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UN RICHIAMO ALL’ORDINE

Il decreto sulle liberalizzazioni contiene interventi significativi che potrebbero modernizzare i servizi professionali in maniera incisiva. Il difetto è che non modificano la struttura istituzionale del settore. Le categorie interessate potrebbero così utilizzare il principio di autoregolamentazione per neutralizzarne gli effetti. Una riforma efficace dovrebbe impedire che l’esame di abilitazione sia gestito dagli stessi professionisti che saranno i diretti concorrenti dei candidati promossi. E allargare la composizione degli organi dirigenziali degli ordini.

Il decreto sulle liberalizzazioni varato sabato dal governo contiene, per la parte che riguarda i servizi professionali, interventi molto significativi che hanno certamente il potenziale di modernizzare il settore in maniera incisiva. Sono interventi che nessun governo era mai riuscito a introdurre in modo così esteso.
Non si può però non rilevare che non si tratta di interventi strutturali, destinati cioè a modificare la struttura istituzionale del settore. Di conseguenza, esiste il rischio non troppo remoto che le categorie interessate possano reagire a queste riforme utilizzando le molte leve offerte loro dal principio di autoregolamentazione riuscendo a neutralizzarne gli effetti.

ESAMI, SCANDALI E RIFORME

Il sistema ordinistico attuale si fonda sul principio generale che ogni categoria professionale si occupa di regolamentare sia l’accesso alla professione, attraverso la gestione dell’esame di abilitazione, sia il controllo sulla pratica professionale, attraverso l’attività sanzionatoria.
Sono tanti gli studi scientifici e innumerevoli i resoconti giornalistici che documentano ormai in modo molto evidente il fallimento di tale principio ed è lì che si dovrebbe intervenire radicalmente: dal famoso scandalo degli scritti per l’esame di avvocato a Catanzaro, rivelatisi quasi tutti identici tra loro, al più recente esame di notariato che ricalcava l’esercitazione svolta in una scuola di notariato. Fino al fatto, documentato su questo sito, che il superamento dell’esame dipenda dalle connessioni familiari o dal livello della domanda. E agli elevatissimi tassi di familismo in questi mercati.
Si dovrebbe quindi intervenire strutturalmente su due fronti. Da un lato, sarebbe necessario evitare che l’esame di abilitazione sia gestito dagli stessi professionisti che saranno anche i diretti concorrenti dei candidati promossi. Lo si può fare anche in quelle professioni in cui le competenze per la valutazione dei candidati sono concentrate esclusivamente nella professione stessa prevedendo che i commissari non operino nella medesima area geografica dei candidati. Il meccanismo di accoppiamento casuale delle sedi d’esame introdotto nel 2004 dall’allora ministro della Giustizia Castelli per gli avvocati va proprio in questa direzione e ha prodotto risultati notevolti. Dovrebbe essere esteso anche agli esami orali e ad altre categorie.
Il secondo intervento riguarda invece la composizione degli organi dirigenziali degli ordini, che oggi sono esclusivamente in mano ai professionisti stessi, proprio in virtù del principio di autoregolamentazione. Come avviene in altri paesi, sarebbe necessario che la gestione degli ordini e della loro attività sanzionatoria e di controllo fosse condivisa anche con rappresentanti istituzionali, magari provenienti dall’Autority per la concorrenza, e con quelli dei consumatori, privati e imprese, e dei potenziali nuovi professionisti, gli studenti di più alto grado delle materie collegate.

POSTI MAI COPERTI DAI NOTAI

Senza questi interventi sulla struttura istituzionale del sistema ordinistico è lecito temere che molte delle misure introdotte dal decreto Monti possano essere neutralizzate. Anzi, in alcune parti il decreto sembra proprio offrire agli ordini l’appiglio per vanificarlo.
Per esempio, il decreto prevede che il tirocinio possa essere svolto anche in concomitanza con il percorso universitario, ma solo “in presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini e il ministro dell’Istruzione”. Che incentivo avranno gli ordini a attivare le convenzioni, che, tra l’altro, non erano previste nella prima bozza del decreto?
Allo stesso modo, l’aumento del numero dei notai dovrebbe passare attraverso il bando di circa 500 nuovi posti per i prossimi tre anni fino alla copertura di tutto il fabbisogno. Oggi i notai attivi sono 4.451 contro 6.152 sedi notarili disponibili. Contando anche i 500 nuovi posti introdotti  dal decreto Monti, mancano all’appello 2.200 notai, ovvero il 50 per cento degli attivi. Il paradosso è che in questa situazione, in nessun concorso bandito dal 1985 a oggi (ovvero da quando è possibile recuperare i dati), il numero di posti messi a bando è stato pari al numero di posti disponibili. Non solo, in moltissimi casi il numero di promossi è stato significativamente inferiore a quello dei posti. In altre parole, poiché i notai hanno un controllo notevole sulle procedure di selezione, qualora volessero limitare o neutralizzare la portata dell’espansione dell’offerta prevista dal governo Monti non dovrebbero far altro che diventare più severi all’esame.
Ragionamento analogo vale anche per l’abrogazione delle tariffe minime. Basti ricordare che in occasione delle famose lenzuolate di Bersani, il consiglio nazionale forense avvertì che, nonostante le tariffe minime avessero assunto un valore soltanto indicativo, offrire servizi professionali a prezzi inferiori a quelli indicati sarebbe stata comunque considerata pratica contraria alla corretta condotta professionale e, quindi, soggetta ad attività sanzionatoria da parte degli ordini.
Bene, quindi, i contenuti del decreto, ma è importante evitare che con queste misure si ritenga chiusa la questione degli ordini professionali che, invece, necessitano ancora di interventi strutturali, senza i quali anche le misure faticosamente introdotte oggi rischiano di essere inefficaci.

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SULLA PARITÀ NON BASTANO I BUONI PROPOSITI*

14 commenti

  1. Mariano

    I praticanti avvocati sanno benissimo che il vero scoglio è l’esame di stato. Nella maggior parte dei casi, non solo non si viene formati all’università ma nemeno negli studi professionali, dove i professionisti non hanno alcun interesse a insegnare una professione. Sicché, all’esame di stato la maggior parte dei praticanti non sa scrivere o non conosce gli istituti oggetto d’esame e viene ripetutamente bocciata per colpe che sono da imputare soprattutto agli ordini professionali. Ai poveri praticanti non reste che ripeterlo perdendo altri anni di vita! Il bello è che le stringenti maglie dell’esame sono giustificate in ragione dell’enorme numero di avvocati. Se fosse vero, non si capirebbe il motivo per il quale ogni anno si consente l’accesso alle Facoltà di Giurisprudenza a migliaia di ragazzi e dopo anni di studio e di soldi dei genitori buttati, si blocca l’accesso con l’esame di stato. La realtà è che fa comodo “spolpare” i giovani all’università consentendo a tutti di accedere e di pagare tasse scandalose, per poi una volta terminata l’università bloccarli negli studi legali per qualche euro! A meno che non sei figlio di papà. Questa è la realtà!

    • La redazione

      Forse sarebbe anche utile segnalare ai laureati in materie giuridiche che la professione forense non e’ l’unica opzione a loro disposizione.

  2. Randal

    Francamente non riesco a seguire completamente il suo ragionamento. Mi sembra ovvio che i posti messi a concorso dal ministero siano meno di quelli teoricamente disponibili. Se la pianta organica è per 100 posti come fa il ministero a mettere a concorso 200 posti? Facendo un esempio concreto: se un’università ha un posto in organico da coprire come potrebbe bandire un concorso per due posti? Cio’ non esclude infatti che la commissione promuova piu’ candidati idonei rispetto ai posti messi a concorso e questo, per i notai, è esattamente quello che è successo recentemente nel concorso bandito nel 1999 e in quello bandito nel 2006. RP

    • La redazione

      Francamente a me non sembra ovvio che si mettano a concorso un numero inferiore di posti disponibili. E non trovo nemmeno molto convincente l’idea che non si trovino 2000 giovani adeguatamente preparati per questa professione.

  3. sara 78

    Sinceramente non capisco perchè ci si preoccupi tanto del fatto che gli esami di abilitazione siano gestiti dagli stessi professionisti “futuri ed eventuali” concorrenti dei primi: magari gli avvocati avessero messo i bastoni fra le ruote ai candidati! Oggi non avremmo il numero spaventoso di professionisti che abbiamo in Italia (in confronto ai numeri europei è un’esagerazione), e i “pochi” che superano l’esame non sono certo l’élite professionale di cui i cittadini avrebbero bisogno. Quando l’esame da avvocato era gestito dai magistrati ne passavano molti meno, strano? In realtà no, forse vuol dire solo che una volta l’esame era più difficile, come lo è ancora per i magistrati infatti… Non viene in mente a nessuno che forse i posti da notaio (e da magistrato – li cito anche se non sono professionisti perchè vedo analogie nel problema) non sono completamente coperti perchè in questo paese mancano altri 2.200 candidati in grado di superare le prove? Vi riempite tanto la bocca con la parola “liberalizzazioni”, manco fosse una panacea, quando in questo Paese mancano istruzione, serietà e professionalità. Da cittadina preferirei avere meno avvocati, ma più preparazione.

    • La redazione

      L’ordine si dovrebbe occupare di garantire la qualita’ degli operatori senza alcuna considerazione per il numero. Il fatto che ci siano molti avvocati non ha alcuna rilevanza ai fini di una potenziale riforma del settore. Quello che rileva a’ la qualita’ degli operatori e, come rileva anche lei, la sensazione e’ che l’ordine non svolga adeguatamente questa azione di selezione.

  4. Giuliano

    Queste sono liberalizzazioni troppo timide, che non vogliono pestare troppi calli. Io avrei fatto alcune cosettine in più, ad esempio: (1) abilitare automaticamente ciascun avvocato alla fornitura di servizi di notariato –un avvocato può tranquillamente imparare a fare quello che fa un notaio (2) non fissare il numero di farmacie; se vuoi aprire una farmacia, la apri (3) permettere ai supermercati di vendere l’aspirina, il moment e lo sciroppo per la tosse, e senza farmacisti che ci facciano da badanti (4) richiedere a tutti i professionisti (medici, avvocati, notai, architetti, ecc.) di pubblicare il loro profilo dettagliato su linkedin, o su un sito simile

  5. armando plaia

    In qualità di docente universitario sono stato membro di una commissione per l’abilitazione alla professione di avvocato due volte. Ho imparato che: 1) per superare la prova basta scrivere in un dignitoso italiano senza dire sciocchezze nel merito: 2) tra i commissari, docenti, magistrati, avvocati. questi ultimi sono sempre i più indulgenti e spesso premono, spesso in buona fede, perché si ammettano anche candidati molto scarsi (ciò si deve in parte anche ad un livello medio piuttosto basso della classe forense).

  6. luciano pontiroli

    Se non si vuole affidare gli esami di Stato agli ordini, è inevitabile assegnarli alla burocrazia ministeriale. Non credo che sia un progresso, come non lo sarebbe l’inserimento di burocrati negli organi dirigenziali degli ordini. Ma, in ogni caso, l’onere della prova grava su chi chiede una riforma, attendo di conoscere cose si dovrebbe fare e perché. Sarebbe anche bello capire per quali ragioni le innovazioni – definite interventi significativi – meritino apprezzamento. A prima vista, le disposizioni del decreto rappresentano limitazioni dell’autonomia delle parti, non liberalizzazioni: ma, da professionista ignorante, attendo lumi.

  7. Randal

    Forse è proprio vero che non si trovano “2000 giovani” adeguatamente preparati per questa professione, visto che all’ultimo concorso hanno consegnato i tre elaborati soltanto 1992 candidati.

  8. Vittorio Paniccia

    La Costituzione prevede che l’accesso alla professione sia subordinato ad un esame di Stato, attualmente gestito dagli Ordini nel senso che alcuni appartenenti decidono se altri possono fare loro concorrenza, spesso accompagnato da un periodo di tirocinio. Se lo scopo è abilitare persone preparate, dal momento che di norma l’esame di Stato non fa altro (nè può fare altro) che accertare conoscenze che sono già state oggetto di esami universitari, che sono esami di Stato anch’essi, nel rispetto del dettato costituzionale, perchè non far conseguire l’abilitazione in modo automatico al superamento di detti esami universitari (ed alla certificazione del tirocinio ove previsto)? Quanto è lecito subire due esami di Stato distinti per accertare le stesse conoscenze? L’obiezione non può essere che alcune sedi universitarie non sono sufficientemente severe, visto che anche alcune sedi dell’Ordine potrebbero non esserlo e, d’altra parte, si tratterebbe di un problema da risolvere in quanto tale.

  9. Maurizio

    Caro Professore purtroppo l’argomento non viene affrontato nei termini corretti. C’è un primo problema che riguarda la figura del notaio, le sue funzioni e requisiti per accedere alla professione. Il secondo è di gran lunga più importante viene sottovalutato se non emarginato. In Italia è vietato al cittadino/impresa negoziare un immobile o fare moltissimi atti societari senza l’assistenza del notaio. I divieti in una società libera e liberale sono posti solo a tutela di diritti altrui. Ad esempio: non rubare. Se voglio comprare un immobile e ho la capacità per redigere l’atto (verifiche ipocatastali ventennali, ecc…) perché mi è vietato? Perché il notaio mi tutela? Bene, non voglio essere tutelato, non sono minorato! Pochi giorni or sono ho spostato la sede legale della mia società da due comuni limitrofi nel milanese. Di solo parcella notarile 1.350,00€. Assurdo. Ho le competenze per fare da solo. I saperi non sono più di esclusiva competenza dei notai. Pertanto devono essere tolte ai notai, come agli avvocati, tutte le riserve di attività. Facciano pure la loro professione, ma io non devo essere obbligato in virtù di una legge illiberale a recarmi da loro.

  10. Francesco

    Caro Prof., l’Italia, come mostrano alcune analisi di Bk.Italia, ha la maggiore frammentazione della professione forense. Tale aspetto e’ stato ancora poco considerato, anche dai suoi lavori che ho letto con interesse. La frammentazione tra professionisti, infatti:
    1) Aiuta i grandi studi, che possono arruolare i giovani anche preparati a salari molto bassi (Duchesne effect?);
    2) Lascia molti avvocati a spartirsi la fetta più povera del mercato (c.d. parafanghi), accentuando gli incentivi ad adottare pratiche dannose della clientela minuta che la maggiore concorrenza puo’ sortire in questi segmenti di mercato;
    3) Riduce gli incentivi per gli avvocati ad operarsi per costruirsi la reputazione: se ci fossero pochi avvocati, essi competerebbero per distinguersi in bravura, ma oggigiorno questo non puo’ accadere piu’, anche in presenza di tariffe flessibili.
    Per ridurre queste distorsioni, occorre permettere agli avvocati di aggregarsi in forme opportune. La manovra agostana va in questo senso: entreranno i soci di capitale nelle professioni italiane! A chi teme i conflitti d’interesse e violazioni di segretezza vi informo che ci sarebbero opportuni presidi legali. Saluti

  11. andrea

    Dal punto di vista strettamente economico , non sarebbe preferibile optare per un’ abolizione degli ordini professionali?? Lo stato potrebbe tutelarsi con gli esami di stato (gestiti in maniera piu’ trasparente di come avviene oggi) per garantire che aspiranti notai, avvocati, medici, ecc. possiedano le necessarie competenze per esercitare la professione. Per quanto le sanzioni per eventuali inadempienze vi sarebbe comunque il ricorso alle vie legali ( il tutto presupporrebbe tempi certi e più rapidi per la giustizia)

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