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Quante e quali munizioni per il bazooka

L’architettura scelta per il Qe europeo lascia aperti alcuni interrogativi. Meglio sarebbe procedere attraverso una sorta di grande cartolarizzazione, che permetterebbe di rendere quasi privi di rischio di credito i titoli acquistati, senza alcuna mutualizzazione delle perdite.
L’ARCHITETTURA DEL QUANTITATIVE EASING EUROPEO
John Maynard Keynes avrebbe appoggiato il Quantitative easing della Bce. Del suo Treatise on Money nel 1930 colpisce soprattutto la preveggenza, nel punto in cui solleva il problema che la Banca centrale europea si è trovata di fronte 85 anni dopo. A proposito dei limiti che una banca centrale avrebbe potuto trovare in un intervento di acquisto dei titoli, Keynes notava infatti che il problema era avere a disposizione abbastanza munizioni del tipo giusto. Ed è proprio la questione che hanno dovuto affrontare gli esperti della Bce, che l’hanno solo aggirata senza trovare la soluzione. È il problema del “come” è stato fatto il Quantitative easing.
La discussione su come fare il Qe è stata sovrastata dalla questione della condivisione o meno dei rischi. Mentre il termine risk-sharing indicava un modo mal posto di porre il problema (poiché la politica monetaria non ha niente a che vedere con l’allocazione dei rischi), la questione era reale. Ed era la qualità delle munizioni da utilizzare e se ce ne fosse un ammontare sufficiente. Il limite era infatti che di munizioni prive di rischio in Europa non ce ne sono abbastanza. Di fronte a questo ostacolo, la scelta è semplice: accontentarsi di munizioni di qualità inferiore o ripulirle per estrarne di sicure. Fuori metafora, la scelta è tra fare politica monetaria con titoli con rischio di credito, o utilizzare qualche meccanismo per ripulire questi stessi titoli dal rischio di credito.
L’architettura finale del Qe europeo di fatto ha dato l’impressione di risolvere il problema, ma in realtà ha semplicemente scelto la prima strada: fare politica monetaria con tutte le munizioni a disposizione, quelle buone e quelle scadenti.
L’unica innovazione è dove saranno riposte le munizioni: per l’80 per cento saranno nei silos delle banche centrali nazionali e per il 20 per cento nella fortezza centrale di Francoforte. Su tutte regna la regola “pari passu”, e cioè che, in caso di fallimento o ristrutturazione del debito di uno dei paesi, il sistema europeo delle banche centrali assorbirà la stessa percentuale di perdita dei privati.
Questa struttura lascia aperti due interrogativi. Il primo è come saranno allocate le munizioni tra le banche centrali nazionali. La prima idea che viene in mente è che ognuno abbia le armi che la storia del suo paese gli ha riservato: i Btp per Banca d’Italia, i Bund per la Bundesbank, gli Oat per la Francia e così via.
Ovviamente, la scelta è sommamente inefficiente, perché concentra i rischi nelle banche centrali locali. Una scelta più oculata di diversificazione è comunque esclusa perché mischiare le munizioni nei silos riattizzerebbe la querelle da condominio sollevata da Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank. Per questo è molto probabile che la struttura dell’Eurosistema delle banche centrali somiglierà a uno degli alberi della gomma che si trovano nel deserto rosso australiano: in mancanza d’acqua può far morire i suoi rami e continuare a sopravvivere.
La struttura del sistema delle banche centrali solleva problemi interessanti per la ricerca. Cosa succederà tecnicamente se una banca centrale dovesse fallire? E quante banche centrali potranno esser lasciate fallire prima di far fallire l’intero sistema? Ci potrà essere un effetto contagio? Ma quello che ora è sicuro è che il default di uno Stato decurterà l’attivo del sistema delle banche centrali. Avremo quindi un sistema di banche centrali con un attivo aleatorio, cioè con un ammontare futuro del quale non si potrà fornire un valore preciso, ma solo una distribuzione di probabilità.
MEGLIO UNA GRANDE CARTOLARIZZAZIONE
In un lavoro in uscita in questi giorni (Cherubini-Violi, “Government Bonds Ammunition for the ECB Quantitative Easing”), abbiamo misurato l’aleatorietà del Qe. Rimandando al lavoro completo per i dettagli tecnici, riportiamo qui i principali risultati, ottenuti utilizzando dati sui Cds sovrani rilevati alla fine dell’anno scorso.
Assumendo un Qe di mille miliardi attuato utilizzando la capital key (cioè un portafoglio di titoli uguale alle quote di partecipazione nel capitale Bce), la perdita attesa da rischio di credito, su un orizzonte di cinque anni, è di 42,6 miliardi. Sempre sullo stesso orizzonte, la probabilità che ci sia almeno un default, e cioè che l’attivo del sistema delle banche centrali si riduca, è superiore al 31 per cento. La probabilità di un evento catastrofico, con default di tutti i paesi, è intorno all’1,21 per cento, molto vicina alla probabilità di default della Repubblica tedesca.
Il quadro può essere considerato non preoccupante, ma molto probabilmente i titoli di Stato dell’area euro non sono quelli che Keynes riteneva del “tipo giusto” per la politica monetaria. Inoltre, nella stessa frase Keynes sollevava anche il problema dell’impatto di mercato degli interventi della banca centrale, cioè la possibilità “di continuare a comprare e vendere” questi titoli. Per alcuni mercati di dimensione ridotta, la possibilità che la politica di acquisto inneschi “bolle” è reale, e Mario Draghi, in risposta a una domanda in conferenza stampa, ha dichiarato che la Bce è consapevole del problema e sta in guardia. Il rischio però resta e non è uniforme per tutti i paesi.
Si sarebbe potuto fare di meglio? Senz’altro sì, e forse c’è ancora tempo per correggere il tiro e perfezionare l’iniziativa. L’idea è molto semplice, ed è quella di una grande cartolarizzazione. Le banche centrali del sistema potrebbero conferire i titoli a un veicolo, che potrebbe acquistare altri titoli direttamente sul mercato. Il veicolo finanzierebbe il tutto emettendo due tipi di titoli (tranche): il primo, junior, dovrebbe assorbire eventuali perdite fino al 30 per cento; il secondo, senior, assorbirebbe le perdite a partire da questa soglia (in gergo, attachment). Il livello di 30 per cento è un esempio, giustificato dal fatto che è il livello di protezione tipico delle emissioni senior di cartolarizzazione di crediti privati, ammesse anch’esse (sotto opportuni requisiti di trasparenza) al Qe. Rimandiamo comunque al lavoro in uscita per i risultati con soglie diverse. Questa strategia consentirebbe di rendere praticamente privi di rischio i titoli utilizzati per il Qe. La perdita attesa su mille miliardi sarebbe infatti di 7,5 miliardi, un sesto di quella di oggi. Ancora più importante, la probabilità che l’attivo del sistema delle banche centrali subisca una perdita entro i prossimi cinque anni sarebbe di poco superiore al 5 per cento.
In conclusione, verrebbero così create le “munizioni” che Keynes raccomandava. Da un lato, i titoli da utilizzare per la politica monetaria sarebbero praticamente privi di rischio, e invece di essere dispersi su mercati segmentati costituirebbero un unico grande mercato omogeneo, e ampiamente liquido. Dall’altro lato, non ci sarebbe alcuna mutualizzazione delle perdite, e i paesi potrebbero ancora fallire. Anzi, se anche la Bce conferisse i suoi titoli al veicolo, ci sarebbe anche meno condivisione del rischio di quella che c’è oggi, per la gioia di Weidmann.
L’unica domanda è chi sottoscriverebbe i titoli della tranche rischiosa, cioè quella che assorbe la prima percentuale di perdite. Per i dettagli sul rischio di questi titoli rimandiamo al nostro articolo, ma possiamo sintetizzare il risultato fondamentale dicendo che, nel caso della soglia al 30 per cento, avrebbero uno spread simile a quello del Portogallo. Si creerebbe quindi anche un mercato di titoli per fondi sovrani e investitori istituzionali, anch’esso grande, omogeneo, e liquido: un mercato che rappresenterebbe una preziosa fonte di informazione e un termometro importante sullo stato dell’unione (europea).
 
 

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Il Punto

  1. Ma verrebbe meno il rapporto fra la politica fiscale dello stato e le possibili perdite patrimoniali derivanti
    dal dissesto della sua banca centrale. In altri termini verrebbe meno la compatibilità rispetto agli incentivi, la mutualizzazione favorirebbe la tendenza alla irresponsabilità finanziaria dei paesi più deboli.

  2. Piero

    L’Autore dell’articolo consiglia di dividere i rischi nel mondo cone ha fatto l’America nel 2008. Questo non è il compito della Bce, essa deve fare solo la politica monetaria, ha fatto bene con il QE, doveva essere fatto prima che la crisi finanziaria si propagasse nell’economia reale, poi è giusto e corretto l’intervento della Bce, senza acquistare nulla già ha ridotto i tassi allo zero, gli speculatori vista la determinazione della banca centrale si guardano bene di fare scommesse.

  3. Michele Arslan

    Non condivido l’impostazione dell’articolo. L’analisi mi sembra pervasa da una fissazione sul rischio di default, mentre trascura che il QE non è uno strumento per combattere fallimento degli stati, reprimendo un attacco speculativo, bensì uno strumento genuinamente di politica monetaria, per quanto atipico. La vera domanda che uno dovrebbe porsi è: ma il QE funziona? Perché quello è il primo vero punto da affrontare. Se il QE funziona, sicuramente non c’è bisogno di alcuna munizione!
    Per non parlare del fatto che, con uno schema di cartolarizzazione come quello suggerito (peraltro, spiegato in modo poco chiaro, ma forse per limiti di spazio) l’eurosistema rinuncerebbe presumibilmente al profitto derivante dal QE, per pagare i detentori delle tranche Junior.
    Anche poi volendo inseguire l’autore sul suo terreno, quello del rischio di credito, c’è una considerazione che lo attenua, ma che viene completamente ignorata nell’argomentazione: se anche dovesse subire delle perdite, una Banca Centrale nazionale ha degli asset con cui ricapitalizzarsi! Si tratta di asset on-balance sheet (per esempio, nel caso della Banca d’Italia, le riserve auree) e – ancor più importanti – asset off-balance sheet (la titolarità al NPV del signoraggio dell’ECB, in misura della propria capital key). Cordialmente.

    • Piero

      Per farlo funzionare in Italia, considerato l’elevato ammontare dei crediti deteriorati delle banche causato dal ritardo dell’attuazione della vera politica monetaria espansiva della Bce, deve intervenire Renzi con il fondo centrale di garanzia.
      Si deve ripristinare la fiducia tra banche e imprese.

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