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Come far ripartire l’economia europea *

La stagnazione dell’Eurozona richiede un’azione politica coordinata tra gli Stati. Tra gli interventi chiave, significativo taglio delle tasse, estensione degli obiettivi di disavanzo di bilancio ed emissione di debito pubblico a lungo termine, acquistato dalla Bce, senza sterilizzazione.

QUANTITATIVE FISCALE INSIEME AL QUANTITATIVE EASING

Il mantra di questo periodo è che, ancora una volta, spetta alla Bce salvare l’Eurozona: il quantitative easing è l’ultimo strumento a disposizione per far ripartire l’economia europea e più la Bce aspetta prima di iniziare a comprare titoli di Stato, più lontana si fa la ripresa. Questa analisi, tuttavia, sopravvaluta il potere della politica monetaria.
La sfida principale che l’Eurozona si trova ad affrontare è la mancanza di domanda aggregata: un problema molto più importante rispetto a squilibri interni o mancanza di competitività in periferia.

Consideriamo alcuni dati. Alla fine del 2013:

• i consumi privati nella zona euro sono stati del 2 per cento inferiori rispetto al 2007;
• gli investimenti privati sono diminuiti del 20 per cento in confronto ai dati registrati nel 2007;
• i prezzi alla produzione sono in calo da oltre un anno.

L’unica nota positiva è l’aumento delle esportazioni di quasi il 10 per cento dalla fine del 2013.
Negli Stati Uniti, invece, Pil e consumi privati sono del 6-7 per cento superiori rispetto a sei anni fa e anche gli investimenti sono più alti del livello pre-crisi.

LA POLITICA MACROECONOMICA NON È PIÙ UNA PREROGATIVA NAZIONALE

Se il problema è la mancanza di domanda, allora la soluzione può essere trovata solo a livello europeo. La politica fiscale è vincolata dal Patto di stabilità e la politica monetaria è nelle mani della Bce. Inoltre, gli effetti di ricaduta tra gli Stati membri fanno sì che uno sforzo coordinato per rilanciare la domanda aggregata siano più efficace rispetto a isolate azioni specifiche di singoli paesi.
Che cosa si può fare quindi per aumentare la domanda aggregata nella zona euro? Da un punto di vista tecnico, la risposta è semplice e ha pochi svantaggi.

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• Tutti i paesi dovrebbero varare un significativo taglio delle tasse, per esempio dell’ordine del 5 per cento del Pil.
• Per ridurre il deficit di bilancio creatosi in seguito al taglio delle tasse, i paesi dovrebbero avere a disposizione un certo numero di anni (almeno tre o quattro) e dovrebbero cercare di raggiungere questo obiettivo attraverso una combinazione di maggiore crescita e minori spese.
• Per finanziare ulteriori deficit, gli Stati membri dovrebbero emettere debito pubblico a lungo termine, con scadenza a 30 anni, per esempio.

Il debito supplementare dovrebbe essere acquistato integralmente dalla Bce, senza alcuna sterilizzazione corrispondente, e gli interessi sul debito dovrebbero essere restituiti agli azionisti della Banca centrale come signoraggio.
Come dimostra la recente esperienza di altri paesi avanzati, la chiave per il successo della gestione della domanda aggregata è in una giusta combinazione di espansione monetaria e fiscale. Il quantitative easing di per sénon servirebbe a molto per rilanciare il credito bancario e la spesa privata: il credito in Europa passa principalmente attraverso le banche e non nei mercati finanziari.
D’altra parte, l’espansione fiscale senza allentamento monetario sarebbe quasi impossibile: il debito pubblico in circolazione è già troppo elevato in molti paesi. Invece, una simultanea espansione monetaria e fiscale stimolerebbe la domanda aggregata sia in modo diretto che indiretto, attraverso un tasso di cambio svalutato. E la conseguente inflazione temporaneamente più elevata sarebbe la benvenuta, in quanto ridurrebbe il problema dell’eccesso di debito e faciliterebbe il raggiungimento dell’obiettivo di stabilità dei prezzi in capo alla Bce.

IL PIANO JUNKER DI INVESTIMENTI PUBBLICI EUROPEI NON È LA SOLUZIONE 

Il nuovo presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha fatto capire che ha intenzione di affrontare la mancanza di domanda aggregata con il lancio di un programma di investimenti pubblici per un valore complessivo di 300 miliardi di euro nei prossimi tre anni: è un piano troppo timido, per diversi motivi.

• Manca la parte di espansione monetaria, il che rende problematico il finanziamento e riduce l’efficacia dello stimolo.
• Un aumento degli investimenti pubblici ha diversi svantaggi rispetto ai tagli fiscali, come ha dimostrato l’esperienza del Giappone.
• Quel che è più importante, serve molto tempo per attuare un piano del genere, mentre è necessario agire subito, non con provvedimenti diluiti in due anni.

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In alcuni paesi, poi, un simile programma rischia di portare a corruzione e cattiva allocazione delle risorse. Alcuni investimenti in infrastrutture europee sono certamente utili e dovrebbero essere finanziati dalla Banca europea per gli investimenti, ma non possono essere dell’ordine di grandezza necessario a superare quella carenza di domanda aggregata che sta affondando l’Eurozona.

OSTACOLI POLITICI

L’ostacolo principale per uno stimolo monetario e fiscale simultaneo non è economico, bensì politico.
Incontrerebbe l’opposizione dalla Germania, e forse di altri Stati membri, perché in contrasto con il principio della separazione tra politica monetaria e fiscale sancito dal Trattato, e perché l’idea che in Europa le tasse siano troppo alte non si accorda con i principi di un’economia sociale di mercato.
Se le obiezioni politiche dovessero impedire un’azione coordinata per rilanciare la domanda aggregata, entro qualche mese la Bce sarà comunque costretta ad avviare un quantitative easing, per cercare di combattere la deflazione. Ma questo non funzionerà. E l’Eurozona rimarrà in depressione, alimentando così sentimenti anti-europei tra i suoi cittadini.

* La versione inglese di questo articolo è disponibile su www.voxeu.com

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19 commenti

  1. Giovanni Teofilatto

    Le unioni distrettuali delle zone di libero scambio necessitano di una maggiore integrazione economica anche di espansione del mercato tale per cui una maggiore rappresentanza dei sindacati delle economie di stato sono funzionali per una crescita collettiva dei redditi dei fattori della produzione: aumento della produzione.

  2. Giovanni V.

    La principale causa della recessione italiana e mondiale è il liquidity/credit crunch, ossia la privazione di liquidità nell’economia reale (soldi per infrastrutture, investimenti produttivi, corsi di formazione e assunzioni, pagamento dei debiti della pubblica amministrazione etc…).
    Oggi gran parte delle tasse va a finanziare gli interessi sul debito pubblico, anziché la spesa pubblica produttiva, mentre le banche non concedono prestiti essendo maggiormente interessate ad operazioni speculative di borsa.

    Se si vuole invertire questa tendenza recessiva, l’unica riforma necessaria da fare è la riforma monetaria e bancaria volta a ridare la sovranità monetaria ai singoli Stati, anziché alle banche private tramite le loro controllate, ossia le Banche Centrali.

  3. Ezio Pacchiardo

    L’economia in questo periodo indica che l’aumento dei prezzi dei prodotti (inflazione) scoraggia gli acquisti dei consumatori, non solo ma induce questi ad un cambio di comportamenti e di consumi, si acquistano cioè prodotti che costano meno anche a scapito della qualità. Inoltre chi può tende a risparmiare per tempi peggiori a causa della poca fiducia nel futuro. L’inflazione quindi sembra non essere il toccasana per la ripresa dei consumi. Forse i consumatori per spendere vorrebbero prima avere fiducia nel futuro, cioè nel lavoro, nella continuità del proprio stato di stipendiati, in un controllo dei prezzi, non che questi corrano all’impazzata. Oggi abbiamo indicazione che i consumatori acquistano di più dove i prezzi sono più contenuti o quando sono addirittura in calo, diversamente non si acquista. E’ anche vero che la prospettiva di calo dei prezzi provoca un differimento nel tempo degli acquisti, ma è anche vero che se i consumatori non vedono il riprendersi del loro potere di acquisto (la loro fiducia) non comprano. Sembra che oltre alle due economie (reale e finanziaria) ci siano anche due diversi modi di intendere: quello della spinta ai consumi dei consumatori generando credibilità e fiducia nel futuro e quello delle operazioni finanziarie che mettono a posto i conti generando fiducia nel mondo finanziario ma forse solo per loro.

  4. Daniele Ferretti

    Sono assolutamente d’accordo su tutto tranne che su di un punto: quello che gli autori vedono come una contrapposizione alle loro indicazioni il Piano Junker. A mio avviso può essere un elemento aggiuntivo di quanto proposto dagli autori nella “cura da cavallo” di cui ha bisogno l’Eurozona per rilanciarsi economicamente e, se regolato da leggi e procedure comuni in tutti i paesi membri, volendola vedere ottimisticamente, anche una straordinaria occasione per lotta alla corruzione e corretta allocazione delle risorse vista la distanza tra erogatori e utilizzatori di risorse. Resta comunque il problema di come convincere la Germania….

  5. Fausto Fanti

    L’unica perplessità’ che nasce nella lettura dell’articolo riguarda l’abbattimento al 100 per cento del ns. Immane debito pubblico.
    Grazie

  6. antonio petrina

    Il premio nobel dell’economia prof Modigliani, in una ricerca del 1998, grazie alla collaborazione del prof Giavazzi (quando era dirigente del tesoro) , individuò la sostenibilità e solvibilità del debito pubblico italiano per tramite degli investimenti che nel quinquennio 1990-95 mancarono, mentre prima di tale periodo erano pari al 3% di Maastricht. Quindi la ricetta di Junker è esatta dal punto di vista economico, criticarla politicamente è un’altra storia! (F.Modigliani,FPadoa Schioppa Kostoris, Sostenibilità e Solvibilità del debito pubblico italiano, Laterza, 1998)

  7. Pif

    Finalmente la caduta dal cavallo dell’austerità espansiva da parte di Giavazzi, queste cose le hanno dette Stiglitz, Krugman ecc.( decine di altri) . da alcuni anni, e chiunque abbia un minimo di conoscenza della macroeconomia e di storia economica c’era già arrivato. Adesso chi glielo spiega alla Merkel e alla Buda che siamo in una crisi da domanda e non ci sono rischi di inflazione?

  8. Marcello

    Stimato professore, lei che è ingegnere dovrebbe aver ben presente il fatto che in natura un sistema chiuso non può crescere all’infinito. Chi lo crede “e’ un pazzo o un economista” ebbe a dire un famoso economista… Il mantra della politica monetaria non è che una faccia del mantra della crescita. Il mantra della decrescita felice è ugualmente un ossimoro, che la decrescita non può essere che infelice. Tutto sta ragionare sulle cause della crisi che forse non dipendono principalmente dalle politiche monetarie o dagli edge funds americani o dall’euro o dalla Merkel o dalla congiunzione astrale sfavorevole ma forse, più semplicemente, dal fatto che le risorse (fisiche) a disposizione del sistema si sono fatte, da una 15na d’anni, via via più costose in termini reali, a fronte dello sviluppo passato e del consolidarsi (specie in Italia) di una serie di rendite di posizione e di una serie di attività a basso o nullo valore aggiunto che diventano via via meno sostenibili. saluto cordialmente.

  9. Bobcar

    Certo che è abbastanza impressionante leggere Giavazzi argomentare a favore di uno stimolo fiscale finanziato dalla Banca Centrale che stampa moneta, comunque resterebbe irrisolto il problema principale, ovvero quello degli squilibri commerciali all’interno dell’eurozona…

  10. M.S.

    Qualcosa non mi è chiaro, e non certo la mancanza di domanda aggregata in sé, ma il come costruire una politica fiscale espansiva. In un mondo ideale, e che funziona, gli investimenti pubblici sono +/- certi (e contro la corruzione si lotta…), mentre la spesa privata aggiuntiva, conseguente ad un generico taglio delle tasse, è incerta. Dove e a chi tagliare le tasse, infatti? Il taglio delle tasse “funziona” solo se libera risorse per acquisti di beni +/- necessari (e ciò accade +/- da subito), non se la moneta è tesorizzata o usata a fini speculativi. Inoltre la domanda aggiuntiva che manca non è forse sopratutto quella non espressa dai disoccupati (in alcuni paesi/regioni) e dai più poveri (che non sono certo equidistribuiti territorialmente)? La mole di bisogni insoddisfatti di queste due categorie, tra cui i giovani, i molto precari, etc etc.., non è forse la più ampia? Investimenti pubblici e/o domanda privata che sia, il punto è dove si investe o a chi si danno maggiori opportunità di spesa. Se la domanda aggiuntiva proviene da stati/politiche che funzionano (e sanno spendere senza corruzione e disastri ambientali) e da privati citttadini non ricchi, non si ha molta inflazione perché entrambi i soggetti (stato e ceti medio bassi), dovrebbero spendere diversificando e con attenzione. Con poca inflazione, inoltre, si mantiene la compètitività estera del continente, mantenendo forte l’incentivo al manifatturiero a produrre in Europa…

  11. Piero

    Il primo problema e’ la riduzione della spesa pubblica del 10%, ciò permetterà la riduzione delle tasse di un pari ammontare.
    Non ha senso finanziare la riduzione delle tasse con il debito, e’ l’errore che ha fatto fino ad oggi l’Italia, il pareggio del bilancio deve essere un dogma per tutti. Gli stati.
    Finanziare con il debito la spesa corrente vuole dire mettere un’ipoteca per le generazioni future.
    Non è vero che il QE non arriva all’economia reale, se la Bce libera gli attivi delle banche dai titoli pubblici, le banche hanno liquidità che può essere investita solo alle imprese o famiglie oppure viene parcheggiata presso la Bce a tassi negativi?
    Giovedì Draghi fa l’annuncio con gli ABS, l’Italia non è pronta, poi quali sono i criteri per i crediti cartolarizzazione, come vengono ripartiti tra i vari paesi?
    Penso che questa misura può servire solo a pulire qualche bilancio delle banche tedesche, non avrà effetti positivi in Italia per il credit crunch.
    Giusto il ragionamento degli Autori, espansione monetaria e fiscale in contemporanea, non sterilizzare gli effetti sulle politiche monetarie espansive, cambio svalutato.
    Difficoltà politiche, ok, per tale motivo gli italiani hanno dato fiducia a Renzi, per farsi sentire in Europa, noto, però con rammarico, che non ha seguito la diffida che Padoan ha dato a Draghi sulla deflazione, anzi al contrario ha fatto un comunicato che ha fatto rientrare la diffida di Padoan.

  12. Maurizio Cocucci

    Personalmente non credo che la Bce avvierà un programma di Quantitative Easing, nè a breve nè in futuro, semmai potrà dare il via alle cartolarizzazioni dei crediti, ovvero gli Abs, a cui sta lavorando la società Black Rock in qualità di consulente della Bce. Il Quantitative Easing avrebbe scarsa efficacia mentre condivido la proposta di ridurre sensibilmente la pressione fiscale dietro tagli e riorganizzazione della spesa pubblica. Gli Stati che hanno effettuato riforme in tal senso (Spagna, Irlanda, Portogallo e anche Grecia) si stanno avviando fuori dalla crisi mentre Francia e Italia rimangono sofferenti perchè finora non hanno fatto nulla di concreto. Concordo che la politica monetaria deve accompagnare misure di politica fiscale ma è quest’ultima che potrà cambiare la situazione, non viceversa. E’ questo che Draghi continua a dire insistentemente, “Fate le riforme e la Bce vi sosterrà!”, oltre a rammentare che i trattati già prevedono margini di flessibilità in cambio di queste. Il presidente Renzi ha annunciato di voler introdurre il modello del lavoro tedesco, questo mi trova completamente d’accordo, ma temo che sarà copiato “à la carte” anzichè integralmente e quindi con risultati diversi da quelli che ha prodotto in Germania.

  13. rob

    ..fare i conti dimenticando l’ oste! Oggi quando parliamo di Europa non possiamo far finta di dimenticare i grandi blocchi geo-politici (Cina Asia-USA- Brasile) i conti non possiamo più farli in casa ma li dobbiamo fare all’aperto. Poichè l’ Europa è un assieme di Stati e territori con problematiche diverse e spesso distanti fare politiche comuni non solo è difficile ma quasi impossibile. l’Europa dovrebbe essere la culla dell’innovazione, dello stato sociale, del ben vivere questo dovrebbe “esportare” l’ Europa. Ma per fare questo occorre coesione e veduta comune degli obiettivi. L’ Italia stato membro, oggi importa manovali ed esporta cervelli come possiamo coesistere con la Germania.

  14. canio trione

    è confortante che si scriva convintamente di riduzione delle tasse come elemento centrale della strategia necessaria per uscire dalla crisi. è altresì confortante che al centro del dibattito non vi siano più asserzioni contabili (pareggi e parametri vari) ma la necessità dello sviluppo. Però la proposta è ancora imprecisa: circa il ruolo della Bce e del QE è inutile fantasticare sul superamento delle imposizioni dei Trattati anche perchè è materialmente impossibile comporre le infinite diatribe che sorgerebbero (quali titoli acquistare? maggiormente italiani o greci? e quanti ogni stato può emmetterne di nuovi?…). Al contrario vanno acquistati titoli rappresentativi di mutui erogati o da erogare a privati in modo che il tasso di interesse effettivamente praticato nelle aree più in difficoltà sia più basso di quello praticato nelle altre. La deflazione va combattuta lì dove c’è con tassi di interesse reali anche negativi se necessario mentre le aree a maggiore inflazione devono pagare un tasso di interesse reale positivo.Sembra elementare ma non lo si ipotizza affatto!
    Altro ragionamento va fatto per il debito pubblico: cambiare debitore (la Bce al posto dei privati) ha un senso ma troppo tenue! serve una operazione sulla natura del debito. Temo però che questo sia un ragionamento troppo complesso per questa sede.

    • Piero

      Fare una politica di QE con titoli privati e’ impossibile, mentre con i titoli pubblici e’ semplice, devono essere acquistati dalla Bce i titoli di tutti gli stati europei che hanno adottato l’euro, proquota la partecipazione alla Bce, si deve partire dai titoli più lunghi, non si devono sterilizzare gli effetti sulla liquidità, la Bce deve tenerli fino alla scadenza. L’ammontare degli acquisti deve essere spalmato in più anni e deve raggiungere un importo complessivo di almeno 4000 mld ( circa 800 annui), naturale che il programma se raggiunge l’obbiettivo nel futuro verrà cessato, quale deve essere l’obbiettivo, riportare sia il cambio verso la parità con il dollaro che portare l’inflazione al 2%.
      Naturale che questa politica monetaria richieda che i singoli stati rispettino il fiscal compact, non avranno più il problema del costo del debito, tutti gli stati avranno gli stessi tassi sul debito pubblico, non vi sarà più lo spauracchio dello spreed, si potranno concentrare sulle politiche di bilancio necessarie che tutti conosciamo, anzi dovranno farle per forza.
      Politicamente i singoli stati si dovranno avviare verso una integrazione fiscale necessaria per il mantenimento dell’euro, la sola politica monetaria non può essere sufficiente a garantire il mantenimento di una moneta unica, come l’euro.

      • canio trione

        purtroppo il QE così come mirabilmente Lei ha concepito ed illustrato non si realizzerà perchè -ripeto- questo è un criterio con moltissimi vantaggi ma che sarà comunque sottoposto alle valutazioni di ognuno e di tutti i membri della UE. In ogni caso è un criterio discrezionale e quindi affidato ancora una volta alla intuizione di quelli che per meriti sconosciuti siedono a decidere di queste cose. Inoltre rimandare la scadenza o cambiare il creditore non cambia la sostanza che come Lei ha ben detto è il fiscal compact e cioè che ci sia una economia (cioè delle imprese che creino valore fuori dal bilancio pubblico) in grado di pagare il conto. Questo pagamento non sarà possibile nè ora nè mai proprio per la esistenza del fiscal compact. L’idea di un fisco unico è un modo per insistere con l’errore che ha portato all’euro e al fiscal compact cioè uniformare delle diversità che non possono essere uniformate; se poi questa uniformizzazione consiste nella imposizione in alcune economie dei metodi di un’altra è la fine. L’esperienza di questi anni dovrebbe insegnare almeno questo. Al contrario serve una concezione opposta e cioè che l’economia reale sia rafforzata da subito per poter rendere sosteninile debito e deficit; ragionare sempre in termini di bilancio pubblico come Lei ha così bene fatto fa confondere l’economia tutta intera con il bilancio pubblico; cosa che è errata tant’è che serve prendere danari proprio dall’economia libera per salvare il bilancio pubblico.

  15. Loris

    Non so se una svalutazione fiscale, compiuta da tutta l’Europa, superi la fiscalizzazione degli oneri sociali che Tabellini ha proposto sul Sole24Ore. Aumentare l’iva è già stato un errore col Governo Letta. Continuare a puntare sulla tassazione indiretta deprime la domanda (vedi caso Giappone). E questo non vale solo in tempo di recessione o crisi prolungata (non a caso l’iva è proprio l’imposta più evasa).

  16. Corrado

    vogliamo vedere quanti soldi saltano fuori se tagliamo la politica centrale, regionale, locale, le pensioni oltre i 3.000 €, le poltrone delle aziende parastatali, i cda delle partecipate, gli stipendi dei burocrati (e non parliamo di quelli da 1.200 €), le superconsulenze dei ministeri a burocrati già stipendiati (tipo magistrati), le authority, gli enti inutili, quelli che ci tassano solo per garantirsi l’esistenza (senza nessun beneficio per l’erario), le missioni all’estero “di pace”, le opere pubbliche inutili (tipo strade che finiscono sulla spiaggia, autostrade deserte, ospedali finiti e mai aperti, stazioni mai utilizzate……), e poi, dipendenti pubblici che timbrano e se ne vanno a fare altro, i loro superiori che non se ne accorgono, i medici che certificano malattie immaginarie, ecc. ecc. ecco, vorrei vedere quanti sarebbero i soldi che risparmiati in questo modo, potrebbero essere reinvestiti per il rilancio dell’economia, dei consumi, per l’aumento degli stipendi base, le pensioni al minimo, ed i tagli alla fiscalità del lavoro, ecco! vorrei proprio vedere……(mi sa che devo aspettare ancora un po’)

  17. Alberto

    Se si vogliono ridurre le tasse e promuovere al contempo lo sviluppo c’è una sola via: la BCE dovrebbe acquistare da tutti gli Stati una percentuale prestabilita del debito pubblico (30 – 40%) a tasso zero o addirittura negativo con restituzione in 40 – 50 anni. In cambio gli Stati si dovranno impegnare a ridurre o a non aumentare per lo stesso periodo il debito stesso.

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