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IL RATING NELLA REGOLAMENTAZIONE

Nell’articolo sulle agenzie di rating ho richiamato i problemi derivanti dalla rilevanza che i rating assumono nella regolamentazione. Si parla, infatti di outsorcing regolamentare per indicare la presenza di riferimenti alle classificazioni delle agenzie nelle stesse prescrizioni di vigilanza e nelle regole che si danno gli investitori. È evidente che questo fenomeno, se da un lato moltiplica alla potenza gli effetti di un miglioramento o di un peggioramento dei giudizi, dall’altro costituisce un elemento frenante nella capacità degli operatori di effettuare proprie e autonome valutazioni sui rapporti creditizi e nelle diverse tipologie d’investimento.
In questa scheda riporto due semplici esempi che danno la dimensione del fenomeno ed anche la direzione che occorrerà prendere per seguire le indicazioni del Financial stabilty board alle quali mi riferivo.
Secondo le disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, queste come è noto, possono avvalersi, al fine di ponderare i rischi, o di metodi elaborati al proprio interno, o di metodologie esterne utilizzando la valutazione del merito  di credito delle Ecai e cioè le Esternal credit assesment institution,  agenzie di valutazione riconosciute dalla Banca d’Italia. Secondo le disposizioni di vigilanza ”una banca che decide di utilizzare le valutazioni di merito del credito per una certa classe di esposizione deve utilizzarle per tutte le esposizioni appartenenti a tale classe”. Naturalmente sono spesso le banche di più piccole dimensioni a utilizzare i metodi esterni, meno costosi rispetto alla costruzione di un modello interno, ma in questo modo proprio gli operatori più piccoli finiscono con il subire in misura maggiore le conseguenze dei mutamenti dei giudizi delle agenzie. E occorre considerare che le disposizioni di vigilanza trovano origine in un periodo dove nessuno poteva immaginare una così forte volatilità dei mercati.
Un altro esempio dei pericoli del rating, per un settore completamente diverso ma che ci dice della “trasversalità” del problema, riguarda i fondi pensione. Sul sito della Covip è stata appena pubblicata una comunicazione in risposta alla richiesta di alcuni fondi che nei propri regolamenti prevedono una politica d’investimento con un livello minimo di rating, e che adesso -visto quello che sta succedendo sui titoli pubblici- devono affrontare il dilemma o di violare i regolamenti o di procedere a massicce dismissioni. E l’autorità di vigilanza, con un linguaggio diverso, giunge sostanzialmente alle mie stesse conclusioni, richiamando l’opportunità di “rivedere i vincoli contrattuali per evitare che un impiego automatico del rating possa comportare l’esigenza di un immediato smobilizzo o impedire l’acquisto di titoli ove intervenga il declassamento dell’emittente”. In altri termini anche per la Covip bisogna cominciare a pensare con la propria testa.

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SE ALL’UNIVERSITÀ MANCA PROFUMO DI SELEZIONE

  1. DAVIDE GIONCO

    A leggere tutto quanto si scrive sul potere della Grande Finanza e delle agenzie di rating sulle scelte politiche degli stati indipendenti, c’è da rimanre sconfortati. Tutti dicono e scrivono che cosa dovrebbe fare l’Italia per sottrarsi dalle speculazioni finanziarie. In realtà pare che non esista via di uscita: chi dice che tagliare i costi dello Stato ci porta in recessione (anche io lo penso) e quindi ad un ulteriore abbassamento del rating; chi dice che lo Stato non deve tagliare le spese e quindi un conseguente aumento del debito, anche questo punito dalla agenzie di rating. In realtà la vera soluzione sarebbe sottrarre l’emissione dei titoli di stato dal potere di giudizio delle agenzie di rating. Ma come? Semplice: togliendo i titoli di stato dal mercato internazionale. Lo Stato potrebbe emettere dei titoli a tasso zero utilizzati esclusivamente per pagare i propri fornitori e gli stipendi dei propri dipendenti ,totalmente o in parte. Lo stesso Stato li accetterebbe per il pagamento delle imposte, togliendoli dalla circolazione ed evitando fenomeni di inflazione. Problema risolto.

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