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QUANTO SARÀ LA PENSIONE DI DOMANI

Anche in futuro il sistema pensionistico pubblico italiano sembra capace di garantire prestazione adeguate. In base alle simulazioni, la riduzione attesa del tasso di sostituzione nel corso dei prossimi decenni non è drammatica, almeno rispetto a proiezioni elaborate prima della riforma. Tutto dipende dall’innalzamento dell’età media di pensionamento, destinata ad agganciarsi alla dinamica delle aspettative di vita. Ma per rendere perseguibile e realistica questa soluzione, occorrono cambiamenti importanti nel mercato del lavoro.

Il tasso di sostituzione (o di rimpiazzo) tra il primo importo della pensione e l’ultimo della retribuzione è lo strumento maggiormente utilizzato quando si vuole misurare l’adeguatezza di un sistema pensionistico. (1) È un indicatore capace di misurare, con una ragionevole approssimazione, la capacità del sistema di garantire ai suoi assicurati, una volta raggiunta l’età del pensionamento, un tenore di vita simile a quello raggiunto nella fase finale del periodo lavorativo. (2) Può essere utile verificare la sua dinamica temporale dopo la riforma pensionistica del dicembre 2011.

TASSI DI SOSTITUZIONE FINO AL 2050

Le figura 1 riporta il valore mediano del tasso di sostituzione tra prima pensione e ultima retribuzione per la popolazione dei neo pensionati nel periodo 2012-2050. (3) Le stime sono state ottenute con un modello di micro-simulazione dinamica costruito dagli autori di questo articolo. (4) Secondo i dati delle nostre simulazioni, la mediana (ovvero il valore che si trova al centro della distribuzione) del tasso di sostituzione è destinata a crescere in maniera relativamente consistente nei prossimi otto-dieci anni quando raggiungerà valori intorno al 75 per cento. In seguito inizia un declino, prima lento e poi più sostenuto, che porterà l’indicatore poco sopra al 60 per cento quando il sistema contributivo sarà completamente a regime.
La riduzione attesa del tasso di sostituzione nel corso dei prossimi decenni non appare dunque drammatica, almeno rispetto a proiezioni elaborate prima della riforma. (5) Anche valutando la distribuzione complessiva dei tassi di sostituzione (nel grafico riportiamo il valore del 10° e del 90° percentile per alcuni anni) è immediato notare che i valori più bassi non scendono mai al di sotto del 40 per cento e comunque non sembra che nel medio–lungo periodo la situazione sia destinata a peggiorare rispetto alle condizioni correnti.

 Figura 1

Distribuzione dei tassi di sostituzione dei neo pensionati. 2012 – 2050.

Legenda:              p_10: valore del 10°  percentile della distribuzione

                           P_50: valore del 50° percentile della distribuzione (mediana)

                           P_90: valore del 90° percentile della distribuzione

 

Quale è la strada attraverso la quale la riforma riesce ad assicurare l’adeguatezza delle prestazioni pubbliche future?

L’ETÀ DELLA PENSIONE

Per dare una risposta alla domanda dobbiamo guardare ai cambiamenti attesi nell’età di pensionamento. La figura 2 descrive l’andamento dell’età media di pensionamento per il periodo 2012-2050. È immediato notare che le nostre simulazioni indicano, nel corso dei prossimi quaranta anni, un aumento dell’età media di pensionamento di circa sette anni, dai 61,5 anni del 2011 ai 68,5 anni del 2050, superiore anche all’incremento atteso, nel medesimo periodo, nell’aspettativa di vita.

Figura 2

Età media di pensionamento dei neo pensionati. 2011 – 2050

I due fenomeni (dinamica temporale del tasso di sostituzione e dell’età di pensionamento) devono essere letti insieme per fornire un quadro interpretativo all’evoluzione attesa del sistema pensionistico italiano, se valutato sotto il profilo dell’adeguatezza delle sue prestazioni.
È utile a questo riguardo dividere i prossimi decenni in due sotto-periodi.
Nei prossimi dieci-quindici anni, l’abolizione del sistema delle quote e l’aumento del requisito contributivo oltre i quaranta anni renderanno sempre più difficile raggiungere il pensionamento di anzianità a età relativamente basse, “costringendo” molti individui a prolungare la loro permanenza sul mercato del lavoro. (6) Questo avrà un effetto positivo sulla loro rata pensionistica che, a parità di altre condizioni, sarà di importo più elevato. A conferma di ciò si può notare come, nel prossimo decennio, la dinamica del tasso di sostituzione e quella dell’età di pensionamento vadano nella medesima direzione.
La musica inizierà a cambiare sensibilmente a partire dalla seconda metà del prossimo decennio: se da un lato l’età media di pensionamento continuerà ad aumentare, dall’altro le nostre proiezioni segnalano una riduzione prospettica del tasso di sostituzione, causata della progressiva entrata a regime del sistema contributivo. In questa fase, saranno l’aggancio alla dinamica delle aspettative di vita delle condizioni per la maturazione al diritto al pensionamento, unito ai vincoli imposti sull’accesso al pensionamento (la rata pensionistica maturata non potrà essere inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale al fine della maturazione del diritto), a ritardare l’ingresso in quiescenza, soprattutto per i lavoratori con interruzioni nella carriera contributiva (donne e disoccupati di lunga durata), con più bassa aliquota contributiva o con più bassi livelli salariali.
Posto che una completa analisi distributiva sulle caratteristiche di un sistema pensionistico richiede analisi molto più approfondite, lo studio della dinamica del tasso di sostituzione porta a concludere che il sistema  pensionistico pubblico rimane fondamentale nel determinare l’adeguatezza del reddito durante la vecchiaia degli individui. Per raggiungere questo risultato, pur con l’invecchiamento atteso della popolazione, la strada che il legislatore sembra indicare è quella di un cospicuo aumento dell’età di pensionamento. Come già sottolineato in un nostro precedente contributo, per rendere perseguibile e realistica questa soluzione occorrerà che importanti cambiamenti nel mercato del lavoro facciano seguito a quelli scritti nelle regole del nuovo sistema pensionistico.

 

(1) Valutazioni sull’andamento del tasso di sostituzione nei prossimi decenni sono ad esempio riportate nei rapporti annuali della Ragioneria generale dello Stato sull’andamento di lungo termine del sistema pensionistico http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit–i/Spesa-soci/Attivit–d/2011/Le-tendenze-di-medio-lungo-periodo-del-sistema-pensionistico-e-socio-sanitario-Rapporto_n.12.pdf e in documenti della Commissione europea che hanno l’obiettivo di monitorare l’adeguatezza dei sistemi pensionistici europei, http://ec.europa.eu/social/main.jsp?langId=en&catId=752&newsId=551&furtherNews=yes.

(2) Tra gli aspetti più rilevanti vale la pena di ricordare che il tasso di sostituzione misura il rapporto tra la sola pensione e il solo reddito da lavoro ed esclude quindi qualsiasi altra forma di reddito che il soggetto considerato riceve, sia prima che dopo il pensionamento. Inoltre misura il livello della pensione relativamente a quello della retribuzione in un solo anno (il primo del pensionamento) mancando quindi l’obiettivo della valutazione dell’adeguatezza della prestazione lungo tutto il periodo di vita del pensionato.

(3) Le dinamiche qui presentate si riferiscono al tasso di sostituzione al lordo dell’Irpef. A causa della progressività del sistema di tassazione il valore del tasso di sostituzione al netto dell’imposta personale sul reddito risulterebbe sempre più elevato.

(4) Per una descrizione del modello e delle sue applicazioni vedi il recente rapporto, Progress, finanziato dalla Commissione europea “Assessing adequacy and long term distributive effects of the Italian pension system. A microsimulation approach” disponibile in http://www.capp.unimore.it/progress.html

(5) Si vedano ad esempio quelle contenute nel rapporto citato nella nota 4 oppure quelle in Mazzaferro and Morciano (2011) disponibili all’indirizzo: http://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/analisi_progammazione/working_papers/WP_N._11.pdf.

(6) Questo peraltro spiega il valore “relativamente” basso del tasso di sostituzione nei primi anni della riforma, quando di fatto le pensioni di anzianità, ovvero quelle che possono vantare tassi di sostituzione più elevati, sono di fatto bloccate.

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10 commenti

  1. Silvestro De Falco

    La conclusione che “anche in futuro il sistema pensionistico pubblico italiano sembra capace di garantire prestazione adeguate” è errata. La Gestione Separata INPS è il primo piano a contributi definiti in Italia ed è difficile concepire qualcosa di più iniquo. Temo che sarà il modello per il futuro. Un investimento di 100.000 euro a partire dalla fine del 1996 nella Gestione Separata, anno in cui è stata istituita, ad oggi avrebbe reso 81.000 euro di interessi. Lo stesso investimento in BTP a 30 anni avrebbe reso 180.000 euro. Non parliamo poi delle distorsioni fiscali. Silvestro De Falco
    P.S. Una disclosure sugli autori e sulle loro collaborazioni sarebbe stato un atto di correttezza da parte degli stessi e de La Voce.

  2. Piero

    L’aver rinviato per decenni la riforma ha scaricato i costi sulle prossime generazioni. Ma come mai i dirigenti ed altri Fondi Speciali (che sono il 10% dei pensionati Inps ma pesano quasi x il 50% del buco Inps) non sono stati toccati dalla riforma? Gli impiegati che pagano i loro capi anche da vecchi !!! È un privilegio inammissibile taciuto da tutti. Magari voi della Voce ed il direttore Tito Boeri che spesso ha il coraggio di alzar il velo su questioni spinose potrebbe aprire la pista.

  3. marco

    E’ cambiato il modo di percepire l’età e di arrivare alla vecchiaia ma la vita media non si è alzata negli ultimi anni in Italia anzi, fenomeni come l’inquinamento potrebbero causare un peggioramento in tal senso; ho conosciuto tante persone che sono morte giovani per brutti mali e a tutt’oggi sono poche le persone che vivono più di 80-85 anni;Lavorare 40 ore o più a settimana, come uno schiavo, per avere forse 10 anni di riposo alla fine non mi sembra una grande prospettiva; – e’ inutile continuare a caricare i costi sociali sui più deboli- Bisogna ridistribuire le ricchezze in modo che le persone abbiano più soldi e più tempo libero e arrivino meno alienate e sofferenti alla pensione-Dopo la seconda guerra mondiale gli occupati erano più di adesso; la crescita e l’aumento di produttività hanno infatti lentamente tolto manodopera dai processi produttivi; e questa tendenza non si fermerà! Non a caso in molte fabbriche tedesche si sono ridotte le ore lavorative per tenere occupati tutti-senò chi acquisterà un domani le merci prodotte! Non certo disoccupati senza soldi! Con questi ritmi mi sembra francamente molto impegnativo e un po’ incivile lavorare fino a 70 anni

  4. Giuseppe Umberto D.

    Ad oggi abbiamo 16 Milioni di pensionati.
    Nel 1965 sono nate in italia 1’035’207 di persone che avranno 85 anni nel 2050.
    Nel 2010 nascono 561’944 che avranno 40 anni nel 2050 nel periodo 2010-2050 si dovrebbe avere l’inversione del rapporto pensionati lavoratori cioè oggi ci sono due lavoratori per un pensionato alla fine del periodo ci sono due pensionati per un lavoratore considerando che mentre un tempo i soldi dei contributi venivano accantonati per essere messi a reddito, con le varie riforme, ad oggi con i contributi che entrano si ripagano le pensioni che escono (+ integrazione dallo stato) ad occhio….non vedo come la sommatoria di milioni di pensionati accumulati nei vari anni di boom demografico possa generare un tasso di sostituzione del 60% dell’ultimo stipendio, sulla carta si possono scrive dei minimi inderogabili, ma quando le entrate no saranno sufficienti che si fara? Sarebbe interessante sviluppare dei conti anche spannometrici…

  5. Luca G.

    Credo che la qualifica di adeguatezza relativamente alla *pensione media futura* sia, come minimo, fuorviante. Intanto perché, se anche volessimo trarre conclusioni ottimistiche da questa astrazione, dovremmo individuare un termine di confronto: in rapporto a cosa il 60% è un tasso di sostituzione *adeguato*? Se il parametro è, come dovrebbe, il tenore di vita sostenibile col 100% dell’ultimo reddito, non vedo come la definizione possa calzare. Vorrei inoltre osservare che un’astrazione così generica, pur necessaria, non riflette la varietà e vastità di casi in cui il predetto 60% sarà non la media, bensì il valore massimo (difficilmente) conseguibile del tds. Mi riferisco all’insieme degli autonomi, liberi professionisti, artigiani, più la massa crescente di lavoratori la cui carriera è caratterizzata da una prevalenza di contratti atipici e, quindi, previdenzialmente poco tutelati.

  6. MDT

    Un’analisi fondata sulla sola osservazione dei tassi di sostituzione è limitata. Un tasso di sostituzione del 60% con un reddito pari o inferiore a 1.000 euro è adeguato? Inoltre, tali tassi sono ottenuti sulla base di presupposti quanto meno ottimistici: una carriera contributiva senza interruzioni di 35/40 anni non costituisce propriamente il caso tipico italiano. Ancora: non c’è piena compensazione tra i maggiori contributi versati in virtù dell’aumento dell’età pensionabile e l’importo della pensione che si andrà a percepire (con una perdita secca per chi continuerà a lavorare). Infine, anche alla luce delle nuove disposizioni sui licenziamenti economici, cosa impedirà alle imprese di sbarazzarsi dei lavoratori anziani molto prima del limite massimo pensionabile? Se si vuole essere onesti bisogna dire che, accanto ad un sistema contributivo corretto con un sistema flessibile di uscita meno severo (direi anche 60-70 anni), occorrerebbe prevdere altre misure, in vario modo declinabili, in grado di aumentare le, misere, pensioni del futuro.

  7. Giorgio

    “ll sistema pensionistico pubblico rimane fondamentale nel determinare l’adeguatezza del reddito durante la vecchiaia degli individui”, avevate dei dubbi? Quello che volevo scrivere è già stato anticipato da altri commentatori quindi passo alle conclusioni: abbiamo un aumento del numero delle persone anziane e una diminuzione del numero delle persone attive, il tutto in un quadro di produttività stagnante da quindici anni… lasciando perdere le illusioni del sistema contributivo (se la produzione è insufficiente non c’è abbastanza reddito per nessuno, come accade oggi in Grecia, e le pensioni contributive teoriche devono essere ridotte per forza di cose) o accetteremo di convivere nel futuro con una ampia quota di popolazione anziana miserrima o dovremo ricalibrare il sistema pensionistico in modo tale che assicuri a tutti il minimo indispensabile indipendentemente dai contributi versati sia nel senso di dare di più a chi ha versato troppo poco sia nel senso di togliere a chi ha versato molto. Cordiali saluti.

  8. Silvestro De Falco

    Il sistema contributivo, così come è stato attuato in Italia, è un meccanismo che serve semplicemente a spostare sulle generazioni future tramite rendimenti bassi – l’anno scorso la Gestione Separata si è rivalutata dell’1,79% a fronte di un tasso di inflazione del 2,8% – e requisiti stringenti –perché mai chi versa contributi dovrebbe raggiungere un montante pari a 1,5 volte l’assegno sociale per ricevere le prestazioni? – il costo della generosità passata e per molti aspetti tuttora presente. Il metodo contributivo non è redistributivo e senza redistribuzione i contributi versati all’INPS, con queste premesse, non sono che tasse. Per evitare di vedere in futuro anziani ridotti in uno stato miserrimo non c’è altra strada che lasciare ai singoli la possibilità di risparmiare i propri soldi come meglio credono, magari dopo aver pagato contributi sufficienti a finanziare una pensione pubblica pari all’importo dell’assegno sociale (10% del reddito, massimo). I piani di previdenza del settore privato, per esempio, offrono anche agevolazioni fiscali.

  9. Alessandro Pagliara

    Tutte le statistiche si basano su un operatore statistico che ci dice veramente poco: la media…. Non sarebbe interessante valutare invece quanto si potrebbe redistribuire il reddito pensionistico applicando la famosa formula di Platone…il più ricco può prendere massimo 10 volte il più povero? Fonti giornalistiche ci confemano che alcune persone che hanno svolto lavori pubblici prendono pensioni da favola: Dini €. 40.000,00/mese il defunto Scalfaro €. 60.000,00, mi domando quanto sia giusto. Mi sento un liberale ma una società come questa dove persone pubbliche maneggiano milioni (pubblici) come fossero caramelle (e soldi privati) è inaccettabile!….che poi siano loro a dettare ai poveri i sacrifici è proprio assurdo!

  10. Andrea Chiari

    Si è scelta la strada del contributivo? Bene, andiamo fino in fondo. Se i soldi che riceverò alla fine del lavoro sono esattamente quelli che avrò versato (e che avrà coversato il mio datore di lavoro in base ad accordi sindacali) perchè mantenere la baracca delle pensioni pubbliche? Coi miei soldi faccio quello che voglio. Punto.

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