentato meno (circa il 13 per cento), ma il Pil della Germania è aumentato molto più, circa il 9 per cento. È probabile quindi che maggiori investimenti non siano la soluzione del problema crescita.

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Figura 1: Investimenti in impianti e attrezzature

Fonte: Ameco dataset,  Commissione Europea (Dg Ecfin).

Tra i motivi di bassa crescita, è spesso citato l’investimento dello Stato in infrastrutture. Ma in realtà ha oscillato intorno al 2,5 per cento del Pil nel corso degli ultimi venti anni, in linea con la media europea (e ancora una volta superiore a quello della Germania). Più investimenti in infrastrutture, quindi, non sbloccheranno la strada alla crescita.
Le stesse osservazioni possono essere fatte per quanto riguarda il capitale umano: la forza lavoro italiana è oggi più istruita rispetto a anni fa. La percentuale di coloro che hanno una formazione universitaria è aumentata dal 13 al 18 per cento all’interno della popolazione in età lavorativa, mentre la percentuale di chi ha solo il diploma della scuola elementare è diminuita.
La percentuale dei laureati in Italia rimane più bassa rispetto ai paesi partner, ma è cresciuta più velocemente nel corso dell’ultimo decennio. La Figura 2 mostra l’evoluzione della popolazione in possesso di una laurea in Germania e in Italia, ponendo il livello del 1999 pari a 100. È evidente che l’Italia ha fatto progressi molto superiori rispetto alla Germania. In termini di capitale umano, quindi, l’Italia ha ridotto in modo considerevole la distanza dalla Germania.

Figura 2: Popolazione attiva (25-64) in possesso di una laurea

Fonte: Eurostat, Labour Force Survey.

LE RIFORME STRUTTURALI

Cosa possiamo dire invece riguardo le “riforme strutturali”, spesso indicate come la cura dei mali per il paese? Anche qui i dati indicano un miglioramento sia assoluto che relativo. Per esempio, gli indici Ocse sui mercati del lavoro e dei prodotti mostrano un sostanziale miglioramento se confrontiamo i valori più recenti ai dati di dieci anni fa. Inoltre, l’Italia sembra aver raggiunto all’incirca lo stesso livello della Germania per quanto riguarda le tutele (formali) del mercato del lavoro e la regolamentazione del mercato dei prodotti.

Tabella 1: Indicatore delle riforme strutturali dell’Ocse

Fonte: Ocse, PRM= Product market EPL = employment protection legislation.

L’INNOVAZIONE

Un altro fattore spesso citato come inibitore della crescita in Italia, è il basso tasso di investimento nella ricerca e nello sviluppo: è dell’1,27 per cento del Pil, un tasso molto basso, pari solo al 62 per cento della media dell’area euro. Tuttavia, nell’ultimo decennio, l’investimento dell’Italia in R&S in proporzione al Pil è cresciuto di un quarto, più o meno quanto in Germania, e molto di più che nel resto d’Europa. È quindi difficile attribuire il rallentamento della crescita alla spesa in R&D, quando è aumentata rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei.

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IL MAL DI GOVERNANCE

Ma allora quali fattori sono peggiorati, così da spiegare il rallentamento della crescita?
C’è solo una serie di indicatori il cui andamento è chiaramente peggiorato: quelli relativi alla governance del paese, misurabile attraverso i Worldwide Governance Indicators (Wgi) della Banca Mondiale.
I tre indicatori più importanti per l’economia sono: il tasso di legalità, l’efficienza del governo e il controllo della corruzione. Per tutti e tre gli indicatori, la performance dell’Italia si è drammaticamente deteriorata nell’ultimo decennio.

Fonte: WGI 2011, Banca Mondiale

E per tutte e tre queste misure l’Italia fa peggio di qualsiasi altro paese dell’Eurozona (Grecia inclusa!). La differenza fra l’Italia e il resto dell’Europa è ora di oltre due deviazioni standard al di sotto della media dei principali paesi europei.

Fonte: Wgi 2011, Banca Mondiale

Nelle moderne economie industrializzate la crescita è un processo complesso. L’Italia si differenzia dai paesi simili perché ha vissuto un “decennio perduto”, nonostante il miglioramento della maggior parte dei fattori che normalmente influenzano la crescita. Fino a poco tempo fa il clima macroeconomico non era nemmeno così problematico, almeno non di più che per gli altri paesi europei. L’unica area nella quale vi è stato un chiaro deterioramento è la governance del paese, che gli indicatori disponibili indicano come significativo negli ultimi dieci anni. È anche un’area dove un’inversione di tendenza appare più difficile e nella quale l’influenza delle pressioni esterne è debole.
Sfortunatamente, il paese non ha ancora compreso pienamente l’importanza di una governance migliore e il tema ha poco spazio nel dibattito politico. Sarà dunque difficile realizzare un impegno continuativo per combattere la corruzione, incoraggiare la legalità e migliorare l’efficienza amministrativa in generale. Tuttavia, progressi su questi fronti potrebbero rivelarsi più importanti per la crescita delle riforme ora imposte dall’Unione Europea.

(1) Pil procapite in termini reali nel 2009 era minore di quello del 1999 e nessun altro paese nella UE-27 ha avuto una performance tanto scarsa.

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21 commenti

  1. Francesco Zucchini

    Non discuto, (anche come scienziato politico) l’importanza dei fattori istituzionali intesi in senso ampio. Però il sospetto è che in un contesto divenuto via via più competitivo anche i miglioramenti nei fattori “tradizionali” della crescita possano non essere stati sufficienti. L’analisi mi sembra che consideri l’ambiente economico internazionale come stabile nel tempo mentre le performances dei paesi emergenti degli ultimi dieci anni dimostrano il contrario. D’altra parte mi riesce difficile pensare che l’italietta del pentapartito fosse meno corrotta e con un governo più efficiente dei governi della seconda repubblica. Allora però non si parlava ancora dei paesi “BRIC” . Allora si glorificava le magnifiche sorti progressive della piccola impresa ( basti guardare ai rapporti censis di De Rita) mentre oggi ci accorgiamo sempre di più che imprese troppo piccole comportano non pochi problemi nel nuovo ambiente economico internazionale.

  2. Enrico Parisini

    Ringrazio moltissimo lavoce.info per questa analisi che sento vera. Per tutte le persone che conosco che lavorano onestamente e con grande impegno è bello rendersi più consapevoli dell’importanza della legalità . In occasione di un evento legato allo SMAU ho incontrato “gli imprenditori per la legalità” : affermavano di non chiedere altri interventi che non ridare legalità e concorrenza onesta, che le aziende che non sanno corrompere o impiegano con contratti di lavoro legali, muoiono ! Purtroppo il tema non è così sentito nel dibattito politico e passa sempre in secondo piano rispetto ad altre misure che possiamo pensare “più dirette” a questo scopo. Grazie ancora , diffonderò l’analisi .

  3. Antonio B

    Come avete ben detto, in termini di PIL pro capite l’ Italia è retrocessa dal 1999 al 2009. A mio parere il risultato scarso dipende dal fatto che la ricchezza non è stata distribuita equamente ed inoltre siamo entrati nell’ euro ( doveroso ) nel modo sbagliato, o quanto meno senza i dovuti controlli che invece hanno attuato gli altri paesi evitando le speculazioni che invece pesano ancora sui risparmi delle famiglie. In pratica il maggior flusso di denaro investito in questi anni non è entrato nel circolo della società per cui solo pochi ne hanno beneficiato, ma l’ intera Italia ne ha risentito.

  4. Domenico marolda

    Una cosa che non capisco in tutti questi studi è perché non vengono presi mai in considerazione alcuni fattori che secondo me sono i primi responsabili della mancata crescita:
    1. diminuzione del potere di acquisto degli italiani, legata alla diminuzione in termini reali delle retribuzioni medie, alla elevata disoccupazione, sottooccupazione e precarietà giovanile
    2. crescita a dismisure delle ineguaglianze sociali per cui il PIL disponibile per la maggiorparte della popolazione è sempre inferiore
    3. legato ai precedenti: diminuzione dei consumi interni, il cui impatto sulle capacità di crescita sono evidentemente stati sempre sottovalutati

  5. Anonimo

    È interessante che si tiri in ballo il fattore domanda. Potrebbe valere come spiegazione per la crisi post-2008, e vale sicuramente per altri stati dell’Unione le cui situazioni influiscono anche qui, ma i fattori strutturali devono essere imponenti se è vero che in Italia non è in corso una svalutazione interna (diminuzione del livello di prezzi e redditi) contrariamente agli altri PIGS. In ogni caso è bene che la BCE prenda sul serio l’obiettivo inflazione al 2%/anno e crei più moneta, se non altro per dare tranquillità ai mercati e sostenere l’economia negli altri Paesi periferici.

  6. Marino

    Il dato quantitativo non basta. Gli investimenti in impianti possono esser stati fatti nei settori sbagliati, la crescita della formazione universitaria da sola non ci dice se si tratta di lauree triennali in settori senza sbocchi professionali prese con la media del 18 o lauree in ingegneria e nanotecnologie, la spesa per infrastrutture dice poco se quelle infrastrutture sono state costruite nel posto sbagliato, pagate il triplo e/o non finite.

  7. marco spampinato

    Condivido completamente il ribaltamento di prospettiva che l’articolo propone, a partire dalle sue conclusioni. La stessa efficienza/produttività delle risorse allocate ad investimenti, pubblici e privati, può essere pensata come una variabile dipendente dal contesto di governance e legalità del paese (e locale). I dati in recupero per indicatori di istruzione incoraggiano, ma nella quotidianità anche attività semplici, nei contesti dominati da reti informali che mirano a trarre vantaggi per chi vi appartiene, costringono il “cittadino isolato” che cerca di rispettare le regole formali e di correttezza più elementari dentro una palude intricata, dominata da comportamenti irrispettosi degli altri, o miranti persino ad includerlo stabilmente in un qualche ambito di compiacenze o di illegalità. Tutto ciò innanzitutto toglie possibilità. E sono d’accordo che sia difficilissimo uscire da questo status senza rendersi conto: a) di quanto pesa realmente questa zavorra-pantano sulla crescita, sulle diseguaglianze e, filosoficamente, sulla felicità di molti; e b) senza una qualche forma di “educazione alla libertà” (sembra una contraddizione, ma non credo lo sia).

  8. fag

    Ho l’impressione il bel contributo di Gros trascuri che le imprese italiane sono molto disomogenee tra loro, sia per i settori in cui operano, sia nell’ambito del medesimo gruppo. La produttività non cresce media perchè in alcune imprese regredisce ed in altre va molto bene. Il vero problema italiano sarebbe quello di far assorbire i deboli dai capaci,ma temo non esistano strumenti di politica industriale per un obiettivo del genere.

  9. Cesare leoncini

    Un aspetto che forse va considerato, accanto a quelli evidenziati nell’articolo, è la valutazione del livello di evasione fiscale. Un eventuale crescita negli ultimi dieci anni di tale livello, comporterebbe che una parte crescente del reddito prodotto non verrebbe contabilizzato nel Pil. Cio potrebbe, a mio avviso, spiegare parte della mancata crescita dell’italia.

  10. Piero

    Una risposta alla mancata crescita, sicuramente è colpa dell’euro, la moneta unica obbliga i paesi ad essere più virtuosi e più produttivi, ricordiamoci che l’Italia e divisa fra nord e sud, aveva quindi una palla economica al piede prima dell’entrata nell’euro, problema noto a tutti i partner europei, aveva un divario di infrastrutture pubbliche notevole e un eccessivo debito pubblico. Il governo italiano all’entrata nell’euro ha enfatizzato solo il vantaggio del minor costo del denaro ma non ha reso evidenti tutti gli svantaggi, ancora oggi glineconomisti miopi mi parlano del vantaggio degli interessi, che però è durato poco, visti gli spread attuali. Al Prof. Gros ho fatto delle domande sul suo precedente articolo del 15 settembre, le risposte sono in parte la causa della mancata crescita.

  11. AM

    Le cause sono molteplici. Vediamone alcune. Troppo poche grandi imprese, le uniche che sono in grado di fare importanti investimenti in ricerca e di offrire lavoro a molti laureati. Eccesso di regolamentazione (in parte anche colpa di UE). Troppi adempimenti e conseguenti rischi di sanzioni scoraggiano le nuove iniziative e le innovazioni in genere. Se infatti in un’impresa un’innovazione funziona e migliora i risultati, allora iniziano le difficoltà da parte delle autorità, spesso spinte dai concorrenti che perdono quote di mercato. Il dilagare della corruzione, talora collegata anche alla malavita. Il costo eccessivo di una classe politica spesso non all’altezza per capacità ed etica (mi riferisco anche all’opposizione). La pessima gestione dei flussi di immigrazione dovuta a inefficienza, xenofobia e buonismo. La qualità media dell’immigrazione in Italia è inferiore rispetto ad altri paesi. Inefficienza e bassa produttività della PA, magistratura inclusa. Carenze nella selezione in base al merito nelle carriere, iniziando dalla scuola.

  12. Marco

    Un’ operazione che riduce del 90% gli attuali comuni ed elimina le province (e costi relativi). Sono solo 104 i comuni con più di 60.000 abitanti (il 25% della popolazione nazionale) se ristrutturiamo il resto del territorio in “contee/distretti” che avranno ALMENO 60.000 abitanti coinvolgeremo i residui 45 milioni di italiani per dare a tali centri amministrativi una dimensione economica e risorse professionali piu’ qualificate. Si aumentano le risorse economiche da investire ad esempio in scuole, presidi sanitari, infrastrutture. I presidi dei centri minori all’interno del distretto possono essere esclusivamente operativi, dedicandovi una o piu’ segretarie che coll’ausilio della rete telematica risolvono le prime necessita degli abitanti. Poi una efficiente rete logistica per studenti e lavoratori. Ridurre cosi i livelli decisionali a tre (governo centrale, regione, distretto) rendendo la gestione veloce e flessibile e riducendo le aree di conflitto. Eliminate le province, riconfigurare “macroregioni” intorno ai 6/8 milioni di abitanti (massimo 10 regioni) che aumentaranno il controllo e coordinamento centrale (semestrale?) sui loro centri amministrativi (75-90).

  13. rosario nicoletti

    Io sono abbastanza d’accordo con Marino. In economia si misura spesso la quantità: e non la “qualità”. Ad esempio: è aumentato il livello di istruzione? E’ lecito dubitarne, visto che il 60% di quelli che escono dalle medie superiori fa errori di ortografia. Le opere pubbliche costano molto più di quanto valgono: e questo è un effetto di una diffusa disonestà. Il basso tasso di legalità affievolisce il senso del dovere: nel lavoro, molti, troppi sono interessati solo alla remunerazione e non alla qualità di quello che fanno. La lotta all’evasione fiscale è un esempio lampante della pessima allocazione di risorse: si è messa in piedi una gigantesca macchina, che viaggia con pilota automatico, e riesce in questo modo a “scovare” evasori di 50 o 100 euro, lasciando indisturbati quelli veri.

  14. Francesco

    L’Italia, come tante altre formazioni statuali prima di lei, muore di tasse, vergognosamente alte. Sulla legalità, scusate se sono banale ma non ho studiato tanto, che l’Italia sia una fetta della crosta terrestre dove gli imbroglioni sono più numerosi e apprezzati che altrove non è una gran scoperta. Leggete “Il Paese del Pressappoco”. Non dico che capirete tutto, ma quasi.

  15. Antonio Capillo

    Articolo molto interessante. Un paio di riflessioni
    1) Investimenti in infrastrutture non significa che le infrastrutture siano state realmente completate o perfino iniziate (vedi ponte sullo Stretto)
    2) E’ rischioso, anche se meno complesso, misurare il capitale umano in percentuale di laureati senza tenere conto della qualita’ dell’offerta educativa.

  16. Emanuele Montresor

    Gli investimenti in infrastrutture nostrani non possono essere equiparati a quelli tedeschi. Se loro spendono 100 realizzano 90. Noi spendiamo 100 e realizziamo 30 visto che oltre metà dei progetti viene bloccato, abbandonato a metà, rifinanziato, tangentato…per tacere delle opere inutili! E ricordiamoci che il nostro costo delle opere pubbliche è spesso molto più alto che negli altri paesi a causa di tangenti, corruzione, malavita. E’ un dato fasullo. Abbiamo davvero colmato la differenza in laureati? Ho i miei dubbi. Non tutte le lauree sono uguali ed è noto che il nostro paese sforna un gran numero di lauree inutili. E’ impopolare dirlo, ma non tutte le lauree hanno un valore nel mercato del lavoro. Anche qui il dato è fasullo. Abbiamo colmato la differenza col resto dei paesi UE come tutela dei lavoratori? Mah, abbiamo livelli di lavoro in nero enormi specie al sud e con aziende che piroettano nelle pieghe del precariato pur di non assumere regolarmente. Sul resto nulla da dire, corruzione, illegalità e governo incapace sono cause principali del disastro. E anche dei fallimenti di cui sopra.

  17. bob

    La Mercegaglia dice di abbassare a 500 euro il liquido prelevabile per arginare il riciclaggio. Poi la Sig.ra Gabanelli (Report) scopre che molte delle sue società del gruppo hanno sede in Irlanda e ancora che papà Steno qualche problema con Equitalia lo ha. Io vorrei solo dire a chi ancora ha un pò di dignità la problematica che crea alle piccole imprese le norni antiriciclaggio( che non servono assolutamente e nulla) soprattutto attualmente con le banche assolutamente inoperative. Pensate voi se capitali enormi riciclati e gestiti da finanziare possono essere contrastati impendendo ad un povero cristo di prelevare 2600 euro per pagare un operaio.

  18. Davide

    Ho qualche perplessità su investimenti e capitale. Se guardiamo questi dati Istat noto (figura 3, ultima pagina) che la variazione di stock di capitale (netto e lordo) è stata negli ultimi 15 anni molto più bassa che in precedenza. E questo coincide temporalmente con i nostri problemi, ma contrasta con quanto scritto nell’articolo e con altri dati effettivamente disponibili. Che mi sono perso? Perchè lo stock di capitale cresce così poco (rispetto non agli altri, ma a noi stessi prima di entrare in questa lunga stagnazione) se gli investimenti sono così alti? C’è qualcosa che non mi torna.

  19. alias

    C’è una fascia di popolazione in Italia che lavora, guadagna mediamente poco, consuma poco, e risparmia, molto spesso al di fuori dei confini. E’ un pezzo d’Italia che si impiega a basso reddito e chiede, pertanto, prodotti a miglior rapporto qualità/prezzo che in passato; non importa se è roba cinese, anzi meglio. Il fatto è che sono molte persone (quanti milioni? diciamo una decina?), e che spesso non han rappresentatività nè visibilità politica, nè esprimono un’opinione (quanti Abdul firmano lettere a siti come questo?), e di cui non sappiamo molto, e magari neppure interessa poi molto.

  20. PPIERANGELINI

    E’ chiaro che un articolo non può da solo spiegare il reale motivo della mancanza di crescita e i macro-indicatori possono essere insufficienti, certo che la diminuizione del tasso di legalità può incidere come la capacità di governo, comunque anderebbero approfondite alcune questioni: forse in Italia ci saranno più laureati ma qual è il tasso di utilizzo effettivo? Siamo in grado di sfruttare il capitale umano in maniera efficace? Cosa fanno i giovani nelle imprese? C’è stato negli ultimi anni un sufficiente ricambio generazionale nelle classi dirigenti? Un giovane da noi può costruire un’impresa come Facebook o qualche altra start-up tecnologica? Oltre alla illegalità la giustizia in Italia è efficiente? Non ci sono troppe regole inutili (ad esempio antimafia) che non servono a niente? Avete avuto mai a che fare con la macchina della giustizia? Vi sembra adeguata ai tempi? Quali sono gli incentivi per creare nuovo lavoro? Il sistema finanziario favorisce gli investimenti per chi vuole creare nuove attività ?

  21. andrea

    L’economia italiana non riesce a crescere per diversi motivi, quello più determinante è quello politico: 945 deputati che non sono in grado, non sono capaci di attivare riforme e sopratutto non hanno nè moralità nè senso civico, mancano anche di una certa cultura (es: non sanno la differenza tra deficit pubblico e debito pubblico, non sanno cos’e’ lo spread e per finire non sanno a quanto ammonta il debito pubblico totale), non amano il paese ma amano solo il soldo, sono diventati schiavi del Dio denaro, dimenticando il perchè sono in Parlamento/Senato! Sinceramente credo anche che 945 persone siano un po’ troppe per governare un paese come l’Italia, ne basterebbero la metà, in poche parole pochi ma buoni! Cordialmente, Andrea.

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