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SEGNALI DI UNA NUOVA DEMOCRAZIA EUROPEA

I recenti discorsi di Angela Merkel e di Mario Monti mostrano l’intento convergente di due governi chiave dell’Unione europea di condurre l’eurozona verso un diverso assetto istituzionale di governo dell’economia, imperniato su Commissione, Consiglio deliberante a maggioranza e Parlamento europeo come pilastro di democrazia. È un passaggio tutt’altro che agevole, ma certamente possibile: in parte entro la cornice istituzionale esistente, con il ricorso alla cooperazione rafforzata; in parte con una futura riforma dei Trattati.

I discorsi di Angela Merkel a Berlino (7 febbraio) e di Mario Monti al Parlamento europeo (15 febbraio) potrebbero aprire prospettive nuove per il futuro dell’Unione europea. 

IL RUOLO DEL PARLAMENTO EUROPEO

Il cosiddetto metodo intergovernativo, che ha dominato la scena negli ultimi due anni, è stato da entrambi i leader dichiarato insufficiente e soprattutto carente sotto il profilo della legittimazione democratica, da essi attribuita in modo espresso al Parlamento europeo, del quale è riconosciuto il ruolo crescente, tanto che la cancelliera tedesca nel passaggio finale del suo discorso lo considera un elemento di base per il futuro dell’Unione. La Commissione europea, secondo Angela Merkel (ma certo non diversamente da lei la pensa Mario Monti), dovrebbe costituire un giorno il vero governo dell’Unione, mentre il Consiglio dovrà in futuro configurarsi come una “Camera degli Stati” deliberante a maggioranza, dunque senza il potere di veto di singoli governi.
Per questi sviluppi, la cancelliera parla di tempi lunghi. E qui crediamo che sbagli la mira: perché l’esigenza di una democrazia vera e di un governo efficace l’Unione l’avverte proprio hic et nunc, non in un futuro indeterminato. Il rischio di un allontanamento irrecuperabile dell’opinione pubblica dall’idea di Europa è reale, e non solo nei Paesi in difficoltà (anche se è pur vero che ad oggi ancora il 75 per cento dei greci non vuole abbandonare né l’euro né l’Unione). Né va dimenticato che il principale argomento fatto valere dalla Corte di Karlsruhe contro le innovazioni del Trattato di Lisbona si basa – pur se con argomentazioni a mio avviso molto discutibili – sul valore insostituibile del principio di democrazia. Un principio che al livello europeo solo il Parlamento europeo potrà realizzare in modo coerente, se dotato di un pieno potere di codecisione e di un più diretto controllo dell’esecutivo comunitario.
Al cuore di questa evoluzione, che per quanto riguarda Angela Merkel appare nuova e incoraggiante, entrambi i leader vedono essenzialmente i paesi dell’eurozona, pur con apertura piena nei confronti degli altri Stati membri dell’Unione, Gran Bretagna inclusa. Una “geometria ristretta” è d’altra parte alla base dei due recentissimi (e alquanto anomali) trattati in corso di approvazione, quello che rafforza la coercibilità della disciplina dei bilanci nazionali e quello sul Fondo di stabilità europeo. Anche questo approccio è importante, perché pretendere a ogni costo di portare gli inglesi dove non vogliono andare è sbagliato, come lo è la pretesa britannica di arrestare ogni ulteriore evoluzione sovranazionale dell’Unione avvalendosi del potere di veto.
Sono, questi, elementi di peso. Le prospettive future dell’Unione sono espresse dai capi dei governi di due suoi paesi chiave. Molti altri governi condividono questa impostazione, anche se ad oggi ancora non è chiaro cosa vorrà – o non vorrà – il governo francese: Nicolas Sarkozy ha dichiarato più volte di prediligere il metodo intergovernativo. Per noi è particolarmente gratificante constatare come il ruolo europeo di Mario Monti sia già stato in questi pochi mesi (e potrà essere ancora) davvero grande. L’Italia è di nuovo una forza trainante dell’integrazione europea.

UN PIANO DI SVILUPPO SOSTENIBILE

Ciò detto, sarebbe ingenuo e fuorviante ritenere che il traguardo che si intravede sia prossimo o facilmente raggiungibile. La crisi dell’eurozona non è affatto superata. E fino a che non lo sarà, il rischio di un crollo dell’euro – e con esso, dell’intera costruzione comunitaria – purtroppo esiste. E c’è chi soffia sul fuoco, avendo alle spalle interessi speculativi enormi. La risposta europea sinora è stata debole,  costosa e inefficiente. L’interminabile vicenda del debito della Grecia, così male gestita, insegna.
Una gran parte degli osservatori, per una volta concordi tra loro, conviene sulla necessità di accompagnare il rigore – che perseguito in regime di recessione fallisce e rischia di uccidere il malato – con politiche di sostegno della crescita. Una crescita sostenibile, da incentivare non solo con la piena attuazione del mercato unico ma attraverso cospicui investimenti su alcuni beni pubblici europei (energia, infrastrutture, ricerca, ambiente).
Tale politica esigerebbe il varo di un piano di sviluppo sostenibile dell’Unione, diretto anche verso i paesi del Mediterraneo e dell’Africa, attraverso un aumento del bilancio e delle risorse proprie dell’Unione, una fiscalità europea sostenuta con imposte europee ma in primo luogo con risorse proprie, il varo di project bonds e di eurobonds. Ciò potrebbe farsi senza far gravare pesi supplementari sui cittadini, mediante trasferimenti di quote dei bilanci nazionali e conseguenti economie di scala, oltre che mediante una modesta quota di debito pubblico europeo destinato appunto agli investimenti. Per non parlare delle economie di scala ricavabili da una difesa europea, che prima o poi bisognerà pure mettere in campo. Tutto questo, purtroppo, non è ancora all’orizzonte dell’agenda politica. Il bilancio dell’Unione è fermo all’1 per cento del Pil europeo, mentre un incremento indirizzato agli investimenti e alla coesione sarebbe di cruciale importanza. Eppure, principalmente a causa della resistenza del governo tedesco, ma non solo di esso, questa linea ancora non è stata intrapresa. Vi sono ad oggi solo pochi e timidi segnali di un mutamento di rotta.
Senonché non si può volere il fine senza volere anche i mezzi per raggiungerlo: risorse adeguate, capacità di decisione, democrazia al livello europeo. Il nucleo dell’eurozona, che ha ormai un’identità anche istituzionale, deve poter evolvere nella duplice direzione di un pieno potere di codecisione del Parlamento europeo e di una costante procedura decisionale a maggioranza qualificata e superqualificata per le delibere dei Consigli e anche per le future riforme dei Trattati: una necessaria “costituzionalizzazione” dell’eurozona, da costruire con una geometria istituzionale e giuridica compatibile con l’Unione a 28 e con il mercato unico. È un passaggio tutt’altro che agevole, ma certamente possibile: in parte entro la cornice istituzionale esistente, con il ricorso alla cooperazione rafforzata; in parte con una futura riforma dei Trattati, che il Parlamento europeo dovrebbe promuovere, come avvenne nel 1984.
Dei tre fattori che in passato sono stati e che sono tuttora decisivi per far evolvere l’integrazione europea, il primo – le sfide imposte dal contesto storico: ieri la guerra, poi la cortina di ferro, oggi la crisi finanziaria e il rischio di crollo dell’euro – è come sappiamo ben vivo; il secondo – la leadership pro-europea di almeno un leader nazionale – sta (forse …) finalmente di nuovo emergendo con Angela Merkel e con Mario Monti; il terzo – la spinta dell’opinione pubblica – potrebbe anch’esso tornare a pesare, soprattutto se le crescenti tensioni sociali determinate dalla crisi e dalla recessione in atto, sinora eluse dai governi nazionali, troveranno sbocco in un’iniziativa dei cittadini (l’Eci del trattato di Lisbona) per un piano di sviluppo a livello europeo.
Sarebbe miope ignorare quanto grandi siano gli ostacoli da superare. Grande è la confusione sotto il cielo d’Europa. Situazione eccellente? Certamente no. Ma forse l’orizzonte comincia a schiarirsi.

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GRECIA, L’USCITA DAL TUNNEL È LONTANA

  1. Piero

    Il vero problema dell’Unione europea e l’adozione della moneta unica solo con un bilancio europeo pari all’1% del PIL, per sostenere la moneta unica. Tale bilancio non permette politiche di solidarietà necessarie per l’unione, anzi con l’adozione della moneta unica e con il motto della germania che ognuno deve fare i compitini a casa propria, avremmo un’allontanamento dello spirito europeo, nemmeno i nuovi governi tecnici saranno sufficienti per salvare tale Unione. In Itala nel 2012 che ne dica Monti, servira’ un’ulteriore manovra sia per il fiscal combact che per il decreto salva Italia, il primo poggia sull’infazione quando oggi lo scenario e’ deflazionistico, mentre il secondo poggia su un modesto aumento del PIL reale, mentre gia’ si annuncia una diminuzione del PIL reale. La soluzione a mio avviso e’ solo monetaria, monetizzazione di almeno il 50% del debito pubblico di tutti i paesi dell’area euro nell’arco di un decennio con l’adozione dlle politiche rigorose nazionali, l’aumento del bilancio europeo, che deve crescere del 2% all’anno con il gettito dlla va’ che deve essere aumentato di almeno il 2%, al fine di finanziare gli eurobond per il finanziamento delle infrastrutture.

  2. Giovanni Moschetta

    I segnali di una nuova democrazia europea messi in luce con sacrosanto ottimismo da Antonio Padoa Schioppa sono rilevanti ed è assolutamento vero che alcuni Capi di Governo , su tutti il nostro Presidente Mario Monti, danno segnali “politici” nel senso di una necessità reale di “più Europa”. Un’Unione maggiormente coesa e con una prospettiva a medio termine di incremento di democrazie vera e di un Governo efficace ( per riprendere le parole di APS ) possono diventare una reale Agenda se tali istanze vengono sostenute dall’opinione pubblica, dai cittadini. E qui mi sento di dire, nonostante l’indicazione del 75% dei cittadini greci che non vuole abbandonare nè euro nè UE, che la reale percezione del Sistema UE , dei benefici ma soprattutto dei doveri che si assumono con l’appartenenza all’Unione, da parte delle fasce sociali europee meno “percettive” della dimensione dell’appartenenza sono facile preda, come noto, di populismi e sentimenti anti-europei che, con l’avvicinanrsi di elezioni varie e di una ipotesi di inasprimento della crisi, tendono a tornare protagonisti . A ciò si deve porre rimedio con urgenza con una politica di comunicazione rinnovata e incisiva.

  3. adriana coppola furia

    Siamo la terra natia di Altiero Spinelli , abbiamo sopportato che gente qualunquista ed ignorante ci abbia portato alla deriva economica e ciononostante i partiti politici- soprattutto quelli di sinistra- continuano ad indugiare in vecchie diatribe e non riescono a capire che l’idea nuova e rivitalizzante della vita politica può essere solo quella del federalismo europeo: anche i sindacati invece di capire l’importanza di una legislazione europea sul lavoro si attardano nella difesa di conquiste valide un tempo ed oggi superate da una nuova situazione di economia globalizzata: sbrighiamoci a far partire le idee nuove se non vogliamo essere scavalcati dai tempi!

  4. michele

    finanziare le infrastrutture ma di che tipo?? la banda larga potrà aumentare gli spostamenti per turismo, ma ridurrà drasticamente quelli per lavoro e affari delel persone, sebbene potrà portare all’efficienza, a cocnentrare le produzione, aumtnare la mobilità delle merci. le previsioni di traffico quanto tengono conto della variabile banda larga?

  5. Piero

    Le infrastrutture da finanziarie sono principalmente quelle sui trasporti, alta velocità treni, autostrade europee, banda larga (fibra ottica ecc), ecc. Non e’ vero che la banda larga crea disoccupazione, in America il mercato delle applicazioni informatiche hanno creato un aumento dell’occupazione.

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