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ARTICOLO 18: C’È UNA SOLA STRADA

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Nella veste di giudici del lavoro, e coordinatori del gruppo lavoro di Magistratura Democratica, vorremmo proporre alcune riflessioni riguardanti “La roulette russa dell’articolo 18” a firma Andrea Ichino e Paolo Pinotti. L’articolo, utilizzando vari numeri e statistiche, solleva il problema della diversa durata dei processi relativi a licenziamenti in alcuni tribunali, esattamente Milano, Roma e Torino, e sottolinea come la lunga durata di questi processi, in caso di accertata illegittimità del recesso, si risolva in un danno sia per il datore di lavoro, tenuto a versare la retribuzione per il periodo compreso tra la data del licenziamento e quella di effettiva reintegra, e sia per il lavoratore, costretto a rimanere senza retribuzione fino alla conclusione del processo di primo grado.

LA DURATA DEI PROCESSI

Il problema della durata dei processi è certamente serio e complesso ed investe, purtroppo, seppure in misura minore rispetto ai settori civile e penale, anche quello del lavoro, spesso precludendo il rispetto dei
criteri di oralità e immediatezza propri del rito introdotto nel 1973. Senza soffermarci ora sulle cause e sui possibili rimedi alla lentezza della giustizia, specie in alcune sedi, vorremmo tuttavia sottolineare come non condividiamo le conclusioni a cui Ichino e Pinotti giungono facendo derivare dalla premessa, costituita dalla eccessiva durata dei processi sui licenziamenti, l’opportunità di sostituire l’articolo 18 e la reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato con un indennizzo monetario.
Anzitutto, nel nostro sistema e per bocca della nostra Costituzione, chi ritiene di essere stato leso in un proprio diritto ha una sola strada da percorrere, ricorrere al giudice per chiedere tutela di quel diritto.
Non è questione di opportunità, non si tratta cioè di stabilire se “fanno bene i lavoratori ad affidare sempre e comunque ai giudici la protezione di qualsiasi loro interesse“. Si tratta invece di diritti ed i diritti si tutelano agendo in giudizio. Siamo consapevoli dei costi economici e sociali, per i datori di lavoro e i lavoratori, connessi alla eccessiva durata dei processi.

UNA CORSIA PREFERENZIALE

Già da tempo, tuttavia, giuslavoristi sensibili e attenti a questi problemi hanno proposto una soluzione molto semplice e molto efficace, discussa ed analizzata in tanti convegni ma ignorata dal nostro legislatore.
Con decreto del 24 luglio 2000, su iniziativa dei Ministri del Lavoro e della Giustizia, fu istituita la Commissione Foglia per lo studio e la revisione della normativa processuale del lavoro. Si trattava di una Commissione di studio “preordinata alla individuazione delle ragioni di crisi del processo del lavoro e della previdenza e alla prospettazione delle soluzioni più appropriate“, composta da eccellenti magistrati, avvocati e docenti universitari. Sul tema dei licenziamenti e proprio al fine di scongiurare le conseguenze negative legate alla durata dei processi, la Commissione propose l’introduzione di una corsia preferenziale nella trattazione delle cause di licenziamento in maniera da garantirne la trattazione e la decisione in tempi il più possibile rapidi. Questa semplice soluzione, attuabile con una modifica normativa di poche righe e giustificata dalla priorità delle cause aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro, avrebbe evitato tutti i problemi oggi sollevati da Ichino e Pinotti, senza necessità alcuna di cancellare l’articolo 18.
Difatti, ciò che ci appare criticabile nella soluzione suggerita dai professori, “meglio i risarcimenti che il giudizio” è che essa non sia assolutamente pertinente al problema posto, quello della durata dei processi.
Se i processi durano a lungo, occorre cercare soluzioni per ridurre i tempi, senza bisogno di utilizzare termini come lotteria e roulette russa, che riteniamo fuori luogo e persino devianti. Eliminare garanzie dei lavoratori non solo non serve a far durare meno i processi ma non è, da nessun punto di vista, una strada legittima. Quando si parla di diritto al lavoro (articolo 4 della Costituzione) si intende diritto di svolgere un’attività lavorativa, strumento di emancipazione sociale, mezzo per un’esistenza libera e dignitosa.
L’articolo 18 costituisce un tassello fondamentale nel sistema di tutela dei lavoratori, del diritto al lavoro e della dignità del lavoro stesso, per pensare di cancellarlo e di sostituirlo con un “prezzo adeguato per
la possibilità di licenziare“.

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  1. cri

    Faccio i miei complimenti ai due giudici del lavoro che hanno espresso in maniera chiara ed esauriente la premessa sbagliata su cui Andrea ichino voleva dimostrare che un indennizzo sia migliore di un reintegro, cioè di un posto di lavoro. Superfluo aggiungere che l’indennizzo lascia un disoccupato ingiustamente sulla strada, il reintegro no…Credo basti questo a far capire tutto.

  2. Rosalba

    Ho letto l’articolo di Andrea Ichino e Paolo Pinotti e son rimasta impietrita!! Sono una studentessa universitaria iscritta al primo anno della specialistica in Scienze dell’amministrazione a Cagliari e proprio oggi durante una lezione di sistemi di welfare la docente ha fatto riferimento al sudato art.4 della nostra costituzione,tutti abbiamo diritto al lavoro, un lavoro che ci renda liberi di essere noi stessi! Non credo sia un problema dell’art.18 se i processi in Italia sono così lenti, nello stato in cui si trova ora l’Italia credo che l’ultimo dei nostri problemi sia toccare una delle poche norme rimaste ancora a tutela del lavoro o meglio dei lavoratori!

  3. STEFANO CECCHI

    Si parla tanto dei processi del lavoro, ma per i processi civili come il mio che va avanti da dodici anni che cosa hanno intenzione di fare i nostri politici? E’ una vergogna

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