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INFRASTRUTTURE: DAL CONFLITTO ALL’ASCOLTO

La Tav è diventata il simbolo di un intervento percepito come “inaccettabile” non solo dagli abitanti della Val Susa, ma anche da una fascia molto più ampia di cittadini. Eppure, proprio da lì si può partire per sperimentare un nuovo modello di intervento, basato sul confronto pubblico anticipato sulle grandi opere e sulle principali strategie nazionali per le infrastrutture. Esempi positivi esistono già: il caso della Gronda di Genova. Una scheda illustra tutti i numeri del progetto originario e di quello attuale dell’alta velocità in Val Susa.

Il caso della nuova linea ferroviaria Torino-Lione è da tempo uno dei conflitti sulle infrastrutture più acuti in Italia. Dagli scontri di Venaus del 2005, l’opposizione alla Tav ha raggiunto la notorietà nazionale e la decisione dell’allora governo di sospendere i lavori e di creare strumenti per affrontare il conflitto attraverso un dialogo strutturato tra le parti, in particolare l’Osservatorio tecnico, è quasi totalmente passata sotto silenzio.

NELLA GABBIA DEL CONFLITTO

Nonostante le importanti modifiche del progetto raggiunte dall’Osservatorio sia in termini di riduzione dei costi che di ridimensionamento del territorio interessato dal tracciato, il tentativo di affrontare il conflitto con il dialogo non è riuscito. Perché il dialogo, per quanto approfondito, è partito troppo tardi per essere credibile e troppo tardi per poter influire sulla decisione. L’Osservatorio infatti è stato istituito dopo una fase di conflittualità così accesa che alcuni fondamentali attori in campo – il movimento no Tav in primo luogo – hanno subito deciso di starne fuori. Inoltre la discussione si è sviluppata dopo che la decisione fondamentale di realizzare l’opera, con la redazione del progetto definitivo, era già stata presa.
Oggi la questione Tav è diventata “intrattabile” e la crescita esponenziale del conflitto negli ultimi tempi ha reso evidente il passaggio da una dimensione locale, relativa all’opera e ai potenziali impatti sul territorio, a una dimensione ideale. (1) La Tav è diventata il simbolo di un intervento percepito come “inaccettabile” anche da una compagine molto più ampia di cittadini: sia perché ritenuto non necessario sia perché non sostenibile dal punto di vista economico.
Ma l’inasprimento del conflitto sulla Tav può anche essere un’importante occasione di riflessione e di sperimentazione di un nuovo modello di intervento, basato sul confronto pubblico anticipato sulle grandi opere e, più in generale, sulle principali strategie nazionali nel campo delle infrastrutture.

IL MODELLO FRANCESE

Le recenti dichiarazioni del governo di voler adottare il modello del débat public francese per promuovere il confronto pubblico con gli attori locali sulle grandi opere è un notevole passo avanti. Esistono già esempi positivi di come, anche in Italia, un approccio aperto e trasparente alle scelte sulle grandi opere possa portare vantaggi non solo ai territori ma anche ai proponenti. Il dibattito pubblico sulla Gronda di Genova, svolto sul modello francese nel 2009, in soli cinque mesi di confronto con il territorio ha permesso di definire un nuovo tracciato per l’autostrada, che, da una parte, riduce notevolmente gli impatti negativi dell’opera sulla popolazione residente e, dall’altra, ha facilitato la progettazione definitiva, consentendo a Società autostrade un consistente taglio dei costi di progettazione e dieci mesi di procedure. Il tavolo di mediazione sull’impianto di trattamento meccanico-biologico per i rifiuti di Reggio Emilia, svolto nel 2011, ha consentito al Comune e alla società Iren di trovare un accordo con il comitato locale per un sito alternativo a quello inizialmente ipotizzato che, a uguale costo di realizzazione, preserva l’uso agricolo delle aree e permette di produrre energia dalle biomasse di scarto delle lavorazioni.
È estremamente importante che, d’ora in poi, il confronto anticipato sulle opere sia previsto per legge. Ma ci si può spingere oltre.
Si può rispondere alla grande richiesta di partecipazione e trasparenza sulle scelte pubbliche che la protesta contro la Tav ha fatto prepotentemente emergere, rilanciando con una proposta ancora più ambiziosa. Il governo potrebbe aprire una nuova stagione di riflessione collettiva, pubblica e trasparente, sulle grandi infrastrutture che saranno realizzate nei prossimi anni nel paese. Perché servono, quali strategie sviluppano, come si ripagano, dove passano, quali tecnologie adottano e così via. Impegnandosi ad ascoltare gli esiti del dibattito e successivamente ad argomentare pubblicamente le ragioni delle proprie scelte.
Un confronto pubblico nazionale di questo respiro consentirebbe di ricucire una frattura e al contempo di realizzare gli Stati generali delle infrastrutture attraverso una programmazione condivisa, analogamente a quanto è avvenuto in Francia nel 2009 per le politiche ambientali con la Grenelle de l’Environnement. E permetterebbe di accogliere positivamente le manifestazioni di queste settimane rispondendo al desiderio diffuso di molte cittadine e cittadini italiani di poter capire, essere coinvolti, esprimere la propria idea di mondo, e sapere che saranno ascoltati.

(1) Si tratta di un caso piuttosto tipico descritto dalla letteratura anglosassone sulla mediazione dei conflitti come “hurting gridlock”, una gabbia in cui tutti gli attori in gioco soffrono senza più poter retrocedere o cambiare gioco.

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TRA AUSTERITÀ E STIMOLO ALL’ECONOMIA

  1. Andrea Malan

    Coerentemente con quanto avviene spesso all’estero, credo che un mezzo per ridurre/prevenire i conflitti e per tagliare subito le opere più smaccatamente inutili sia quello di far partecipare al finanziamento anche le comunità locali interessate, attingendo alle loro risorse finanziarie: se la Regione Piemonte avesse dovuto finanziare il 10-15% della parte italiana della Tav, siamo sicuri che Bresso prima e Cota poi sarebbero stati così favorevoli? Forse la Regione avrebbe preferito, come suggeriscono molti, invertire l’ordine degli investimenti e potenziare prima il nodo ferroviario di Torino…

  2. Giuseppe Palermo

    Prima di pensare a nuove leggi in materia di partecipazione occorrerebbe far funzionare quelle vigenti. A partire dalla stessa Valutazione d’Impatto Ambientale, com’è noto applicativa della direttiva 85/337 CEE, la quale prevede la possibilità del pubblico di concorrere al procedimento, e, almeno nel suo spirito originario, di determinarne l’esito, inclusa la famosa “opzione zero”. Perché ciò accada, però, occorre che le commissioni VIA, regionali e nazionali, siano e appaiano realmente terze e indipendenti dai governi. Al contrario l’esperienza, specie recente, ci offre esempi scandalosi di nomine politiche, che ne minano la credibilità. Occorre anche che gli organi di tutela, in primis le soprintendenze, si ricordino dell’esistenza di questa normativa e, richieste di un parere, non si limitino a darlo separatamente, ma lo facciano all’interno della VIA, cosa non solo possibile, ma secondo la giurisprudenza (p.es. Tar Toscana, 12.6.01,1062) anche doverosa, e di particolare importanza per i progetti dell’allegato B della direttiva. Dopodiché si potrà benissimo legiferare circa il débat public e simili, articolando e allargando, senza però contraddirlo, l’impianto già esistente.

  3. marco

    Quando un minoranza di persone agisce contro l’interesse di una maggioranza e di intere comunità è difficile parlare di democrazia e rappresentatività, si dovrebbe usare il termine oligarchia ovvero potere dipochi-I soldi dei cittadini dovrebbero essere spesi dallo Stato nell’interesse degli stessi non contro; è evidente che c’è un problema di sistema democratico e di limiti imposti alla volontà di partecipare; ci vorrebbe senz’altro una riforma costituzionale in tal senso per ridistribuire ed equilibrare i poteri; internet potrebbe essere d’aiuto; invito tutti a vedere quanto si sta facendo a tal proposito in ISLANDA-Diversi studi internazioli hanno messo in evidenza come le grandi opere creino scarsa occupazione e costi-benefici per la più parte negativi-Se gli stessi soldi li usassimo per mettere a norma antisismica le scuole,per costruire asili nidi per rendere efficienti gli edifici pubblici dal punto di vista energetico per fare ricerca per incentivare la mobilità alternativa,per digitalizzare il paese (banda larga), per produrre enrgia a basso costo (geotermia,COGENERAZIONE)ecc.si creerebbe un risparmio, non dei debiti, per il futuro e molta più occupazione nell’immediato

  4. patrizia

    La partecipazione, coinvolgendo il popolo nelle scelte sia su piccole che grandi opere, è l’unica alternativa che i nostri rappresentanti a più livelli hanno per poter governare il proprio paese elimando i conflitti in modo democratico ed intelligente.

  5. Davide Spinella

    Purtroppo ilei attiro pubblico “alla genovese” ha avuto ben poco a che fare con quello cosiddetto alla francese. Mancanza di Opzione zero, necessaria per comprendere la reale necessitá dell’opera, tempi troppo stretti, dati forniti da Autostrade non conformi e modificati a dibattito inoltrato, conclusioni finali “interpretate” con ampia libertà dal sindaco, che in realtà non hanno individuato nessuna delle proposte presentate. Insomma un dibattito che ha rappresentato in realtà una copertura democratica di una scelta fatta a priori e che non ha tenuto in alcun conto le osservazioni presentate dai cittadini riunitisi in coordinamento di comitati. E sulla reale utilità della gronda autostradale genovese forti dubbi erano stati espressi già da tutti gli esperti convocati dal Comune durante il dibattito: i proff. Ponti e Beria, l’INU. Peccato, peró, che gli amministratori non li abbiano preso minimamente in considerazione…

  6. bellavita

    purtroppo la nostra cultura in tema di infrastrutture è fatta di pregiudizi e non di analisi sperimentali, e questo vale sia per le proposte calate dall’alto sia per le opposizioni “a prescindere”. Nonostante il meritorio sforzo della commissione Bobbio che dopo un anno di assemblee ha portato a modifiche partecipate del progetto della gronda di Genova, è ripresa l’opposizione ” a prescindere” stavolta più all’esterno dei territori interessati. Dopo il lungo lavoro dell’osservatorio Virano, l’opposizione alla TAV si è estesa sul territorio nazionale. C’è una costante nell’opposizione a qualunque infrastruttura. CGIL e PCI erano contrai all’autosole e alle metropolitane, gli ambientalisti che si documentano su Lupo Alberto sono contrari a qualunque inceneritore, e la richiesta di riaprire un tavolo di discussione, anche se firmate da pensose “anime belle” ha , nel caso della TAV l’unico scopo di far passare le scadenze imposte dai trattati internazionali.

  7. salvatore

    Cari amici, siccome le proposte arrivano, tra l’altro, da 314 “onorevoli” che hanno votato per Ruby nipote di Mubarak, è di questi personaggi che ci dovremmo fidare? O di tutti i corrotti che infestano le istituzioni? E’ chiaro che la gente non si fida, specialmente quando si tratta di opere pubbliche che per un motivo o per un altro, vengono a costare due volte (minimo) rispetto a quello previsto. Ci sono delle premesse da fare: Prima fuori i condannati dal parlamento, poi si può ragionare con più fiducia.

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