Lavoce.info

LE SOFFERENZE DELLE BANCHE. E QUELLE DELLE IMPRESE

I dati segnalano una continua crescita dei crediti bancari in sofferenza. Le banche rispondono, da una parte, con politiche di accantonamento meno rigorose rispetto al passato; dall’altra, con restrizioni del credito. Imprese solide, ma illiquide, vengono così portate al fallimento in un circolo vizioso che, alla fine, incrementa ancora le sofferenze bancarie. Fondamentale che i banchieri  tornino a selezionare con giudizio chi è meritevole di essere finanziato, perché ha un progetto imprenditoriale valido, e chi, invece, non ha più possibilità di competere sul mercato.

Continua inarrestabile la crescita dei crediti bancari in sofferenza. I dati relativi allo scorso marzo segnalano che le gravi inadempienze delle imprese nel rimborsare i finanziamenti bancari sono cresciute di quasi il 15 per cento su base annua (vedi il grafico 1).

L’ANDAMENTO DELLE SOFFERENZE

Il rallentamento registrato rispetto al mese scorso, in cui la crescita era stata del 17 per cento circa, e nei confronti di un anno prima, quando si era osservato un incremento che sfiorava quasi il 50 per cento, non è però di molto conforto. La flessione della dinamica dei crediti non rimborsati fa da contraltare alla flessione della consistenza dei finanziamenti erogati alle imprese. Ne consegue che il rapporto tra sofferenze, al lordo delle svalutazioni apportate dalle banche per tener conto dei presumibili mancati introiti, e gli impieghi erogati è andato ulteriormente crescendo: a marzo 2012 ha toccato il livello dell’8,2 per cento, un punto percentuale in più rispetto a un anno prima (vedi grafico 2).

Grafico 1

Anche sul fronte delle famiglie consumatrici le dinamiche sono del tutto analoghe a quelle delle imprese, con la differenza però che l’incidenza dei crediti insoluti sul totale dei finanziamenti è ben più bassa: 5 per cento a marzo, circa mezzo punto percentuale in più rispetto a un anno prima.

LA RISCHIOSITÀ DEL CREDITO NEI BILANCI DEI PRINCIPALI GRUPPI BANCARI

Il continuo deterioramento del portafoglio crediti sta minando lo stato di salute dei bilanci di molte banche italiane. In particolare, la Banca d’Italia, nel suo ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria, ha posto in evidenza come, per i primi cinque gruppi bancari, i crediti vantati verso quei prenditori di fondi che hanno mostrato negli ultimi mesi alcune difficoltà nello stare al passo con i rimborsi (cosiddetti crediti deteriorati), al netto delle rettifiche di valore, sono ammontati al 65 per cento del patrimonio di vigilanza, un valore di tre punti percentuali più alto rispetto a un anno prima. Inoltre, per evitare di aggravare ulteriormente il risultato del conto economico, già particolarmente depresso dalle svalutazioni del portafoglio titoli e delle partecipazioni azionarie nonché dell’avviamento, questi stessi istituti di credito hanno attuato politiche di accantonamento su crediti dubbi meno rigorose rispetto al passato. Il tasso di copertura, pari al rapporto tra la consistenza delle rettifiche e l’ammontare lordo delle sofferenze, nel dicembre del 2011 è stato pari a circa il 57 per cento, contro il 63 per cento del triennio 2006-2008. Di fatto si è creato, quindi, il paradosso contabile per cui il giudizio delle banche circa la possibilità di recuperare i propri crediti dubbi è migliore rispetto a quello del periodo precedente la recessione economica. Tralasciando il fatto che la gravità della situazione attuale, per il principio della sana e prudente gestione, dovrebbe portare ad attuare criteri di contabilizzazione dei crediti più severi rispetti al passato, la Banca d’Italia stima in 5 miliardi e mezzo l’ammontare degli ulteriori accantonamenti necessari per riportare i banchieri dei principali gruppi italiani verso quel grado di prudenza che avevano adottato prima della crisi.

Grafico 2

La reazione dei grandi gruppi sembra, invece, essere quella di restringere i cordoni del credito per evitare un ulteriore peggioramento del loro portafoglio crediti. Ciò che sta avvenendo, quindi, è che imprese, soprattutto di minore dimensione, sono ritenute più rischiose in quanto hanno forti problemi di liquidità. Il sistema dei finanziamenti destinati a queste imprese, basato soprattutto sulla possibilità di rivalersi sulle garanzie reali e personali offerte dal titolare dell’impresa stessa, non funziona più in questa fase in cui è molto difficile rendere liquidi gli investimenti immobiliari e dove i patrimoni finanziari si sono notevolmente deprezzati. Il basso livello della domanda internazionale e, soprattutto nazionale, sta poi depauperando le risorse che prima giungevano alle imprese attraverso l’autofinanziamento.
Succede quindi sempre più spesso che imprese solide, ma illiquide, vengano portate al fallimento dalla chiusura dei rubinetti del credito, mettendo in moto un circolo vizioso che coinvolge fornitori e clientela delle aziende fallite e facendo in ultima istanza incrementare ulteriormente le sofferenze bancarie. Sarebbe invece fondamentale, nell’attuale fase economico-sociale del nostro paese, che i banchieri italiani tornassero a selezionare con giudizio chi è meritevole di essere finanziato, in quanto dispone di un progetto imprenditoriale valido, e chi, invece, non ha più le possibilità per competere sul mercato.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Inflazione e disinflazione: la versione della Fed
Leggi anche:  Sulle trattative per Unione bancaria e dei capitali peserà il no al Mes

Precedente

LA FRANCHIGIA FA MALE ALLA SANITÀ PUBBLICA

Successivo

SCELTE POCO STRATEGICHE

14 commenti

  1. stefano nicoletti

    La solidità di un’azienda è data dagli equilibri finanziario, patrimoniale ed economico. Se non c’è equilibrio finanziario tra entrate ed uscite (“le imprese sono illiquide”) non si può in alcun modo parlare di solidità! Il fabbisogno di fido delle imprese è determinato dalla discrepanza tra tempi di incasso e di pagamento. Se i tempi di incasso sono incerti, su quali elementi una banca dovrebbe fare la valutazione di credito? In più: una qualsiasi azienda in crisi di liquidità e di perdite ha una sola strada per rimettersi in pista: dimagrire. Le banche italiane per volere della direttiva europea del 1987 sono aziende a tutti gli effetti (purtroppo). Per quale ragione si dovrebbero comportare diversamente, aumentando il loro attivo quando la logica dice che devono fare il contrario? Lo potrebbero fare solo se l’aumento dell’attivo è garantito e finanziato da un terzo soggetto, altrimenti il resto è utopia. E’ quello che in parte sta facendo lo Stato italiano con i plafond della Cassa Depositi e Prestiti.

  2. daniela figazzolo

    Scegliere chi ha un progetto meritevole o chi no, certo farlo decidere alle banche, dove la dirigenza ha in media una settantina d’anni! migliorerebbe la situazione? meglio di niente (forse)

  3. michele

    Perchè qualche imprenditore non querela per danni le banche che chiudono senza motivo i rubinetti del credito? Se il diritto di recesso dal credito è libero e non subordinato a giusta causa o giustificato motivo, comunque può sussistere l’obbligo di risarcire il danno patrimoniale ed esistenziale. secondo punto: la garanzia statale dei prestiti (Confidi, ecc.) dovrebbe imporre che il fido sia contrattualizzato, ovvero che impegni anche la banca, non solo l’imprenditore a rispettare delle condizioni che la banca contraente non può più modificare unilateralmente. Nessuno fa notare che in Italia non esplode la bolla immobiliare perchè abbiamo ancora la fortuna di avere i nostri costosi notai, e gli atti di mutui non sono scritture private tra le parti, ma contratti con la banca. Diversamente dall’imprenditore cui chiude l fido perchè in perdita, labanca non può chidermi di restituire il mutuo in una settimana se pago regolarmente le rate. terzo punto: perchè le imprese non si consorziano per ottenere migliori condizioni di accesso al credito?

  4. Rony Hamaui

    Le affermazione contenute nell’articolo non sono corroborate da sufficiente evidenza empirica ne logica. Infatti non si capisce perchè le banche dovrebbero essere così stupide o masochiste da finanziare imprese deboli che poi falliscono (vedi aumento delle sofferenze) e non finanziare imprese “solide ma illiquide”…..

  5. Pier G. Fontanili

    Da 30 anni circa lavoro nel settore e da 30 ad ogni crisi si sentono sempre gli stessi argomenti. C’ è in tutti questi casi un fattor comune: le banche agiscono sempre “in massa” con ciò amplificando gli effetti della congiuntura. Vista la gravità della situazione attuale ritengo non sia da buttare un’idea che può sembrare provocatoria: nazionalizzare le banche dando così un segnale forte ai mercati (si risolverebbero in parte i problemi del “funding”) ed “obbligandole” a dare credito al mercato a condizioni normali visto che sarebbero sgravate dalla logica del profitto non dovendo più rispondere solamente agli “shareholders” ma anche e soprattutto a tutti gli “stakeholders” in quanto l’obiettivo primario sarebbe la circolazione della moneta e non la sua profittabilità. In questo caso il Valore Aggiunto sarebbe a livello di sistema economico nel suo complesso. Gli attuali azionisti delle banche forse avrebbero anche la possibilità di veder rivalutarsi i loro investimenti. Che dire poi dei crediti concessi con generosità ai grandi gruppi (Ligresti docet) che drenano e a volte distruggono risorse finanziarie che sarebbero meglio impiegate in altre realtà imprenditoriali?

  6. Pier G. Fontanili

    Da 30 anni circa lavoro nel settore e da 30 ad ogni crisi si sentono sempre gli stessi argomenti. C’ è in tutti questi casi un fattor comune: le banche agiscono sempre in massa con ciò amplificando gli effetti della congiuntura. Vista la gravità della situazione attuale ritengo non sia da buttare un’idea che può sembrare provocatoria: nazionalizzare le banche dando così un segnale forte ai mercati (si risolverebbero in parte i problemi del funding) ed obbligandole a dare credito al mercato a condizioni normali visto che sarebbero sgravate dalla logica del profitto non dovendo più rispondere solamente agli shareholders ma anche e soprattutto a tutti gli stakeholders in quanto l’obiettivo primario sarebbe la circolazione della moneta e non la sua profittabilità. In questo caso il Valore Aggiunto sarebbe a livello di sistema economico nel suo complesso. Gli attuali azionisti delle banche forse avrebbero anche la possibilità di veder rivalutarsi i loro investimenti. Che dire poi dei crediti concessi con generosità ai grandi gruppi (Ligresti docet) che drenano e a volte distruggono risorse finanziarie che sarebbero meglio impiegate in altre realtà imprenditoriali?

  7. Piero

    Ancora una volta si fa il contrario di quello che si deve fare, vediamo che le banche riducono il credito in questo momento di crisi, uccidendo anche le imprese sane, dopo che esse hanno ricevuto un prestito agevolato dalla Bce, ottenuto con un collaterale dato in pegno alla Bce, garantito dallo stato italiano (quindi garantito da tutti i cittadini e dalle imprese italiane). Penso che chi ha fatto la manovra salva Itala (dove è stata concessa la arancia sul collaterale) si è dimenticato di obbligare le banche ad aumentare i prestiti all’economia reale di una percentuale, in difetto non aveva senso la garanzia, io la manovra salva Italia di Monti l’ho chiamata manovra affossa Italia. La manovra è concentrata sull’aumento delle tasse e sl regalo incondizionato alle banche, oggi a distanza di 5 mesi stiamo vivendo una oppressione fiscale e una stretta creditizia.

  8. BOLLI PASQUALE

    Le banche da tempo, non svolgono più,come in passato, una funzione intermediatrice tra chi ha disponibilità di denaro e non ha iniziativa e chi ha iniziativa e non ha denaro. Le banche, per il lungo periodo di operatività nel campo dei prodotti finanziari, hanno snaturalizzato la loro storica funzione. Tanto le ha portate, sempre più, a valutare rischio e redditività d’investimento in assenza di rapporti personali con gli imprenditori; il fenomeno è più evidente, con l’entrata in vigore della normativa comunitaria Basilea 2, che permette le concessioni di credito con il rating risultante da patrimonio,reddito e liquidità. Rapporti personali, e progetti imprenditoriali non rientrano nel merito perchè si concede soltanto su presentazione di situazioni economico-patrimoniali che il sistema ritiene positive. La conoscenza personale del titolare dell’azienda,i suoi progetti, le sue capacità ed il suo patrimonio privato, quindi, sono solo optional. Nell’attuale periodo di mercato recessivo, quante aziende hanno in equilibrio i propri bilanci? Non c’è da meravigliare,pertanto,se aziende patrimonializzate,con prospettive ma illiquide finiscono in fallimento.

  9. Andrea Bogiani

    Sottoscrivo pienamente quanto scritto da Stefano Nicoletti. Il problema attuale per le banche è trovare aziende solide da affidare. Purtroppo l’elevato indice di default dovuto principalmente a cause “esterne” (leggi, mercato) e non alla incapacità imprenditoriale comporta per le banca l’assunzione di un rischio di credito troppo elevato da assorbire nel c/economico, salvo rivedere i piani strategici/operativi al forte ribasso. Per sostenere l’azione di erogazione del credito, in questa fase è necessario l’intervento di soggetti terzi garanti di livello primario, che tuttavia amplificano la concentrazione di rischio versus lo Stato Italia.

  10. Leonardo Rosselli

    Sono imprenditore con formazione da dottore commercialista. Ho avuto una posizione privilegiata in questi ultimi anni e sono giunto alla conclusione che il problema dei problemi in questo momento e’ che le banche non selezionano correttamente il credito. Perché ? Perché non hanno strumenti o meglio quelli che hanno non sono adatti alla realtà. Oggi tutto si basa sulla centrale rischi ( strumento utile ma stupido e migliorabile) sull’ andamentale ( insoluti circolazione dei crediti sconfinamenti) e sul bilancio. Il rating lo danno delle agenzie interne alle banche che non conoscono e non hanno mai visto l’impresa che stanno giudicando. Sono tutti elementi utili ma insufficenti a valutare un PMI italiana. Lasciamo stare i bilanci poi, quanti sono veritieri? Il 50 forse…. Allora occorre ripartire da qua. Creare delle mini agenzie di rating locali esterne alle banche con il coinvolgimento degli ordini professionali e allargare gli elementi su cui si basa il giudizio. Un’impresa che ha il collegio sindacale, i magazzino fiscale, una certificazione ISO tanto per fare alcuni esempi può e deve avere una corsia preferenziale rispetto ad una che non ha queste caratteristiche. L. Rosselli

  11. BalbettantiPoietici

    Spero di sbagliarmi. Ma credo proprio che la crisi finanziaria attuale non finirà. Il nuovo focolaio di crisi costituito da caso di JP Morgan non sorprende. Un nuovo focolaio di crisi sarà quello dei titoli di credito delle banche verso le imprese e delle imprese verso altre imprese. Quando si proverà a valutare il loro valore effettivo (attraverso la verifica della capacità delle imprese di rimborsarli, ad esempio) si scoprirà, anche in questo caso, che è molto inferiore al valore nominale. Oggi si sta cercano di nascondere questa cenere (perdita di valore di titoli di credito verso le imprese) sotto il tappeto, ma è un gioco sciocco e pericoloso. Come uscirne? Un primo passo è quello di creare nuova moneta per ricapitalizzare le banche perché possano finanziare (con denaro davvero fresco) la nascita di nuove imprese, la trasformazione radicale di quelle esistenti, la ricerca scientifica fondamentale, una nuova ondata di produzione artistica, nuove infrastrutture che raccolgano il consenso sociale, un nuovo sistema di welfare. Lasciando il mercato attuale dei titoli a spegnersi piano piano per disinteresse.

  12. marco

    Penso che il problema vada affrontato dalla politica, a livello europeo. La banca centrale europea non dovrebbe finanziare le banche regalandogli soldi che possono poi essere investiti senza nessun obbligo, di solito in titoli di Stato-Bisognerebbe mettere dei paletti:”ti do i soldi ma tu una parte la investi per finanziare le imprese”. Bisognerebbe però dare anche agli Stati la possibilità di indebitarsi a livello europeo unendo i debiti pubblici della zona euro, in modo da mettere fine al sistema speculativo sui singoli debiti. Ci sono banche italiane che hanno ricevuto miliardi di euro dalla BCE; possibile che non abbiano i soldi per finanziare le imprese? Evidentemente investono in qualcosa di più sicuro o più redditizio.

  13. bob

    Seguo sempre meno lavoce.info perchè mi rendo conto che quelli considerati esperti o sono degli ingenui teorici o scrivono sotto dettatura. Il prof in questione scrive, “che i banchieri italiani tornassero a selezionare con giudizio chi è meritevole di essere finanziato” ma quando mai le banche hanno fatto questo lavoro? Oggi a noi che lavoriamo per la RAI non ci scontano le fatture. Di cosa parliamo? Come al solito in questo Paese manca una cosa fondamentale per il mercato: la concorrenza! Se la banca non vuole fare più la banca è padrona di farlo, ma dobbiamo mettere l’imprenditore nelle condizioni di potersi autofinanziare con facilità. Oggi la banca non da credito e all’imprenditore non si concede la possibilità di liquidizzarsi  pensare di risolvere il riciclo di denaro impedendoti di prelevare 1000 euro è una sciocchezza che qualsiasi persona capisce). La cosa vergognosa in questo momento sono le cosidette associazioni di categoria ( retaggio fascio-medioevale) che sono letteralmente sparite. La rete permetterebbe di mettere un po’ paura al sistema, tipo il movimento di Grillo per fare un esempio. Cari Prof più realismo e meno diagrammi!

  14. Marcello Tava

    “Fondamentale che i banchieri tornino a selezionare con giudizio chi è meritevole di essere finanziato”. Giustissimo. Ma le banche hanno davvero ancora questa capacità? O i loro impiegati sono ormai solo capaci di “scommettere” su astratti prodotti finanziari anziché su concreti progetti imprenditoriali? Quanto la sostituzione del capitalismo imprenditoriale con quello finanziario è dovuta a un declino delle capacità professionali nelle banche? E che ruolo svolgono le “fondazioni”, “longa manus” della politica nelle banche, in tutto questo? Se le banche hanno perso la loro funzione storica, in ragione della quale esse sono sostenute con grande dispendio di risorse pubbliche, perché non si deregolamentano piuttosto i vincoli burocratici all’imprenditoria e non si investe nella formazione giovanile per facilitare la formazione di un “venture capitalism” anche nel nostro paese, come da decenni succede negli Stati Uniti? Ma forse un banchiere a capo del ministero dello sviluppo industriale non è la strada giusta.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén