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CI VUOLE UNA VERA RIFORMA DEL LAVORO

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Il grafico qui sotto, tratto dai dati delle indagini forze lavoro, segnala che oggi il 50 per cento di chi ha un contratto a tempo determinato ha più di 30 anni. nel caso delle donne addirittura più di 35 anni. quindi il contratto di apprendistato (che si applica solo a chi ha meno di 29 anni) non potrebbe riguardare questi precari. nel caso dei co.co.co, l’età mediana (vale a dire l’età al di sopra della quale troviamo il 50 per cento dei nuovi ingressi) è ancora più alta.
Il precariato in Italia non è solo legato ad un difficile ingresso nel mercato del lavoro, ma anche al fatto che si rimane precari a lungo.
Questo lo si evince dal secondo grafico dove viene messa in mostra l’età mediana all ingresso nel mercato del lavoro per tipologia di contratto. purtroppo qui i dati si fermano al 2003 perchè l’Inps ha smesso di rendere disponibili questi dati, non rispettando una convenzione sottoscritta dieci anni fa con diverse università italiane.
In ogni caso, i contratti di apprendistato e di inserimento (o reinserimento) non possono affrontare efficacemente il precariato, ormai un fenomeno esteso anche al di sopra dei 40 anni fa e che interessa persone che hanno lunghe esperienze lavorative e che passano da un lavoro all’altro.
La riforma del lavoro dovrebbe facilitare anche il reinserimento nel mercato del lavoro delle persone senza lavoro che aspettavano il prepensionamento prima della riforma del dicembre scorso. Come dimostrano l’esperienza dell’Austria e della Francia, la scelta di far crescere i costi di licenziamento con l’età (anzichè con la durata del posto di lavoro) fa aumentare la disoccupazione fra i lavoratori più anziani. Perchè datori di lavoro già diffidenti sulla produttività di questi lavoratori, non sono in genere propensi a prendere impegni di lungo periodo con lavoratori vicini all’età di pensionamento.
Riformando ogni nuovo contratto a tempo indeterminato, con tutele gradualmente crescenti nella durata dell’impiego, servirà così anche a dare opportunità e tutele ai lavoratori bloccati dalla riforma delle pensioni varata dal Governo in dicembre.

Grafico 1

Fonte: Elaborazione indagini forza lavoro

Grafico 2

Fonti: Whip, Inps e Collegio Carlo Alberto

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22 commenti

  1. marco

    L’analisi mi sembra molto ben documentata – Il problema è che la gente comune dopo anni di privazioni di diritti acquisiti a fatica dalle generazioni precedenti stenta a capire che una riforma del lavoro seria ed equa non potrebbe che migliorare la situazione di tutti-Sarà in grado il governo Monti di trovare una formula che migliori veramente la situazione dei lavoratori (tartatassati fino a questo momento dalle pensioni e dall’IMU) e l’efficienza delle imprese sul modello nord europeo (Danimarca)? O alla fine i lavoratori vedranno scarse tutele in uscita per agevolare gli industriali e scaricare i costi della precarietà sui più deboli?

  2. SAVINO

    Ineccepibile. Mi permetto, chiedendo scusa in anticipo a Boeri e Garibaldi, solo di brutalizzare il messaggio per renderlo più comprensibile a tutti: I signori genitori se vogliono un avvenire per i propri figli hanno il dovere morale di accantonare il proprio egoismo e di fare delle rinunce, consistenti nella progressiva diminuzione, man mano che si arriva alla pensione (non essendovene più il bisogno) delle tutele presenti. Diversamente, vi sarà uno scontro generazionale senza precedenti. Chi ha un posto fisso da anni deve sentire tutto il peso di avere un privilegio. Io pronostico che faremo i conti con la categoria più assatanata di tutti, quella dei padri egoisti che preferiscono avere più alti i loro stipendi e le loro pensioni per mantenere i figli piuttosto che dargli l’opportunità di camminare con le loro gambe. Questo è un atteggiamento immorale che va contro ogni natura. E bisogna cominciare a dirlo. E’ immorale che ci siano ragazzi che non trovano lavoro e neopensionati che prendono consulenze.

  3. Alberto

    Un articolo poco comprensibile. Per quale motivo la precarizzazione generalizzata del rapporto a tempo indeterminato dovrebbe dare maggiori opportunità di impiego ai “trombati” dell’ultima (ennesima) riforma pensionistica non è affatto chiaro. Come evidenziato dai grafici il ricorso a forme contrattuali atipiche semprerebbe marginale per gli over 50. Perchè mai datori di lavoro che “non sono in genere propensi a prendere impegni di lungo periodo con lavoratori vicini all’età di poensionamento” dovrebbero assumerli con un contratto a tempo indeterminato “precarizzato” quando non sono particolarmente interessati ad assumerli neppure con contratti a tempo determinato o co.co.co.?

  4. Anonimo

    Una riforma del lavoro occorerebbe se la dinamica delle partecipazioni di capitale in termini non di proprietà, sì delle liberalizzazioni dei vantaggi comparati e quindi dei relativi movimenti, garantiscano un pieno impiego delle risorse produttive anche facendo riferimento a titoli finanziari subordinati alle stesse. In altre parole la riforma del lavoro è garanzia di un equilibrio generale dei prezzi della produzione in base alle aspettative del mercato finanziario.

  5. Davide Gionco

    Sono un ingegnere che da quasi 3 anni è andato a lavorare in Svizzera. In Italia ero titolare di uno studio tecnico. L’attività consisteva in consulenze sul risparmio energetico. C’era lavoro per tutti, ma i clienti pagavano sempre più in ritardo, spesso in modo incompleto e a volte per nulla, mentre e le tasse aumentavano ogni anno di più. Dopo due anni consecutivi di lavoro in perdita, nonostante un impegno personale di oltre 60 ore settimanali, ho deciso di emigrare all’estero. Ora lavoro come dipendente di una società di ingegneria, stipendio sicuro e dignitoso. Spiace di avere dovuto lasciare l’Italia e di ritrovarmi a contribuire alla ricchezza della già ricca Svizzera e non della sempre più povera Italia. In Italia il problema principale non è la riforma del lavoro, ma la riforma dell’economia. Di lavoro ce ne sarebbe per tutti, ma la realtà è che non ci sono i soldi per pagare: lo Stato non paga, i privati non pagano. In compenso le tasse aumentano, per cui le imprese private o falliscono o si spostano all’estero (io stesso sono andato all’estero) per sopravvivere.

  6. HK

    Lasciare una così gran parte di giovani fuori dal mondo del lavoro o in condizioni di estrema precarietà è immorale e al contempo dannoso per l’economia di questo nostro paese. Tuttavia è bene capire ciò che sta succedendo nel modo delle imprese. Riporto il risultato dei tre colloqui che ho avuto a gennaio con importanti imprese industriali. 1. Una grande impresa di successo destinerà, di quasi 100 miliardi di investimenti, meno di 10 all’Italia, 90 all’estero. 2. Media impresa. Chiusura di uno dei tre stabilimenti in Italia e potenziamento produzione in Cina 3. Media impresa del mobile. Chiusura di uno stabilimento su due nel 2012 Conclusioni. L’Italia ha grossissimi ed imminenti problemi di competitività. Se da una parte bisogna ridurre i costi dello stato del 20% almeno, dall’altra bisogna aumentare in qualche modo la produttività del lavoro. Credo sia interesse dei lavoratori in primiis capire quale strada loro conviene. Se accettare che le aziende ottimizzino le loro risorse umane anche a costo di qualche movimento da e per l’esterno. Oppure accettare una continua, irreversibile e molto rapida (Grecia insegna) riduzione del reddito per la propria famiglia.

  7. tommaso

    Leggete Blanchard-Landier (2001), articolo illuminante che ben inquadra il dibattito in corso in Italia in questi giorni. La domanda delle domande è: visto gli effetti perversi prodotti dall’introduzione dei contratti a tempo determinato (ben descritti nell’articolo), per cancellarli è sufficiente abbassare il costo di licenziamento nei contratti a tempo indeterminato? La logica vorrebbe che tali contratti a tempo indeterminato diventassero lo strumento più usato dalle imprese per assumere. Per raggiungere l’obbiettivo il costo del licenziamento mi sembra solo un tassello, importante, ma sicuramente non sufficiente!

  8. EMILIO LONGO

    Sono gli stessi lavoratori che bloccano la crescita delle imprese e l’occupazione? Il costo medio di un lavoratore italiano, compresi contributi e tasse, è inferiore del 24% a quello di un tedesco e del 14% rispetto ad un francese (dati OCSE). Quanto alla flessibilità, sembra che ce ne sia già abbastanza: 4 giovani su 5 sono assunti con una delle nuove formule contrattuali ‘a tempo’, e gli autori stessi confermano che tali contratti si vanno diffondendo anche tra i lavoratori oltre i 30 anni. A chi giova, dunque, la proposta di rimuovere i vincoli al licenziamento senza giusta causa/motivo (art. 18) ? Di certo le imprese agirebbero secondo convenienza, sfoltendo organici, ringiovanendo la forza lavoro e, in generale, sfruttando l’accresciuto potere per esercitare maggiore pressione sui lavoratori. Probabilmente l’occupazione giovanile ne trarrebbe beneficio. Ma questo si accompagnerebbe all’arretramento dei redditi e dei diritti di tutti i lavoratori. Cari professori è giusto operare per una convergenza delle forme contrattali, ma non attraverso un allineamento verso il basso dei diritti di tutti.

  9. MassimoModa

    Sono operaio e ciò che è stato scritto nell’articolo è condivisibile certo, ma c’è un problema di fondo in tutte la analisi che sento e leggo! Lavoro ed investimenti!In questo paese sono sempre meno quelli che li vengono a fare…già gli imprenditori nostri non ne fanno più e quei pochi che ci provano, alla fine si suicidano o sono costretti a farlo! Diciamoci le cose come stanno…a nessuno interessa più questo paese se non a chi ha da guadagnarci anche in situazioni come queste!

  10. Cincera Gian Carlo

    L’unica vera riforma del lavoro è quella del posto fisso. Che secondo la mia convinta opinione è il vero motore dell’economia sociale e produttiva. Se poi alla economia della ricerca e del valore professionale si preferisce l’economia del commercio elettronico (online) di prodotti finanziari speculativi figlia di un liberismo senza regole e senza morale allora il mondo del lavoro sarà sempre un continuo precariato basato sulla cultura dell'”USA E GETTA” che incrementerà sempre di più’ il lavoro nero l’evasione fiscale e la violenza. Forse a tutto questo c’è una soluzione: aggiungere l’undicesimo comandamento! “Non Procreare”. Vorrei aggiungere che i figli che sono inseriti nel mondo del lavoro dai genitori Senza discapito E’ una cosa naturale Come l’eredità patrimoniale Dai genitori ai figli Permessa dalla Legge!!! Cincera

  11. Cristian Ribichesu

    Scusate, ma mi ricollego ad un mio commento precedente, confidando in una vostra risposta, per me e per tutti. Poniamo che con le nuove misure del Governo Monti, partendo da uno stipendio base dato dal contratto unico (che dovrebbe essere diverso per tipologia di lavoro, non può essere uguale …), il risparmio dell’azienda dato su 39 mensilità di tre anni di lavoro (comprese le tredicesime), si annulli con la “penale” delle sei mensilità base da corrispondere per la mancata stabilizzazione ai 36 mesi di lavoro (poniamo un livellamento e non un guadagno dell’impresa). Ma non vi sarebbe comunque una propensione alla non stabilizzazione, considerando che, su un breve arco di 10 anni, il lavoratore stabilizzato con un normale contratto collettivo maturerebbe 5 scatti stipendiali (scatti sullo stipendio aumentato di volta in volta, ogni due anni), mentre licenziando e assumendo ogni tre anni si avrebbe mano d’opera a stipendio base, sempre? Così molti lavoratori aumenteranno l’età ma sempre in situazione precaria, magari con periodi di disoccupazione, crescente rispetto al fatto che le imprese inversamente tenderanno ad assumere sempre giovani. Cordiali saluti.

    • La redazione

      Ogni nuovo assunto deve essere formato. Il turnover costa anche all’impresa.

  12. Giorgio

    I dati che riportate (grafico 1) mi sembra dimostrino come il contratto di lavoro a tempo indeterminato sia stato progressivamente sostituito dalle altre forme di contratto (il picco anomalo dei cococo dopo i 60 anni probabilmente è dovuto ai neo pensionati riassunti così). In una famosa azienda che vende mobili ancora all’inizio degli anni ’90 ogni neo assunto era a tempo indeterminato mentre oggi sono solo contratti a termine. Non si vede perché le aziende non debbano assumere così lavoratori che non sono strategici ovvero che possono essere facilmente sostituiti. Non ho capito una cosa della vostra proposta, cioè del nuovo contratto a tempo indeterminato con tutele gradualmente crescenti nella durata dell’impiego: cosa impedirebbe all’azienda di eliminare e sostituire il lavoratore quando la tutela crescente si avvicina a quella offerta oggi dal contratto a tempo indeterminato? In altre parole, cosa impedirebbe che il lavoratore ogni tot anni, ammesso che riesca a trovare un nuovo lavoro o a recuperare lo stesso lavoro nella stessa azienda, debba ripartire dalla casella di partenza? Cordiali saluti.

    • La redazione

      Il datore di lavoro ha tutto l’interesse a che il rapporto di lavoro funzioni. Comunque se dovesse licenziare il lavoratore dopo 3 anni dovrebbe pagare 6 mesi di indennità. Oggi non paga nulla al lavoratore il cui contratto è in scadenza e non viene rinnovato.

  13. maria

    scusate; come mai nel grafico 2 ci sono due colonnine; una per il contratto a termine e l’altra per il contratto a tempo determinato? Ma non sono sinonimi? E perchè contengono dati diversi? Grazie

  14. Luca de Vecchi

    Quale sarebbe la differenza tra tempo determinato e a termine?

    • La redazione

      A termine è una categoria piu ampia, include anche il parasubordinato.

  15. Stefano Liebman

    Peccato che la precisazione sul lavoro parasubordinato aggravi l’infortunio, invece che correggerlo! Non si spiega infatti perchè nel grafico continuino ad esserci altri dati relativi alle collaborazioni coordinate e continuative che sono invece il cosiddetto “lavoro parasubordinato”. Sarebbe stato meglio ammettere umilmente l’errore.

    • La redazione

      Ringraziamo il professore per la sua attenzione. Rimane il fatto che i lavoratori parasubordinati sono certamente lavoratori a termine.

  16. vincenzo.mataluna

    È insopportabile il fatto che in Italia ci siano due categorie di persone: i protetti nel lavoro, e aggiungo dal lavoro per i guasti che hanno prodotto in questi anni ( sanità in partcolare) e quelli che non entrano mai nel mondo del lavoro, o chi è perennemente precario. È davvero impossibile equiparare il nostro Paese agli standard europei anche e soprattutto nel campo degli ammortizzatori sociali.

  17. SERGIO CAPALDI

    Egr. Professori Boeri e Garibaldi, non sono uno specialista del mercato del lavoro. Come economista mi occupo di tutt’altro. Proprio per questo vi chiedo un aiuto nell’interpretazione delle statistiche dell’OECD (Employment Protection Legislation). Da una prima analisi sorprende la mancanza di una peculiarità italiana su questo tema. I tre sotto indicatori non mi sembra giustifichino tutta l’enfasi che circola sulla riforma dell’art. 18. A questo aggiungo anche l’analisi di Gross che su questo sito ha dato una lettura molto diversa del perchè l’Italia non cresca. Mi chiedo se non sarebbe il caso di rimettere “in bolla” la discussione pubblica su questo argomento. Grazie

  18. Francesco

    Certamente Boeri conoscendo molto bene in profondo le dinamiche e le caratteristiche del mercato del lavoro italiano ed europeo scrive cose condivisibili, propone modifiche per la modifica del mercato del lavoro. Ciò che però bisogna evidenziare è anche che nell’Italia di oggi ci sono settori fortemente deregolamentati come quello del turismo alberghiero dove , per esperienza personale, si viene assunti con contratti da fame di apprendistato e si lavora 10 ore al giorno con un solo giorno di ferie e si viene pagati 900 euro al mese.

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