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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per gli interessanti commenti ricevuti.
fRancY coglie una implicazione importante della nostra proposta: se lo squilibrio dei compiti familiari diminuisce, si riducono le ragioni per tassare donne e uomini in modo diverso; la tassazione preferenziale a favore delle donne è una misura flessibile da adeguare nel tempo a un contesto in evoluzione. Riguardo al suo secondo commento, non ci sentiamo assolutamente in diritto di dire che cosa le famiglie devono fare. Se pero’ il Paese ritiene che le donne siano una  “fonte di energia” che attualmente è in parte sprecata perchè troppo concentrata sulla famiglia e se al tempo stesso ritiene che gli uomini siano una “fonte di energia” troppo concentrata sul mercato, allora la leva fiscale è uno strumento semplice ed efficace per raggiungere un maggiore equilibrio e un uso migliore di entrambe le risorse. Forse anche gli uomini potrebbero essere usati piu’ efficientemente nell’educazione dei figli e nell’assistenza agli anziani. Se invece va tutto bene cosi’ allora lasciamo le tasse invariate ma smettiamo di parlare di 8 marzo e di differenze di genere … !
Matteo ricorda che esistono gia’ incentivi alle aziende, dal lato della domanda, per favorire l’occupazione femminile. Ci sono pero’ vari studi che mostarno la maggiore efficacia di agire con incentivi dal lato dell’offerta. La donna ha molto più interesse dell’azienda a usare bene l’incentivo.
Francesco Bloise dice che le retribuzioni dipendono dalla produttivita’, che la produttivita’ delle donne e’ inferiore per via dei carichi familiari e proprio per questo le donne sono pagate meno. E’ esattamente il presupposto (dimostrato dai dati) su cui si basa la nostra proposta . Se i carichi di lavoro fossero più equilibrati in famiglia, le aziende non percepirebbero le donne come relativamente meno produttive degli uomini. La tassazione preferenziale per le donne mira proprio a cambiare questa percezione. Riguardo al suo secondo commento, non e’ possibile che tutto l’incentivo dato alle donne si trasformi in margini di profitto: nella situazione limite in cui l’incentivo andasse tutto nelle tasche dell’azienda, la donna non aumenterebbe la sua offerta di lavoro e quindi anche il vantaggio per l’azienda si volatilizzerebbe. O non ci sono effetti, oppure sono distribuiti tra domanda e offerta. Ma non puo’ esserci solo un aumento dei margini di profitto.
Il problema della Costituzionalità è risolto dal secondo comma dell’Art. 3, che risolve analogamente il problema di ogni altra “azione positiva” (affirmative action). La legge (con approvazione bi-partisan) per il “rientro dei cervelli” prevede già agevolazioni fiscali maggiori per le donne, e non sono stati sollevati problemi di costituzionalita’. Il sistema fiscale italiano prevede agevolazioni per chi ha figli, anche a parità di produzione del reddito. Francamente trovo maggiori ragioni per incentivare il lavoro femminile piuttosto che i figli data la sovrapopolazione mondiale (io che ne ho 4 dovrei essere tassato).
Chiara Saraceno non vede come la tassazione possa risolvere i problemi di conciliazione famiglia e lavoro, da lei considerati solo un problema delle donne! Noi non capiamo come lei non veda che non si puo’ continuare a chiedere di risolvere i problemi della conciliazione famiglia-lavoro alle aziende o allo stato. O per lo meno, prima di chiedere alle aziende o allo stato di risolvere il problema, chiediamolo agli uomini direttamente in famiglia: ci sembra piu’ semplice e trasparente. Quello che  Saraceno propone equivale a prendere l’aspirina per curare i sintomi e ridurre il dolore, senza curare le vere cause della malattia: peggio, dilazionando il bisogno di andare dal dottore per eliminare davvero le cause!
Senza incentivi, per forza la maggiore occupazione femminile non fa aumentare il contributo maschile al lavoro familiare! Proprio questo e’ il punto che giustifica la la leva fiscale a favore delle donne.
Quanto ai dati, il fatto che in USA e UK le donne anche a bassa istruzione e reddito lavorino di più che in Italia è sotto gli occhi di tutti.

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RENDIMENTI A CONFRONTO

  1. Anna

    Gli aumenti di stipendio nelle aziende verrebbero conferiti per controbilanciare la diversa tassazione tra uomini e donne, guardando in sostanza il netto e non la retribuzione lorda. Quello che ho giá visto accadere nella mia azienda, per “bilanciare” la tassazione piú favorevole degli operai in turno. Il risultato netto secondo me sarebbero stipendi ancora piú alti per gli uomini e aumenti bloccati per le donne.

  2. LUCIANA ZAMPOLLI

    Finalmente una proposta concreta, al di là di tante teorie fumose ed evanescenti! Sicuramente la strada è lunga e complessa per arrivare a un equilibrio dei carichi di lavoro tra uomo/donna, poiché non c’è solo la leva economica per rendere vantaggioso il lavoro femminile (pur decisiva), ma anche un necessario percorso “culturale” sull’organizzazione del lavoro attuale. Un esempio banale, ma molto concreto: se si iniziano importanti riunioni di lavoro alle ore 18, senza limiti di conclusione, quante donne vi parteciperanno?

  3. roberta

    Apprezzo il modo in cui affrontiate questa problematica e ritengo che il vostro punto di vista e la vostra analisi sia valida. Credo che il problema femminile non si limiti però a questo e che rientri nella più grossa probblematica delle discriminazioni in generale. Esse non possono essere risolte con incentivi ma contrastando e punendo radicalmente comportamenti scoretti, inasprendo le pene e migliorando il supporto legislativo.

  4. michele

    E’ auspicabile una riforma della legge 223/1991 sul licenziamento collettivo, che tuteli di più il lavoratore dal licenziamento discriminatorio, a scapito di scelte del datore o di accordi aziendali con sindacati compiacenti e di comodo. Al momento il datore può scegliere fra tre criteri: carichi di famiglia, anzianità di servizio, esigenze tecnico-produttive e organizzative. Inoltre, i ccnl collettivi posono dare una disciplina diversa. La legge dovrebbe: 1) imporre una disciplina unica non derogabile per tutti i datori e contratti collettivi 2) cambiare i criteri. Per il licenziamento collettivo non relativo a esigenze economiche e tecniche, non sindacabili dal giudice, stabilire una gerarchia fra questi criteri: a) pensionabilità del dipendente anche con piani di mobilità lunga, e posizione dirigenziale (secondo il criterio della riduzione del costo del alvoro col minor numero di licenziamenti) b) anzianità di servizio c) carichi di famiglia per il licenziamento non di tipo tecnico-organizzativo, questa gerarchia dovrebbe essere imposta, risponde ad equità e al minor costo sociale

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