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Il capitale bancario che fa la differenza

La Bce invita le banche a maggiori accantonamenti per far fronte a crediti dubbi. Un ulteriore ostacolo alla diffusione del credito? Basterebbe seguire l’esempio delle banche di credito cooperativo. Gli utili, i vantaggi di un’industria bancaria più patrimonializzata e i malumori delle fondazioni.
REQUISITI PATRIMONIALI E STRETTA DEL CREDITO
Una missiva inoltrata dalla Bce alle principali banche europee, di cui ha riferito recentemente Il Sole-24 Ore, ha riaperto il dibattito sugli effetti di una vigilanza bancaria troppo stringente. In base a quanto diffuso dalla stampa, la lettera della Bce invita le banche a recepire, nei bilanci 2014, gli effetti dell’asset quality review (Aqr), soprattutto in termini di maggiori accantonamenti per crediti dubbi. In caso contrario, le banche dovranno attenersi a soglie in termini di requisiti di capitale più alte rispetto alla normativa vigente. Alla luce dei non brillanti risultati nei test condotti da Bce ed Eba per alcuni istituti italiani, tutto ciò implica il raggiungimento di obiettivi temporanei in termini di ratio patrimoniali molto elevati. La reazione di alcuni analisti alla sola remota ipotesi di chiedere agli istituti di credito obiettivi di capitale ancor più sfidanti è stata di netta contrarietà. La tesi che molti sostengono è che l’aumento dei requisiti patrimoniali possa determinare automaticamente la riduzione degli spazi per la ripresa del credito, aggravando ulteriormente il credit crunch. Ciò può essere vero nel brevissimo termine, qualora l’innalzamento dei requisiti fosse troppo brusco; in tal caso, per poter rispettare i nuovi vincoli le banche tenderebbero ad attuare strategie di deleveraging, ovvero ridurrebbero gli impieghi, investendo di più nei titoli di Stato, al fine di diminuire le attività che assorbono più capitale e migliorare in tal modo i ratio patrimoniali. Escludendo però azioni troppo repentine sui requisiti patrimoniali (al riguardo va ricordato che Basilea 3 prevede una lunga fase di implementazione che terminerà nel 2019), avere un’industria bancaria più patrimonializzata è senz’altro un beneficio per un sistema economico, perché facilita la diffusione del credito. La letteratura economica al riguardo è sufficientemente concorde nell’indicare come banche più patrimonializzate siano in grado di assorbire meglio gli shock che si verificano sul mercato, riuscendo così a svolgere la loro funzione di sostegno all’economia reale (si veda per una rassegna comitato di Basilea, 2011). Viceversa, banche sotto-patrimonializzate sono costrette a ridurre l’erogazione di credito nel momento in cui si verifica uno shock, quale la crisi finanziaria più recente. Un’analisi condotta da due economisti della Banca d’Italia (Albertazzi e Marchetti), basata su un campione di singoli finanziamenti bancari erogati a imprese italiane nel periodo successivo al default di Lehman Brothers, mostra proprio come le imprese che avevano rapporti di credito con banche poco patrimonializzate siano state quelle che hanno subito di più la stretta creditizia (recentemente ho posto in evidenza come esista una relazione positiva tra i coefficienti di patrimonializzazione dei diversi paesi europei e la dinamica del credito per l’intera area euro). Cosa fare allora per rompere il circolo vizioso del credit crunch che attanaglia l’Italia da diversi anni? Imporre alle banche italiane di emettere nuove azioni? Molti banchieri avrebbero probabilmente un sussulto, soprattutto dopo i tanti sforzi fatti durante il 2014. Alcuni, poi, obietterebbero che le condizioni di mercato non permettono di chiedere nuovamente altri capitali. In realtà, esiste un’altra possibilità.
IL BUON ESEMPIO DELLE BCC
La crescita del patrimonio delle banche può infatti avvenire attraverso l’emissione di nuove azioni o mediante un più ampio accantonamento a riserva degli utili generati su base annua. Quest’ultima strada è proprio quella percorsa dai piccoli istituti di credito, costituiti essenzialmente dalle banche di credito cooperativo (Bcc) che in base al Testo unico bancario devono destinare a riserva almeno il 70 per cento dei profitti netti annuali. Ciò ha permesso a queste banche di accrescere il capitale, dal 2010 al 2013 (ultimo dato disponibile), di quasi il 20 per cento, contro il 9 per cento delle banche grandi, garantendo in tal modo le risorse necessarie a sostenere la dinamica del credito, cresciuto nello stesso periodo dell’1,1 per cento, contro la flessione dello 0,8 per cento delle banche grandi. Portare a riserva una quota crescente di utili sarebbe auspicabile vista anche la natura estemporanea dei profitti attualmente generati dall’industria bancaria, soprattutto dei paesi periferici. Un contributo fondamentale ai risultati bancari, pur non brillanti, è legato infatti alla politica monetaria accomodante attuate dalla Bce. Poter rifinanziarsi a tassi pressoché nulli, senza limiti di importo, quando invece il rischio percepito dai mercati è ben più elevato, ha permesso forti risparmi finanziari. Inoltre, le azioni volte a contenere il rendimento dei titoli di Stato, attività che abbondano nei bilanci bancari, hanno generato grandi plusvalenze che potrebbero ulteriormente consolidarsi nel momento in cui la Bce avvierà il quantitative easing. Dal 2007 al 2013 i dividendi distribuiti dal sistema bancario sono stati pari a oltre 40 miliardi di euro (grafico 1), un ammontare superiore agli aumenti di capitale avvenuti nello stesso periodo: è chiaro che una politica dei dividendi più accorta avrebbe permesso di colmare buona parte del gap dei ratio di patrimonializzazione che ci separa dagli altri paesi europei e, soprattutto, avrebbe evitato un credit crunch della portata osservata in Italia.
Grafico 1 – Ammontare dei dividendi distribuiti dalle banche italiane in miliardi di euro
graf1
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia.
L’obiezione che alcuni potrebbero però sollevare è la seguente: come poter attrarre capitali se non si possono remunerare adeguatamente gli azionisti? Un’azienda che non distribuisce dividendi sarebbe destinata a perire abbattuta dai mercati e sarebbe un clamoroso esempio di insuccesso, in base a questa visione. Possiamo forse dire che Apple è un esempio di insuccesso, essendo la società più capitalizzata al mondo con oltre 700 miliardi di dollari? Tutt’altro e ciò nonostante il fatto che non distribuisce utili ai suoi azionisti. Quest’ultimi sono ovviamente ben contenti del loro investimento, che possono monetizzare in qualsiasi momento semplicemente vendendo azioni sul mercato. Sicuramente chi non sarebbe contento di rinunciare al flusso annuo dei dividendi sarebbero le fondazioni bancarie, che hanno ancora un’influenza determinante sulle grandi banche. Queste istituzioni “vivono” della remunerazione del capitale investito prevalentemente nella banca conferitaria. Passo fondamentale per aprire le porte dell’azionariato bancario e irrobustirne il patrimonio è che le fondazioni escano definitivamente dalle “stanze dei bottoni”, facendo subentrare nuovi azionisti (anche esteri) di controllo. La recente normativa sul voto plurimo per gli azionisti di lungo termine, prevista dal decreto competitività, va però nella direzione esattamente contraria.

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  1. bob

    non entro in meriti tecnici ( ma le equazione che lei pone ci vuole poco per comprenderle) ma vorrei solo testimoniare i danni che il sistema bancario sta commettendo sul quelle poche attività produttive che ancora sorreggono questo Paese. Nessuno parla di un sistematico genocidio commesso proprio verso le aziende sane unica risorsa per cercare di colmare i difetti strutturali di aziende ormai decotte: la banche! Puntare il dito contro le Fondazioni non fa che confermare quanto io sostengo. La Fondazione non è altro che il braccio-politico che la politica stessa ha messo dentro le aziende-banche. La Fondazione decide le carriere, decide le assunzioni, conserva privilegi medioevali. Per capire di cosa parliamo basta pensare ad una Fondazone ed a Apple per capire la distanza di mentalità secolare che divide il nostro mondo dal mondo globale di cui noi “tentiamo” di farne parte. Provate ad esporre un piano industriale a qualsiasi funzionario di banca? Vedrete nella Sua faccia l’ assenza totale di una persona che è stata messa li e che non sa lontanamnete cosa vuol dire: mercato, cultura d’azienda. cliente, progetti etc. La natura delle Fondazioni ha fatto si che la banca fosse una corporazione che garantisse privilegi a pochi, terrorizzata per sua natura dalle innovazioni. Come può un sistema del genere sopravvivere nel mondo attuale? Non sopravviverà ma farà danni incalcolabili proprio verso quella parte del Paese sana, giovane, vitale che ancora ci fa stare in piedi

  2. 1 – I dividendi distribuiti dalle banche dal 2008 al 2013 sono stati irrisori. Se possedesse azioni di banche se ne sarebbe amaramente accorto.
    2 – Quelle che chiama grandi banche sono i gruppi bancari, voluti dai Governi, che sono inutili all’economia italiana.
    3 – Togliere il 100% del capitale bancario alle Fondazioni è stata la causa principale delle lesioni irreversibili al sistema bancario, provocate dai Governi.

    • bob

      d’ accordo che le Grandi Banche sono virtuose crezioni dei Governi. D’ accordissimo che non servono all’ economia italiana a mio avviso per le considerazioni da me fatte. Ma lei è favorevole alle Fondazioni? Non sono state le stesse Fondazioni ( politiche/governative) la “causa principale delle lesioni irreversibili al sistema bancario…”? Lo trovo contradditorio se lei distingue Fondazioni/ Governo

  3. Daniele Corsini

    A) la distribuzione dei dividendi negli anni sia grassi che magri risente del peso delle popolari, settore che altri paesi hanno in misura meno marcata, vero elemento strutturale di dispersione di risorse. Su 14 banche sistemiche, 9 sono cooperative!
    B) le BCC non possono essere portate ad esempio dato la minore svalutazione dei crediti con la quale nel tempo hanno sostenuto indirettamente gli aumenti patrimoniali
    C) vengono trascurate le inefficienze delle macchine operative, fonti di sprechi soltanto a pensare al gigantismo delle reti e del personale perseguito fin dopo l’inizio della crisi
    D) che dire infine dei bassi investimenti in tecnologia e del mantenimento di processi obsoleti? Si pensi solo ai servizi di pagamento che ci vedono ultimi in Europa.
    Sintesi: il sistema bancario italiano necessita di una profonda riconversione industriale, vera garanzia per recuperare patrimonio, competitività e quindi disponibilità al credito.
    Basta con questo vittimismo delle regole europee che ci avrebbero danneggiato e di affermazioni sempre più di maniera circa la solidità del sistema. Un sistema è solido se fa ciò che è deputato a fare, vale a dire, nella fattispecie, credito. C’è di buono che sta cominciando un’altra storia che vedrà vigilanti e vigilati costretti a cambiamenti assoluti nei consolidati e non sempre esaltanti modi di essere. Good morning Italian Banking System!

  4. Beniamino

    D’accordissimo che le Fondazioni a capo delle Banche sono quanto di peggio ci possa essere, rappresentando l’esempio peggiore di quello che può nascere dalla commistione tra politica, interesse, clientelismo, nepotismo, mancanza di merito, …
    Però non ci dobbiamo neppure dimenticare dei Supermanager che hanno massimizzato (detto elegantemente) o meglio spolpato le ricche banche italiane vendendo ai propri clienti polizze e gestioni patrimoniale fondi di fondi e obbligazioni strutturare e unit linked e… chi ne ha più ne metta e guadagnando, sulle spalle dei clineti, le commissioni nel breve, ma facendo un pessimo servizio nel lungo provocando una giusta (purtroppo tardiva) reazione nei clienti.
    Mi riferisco, su tutti, in particolare ai Sig.ri Profumo e Passera che, dopo aver diretto le maggiori Banche Italiane, attualmente hanno ancora incredibilmente ruoli di primaria importanza (rispettivamente MPS e addirittura in politica come Ministro).
    E’ incredibile come in Italia chi ricopre questi ruoli di grandissimo potere ne esca sempre, malgrado gravi responsabilità sotto gli occhi di tutti, e stipendi e liquidazioni milionarie, come un grande statista.
    E comunque non sono sicuramente messe meglio le altre Banche più piccole
    Mancano la Responsabilità e la Meritocrazia in ogni ordine e grado!

  5. francesco

    l’elogio al sistema cooperativo di piccoli istituti bancari e le sue critiche alle banche maggiori sono condivisibili (discorso delle fondazioni, discorso dei dividendi, ecc.) però ho un dubbio.
    Siccome, al di là della retorica, i bilanci bancari in Italia da qualche anno e per qualche anno si faranno sugli accantonamenti crediti, potrei sbagliarmi ma la sensazione è che i processi che hanno seguito le big (tipo Intesa e Unicredit) sulle svalutazioni da crediti inesigibili siano più rigorosi di quelli delle banche minori. Essendo giustamente sotto una vigilanza più attenta e rigorosa è chiaro che viene meno quella discrezionalità che ancora è permessa sugli accantonamenti ai micro-istituti i cui bilanci rischiano di portare a nuovo utili che in realtà non esistono perchè frutto di non-accantonamenti che i big hanno coperto con aumenti di capitale, rari nel mondo cooperativo.
    Al netto dei giusti discorsi su fondazioni, manager, ecc. ecc., è la faccia della medesima medaglia. Anzi, chi ha seguito il processo “svalutazioni + aumento di capitale” ha fatto una scelta di trasparenza che è doverosa.

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