La proposta di direttiva comunitaria prevede importanti modifiche nella regolamentazione dei fondi pensione. Avremo un mercato più aperto e concorrenziale, capace nel lungo periodo di sostenere le economie. Per i fondi italiani è un’opportunità purché si prepararino ad affrontare le nuove sfide.
I fondi pensione: una partenza difficile
La previdenza complementare ha uno strano destino: tutti, e ormai da tempo, ne parlano come di un pilastro fondamentale del sistema pensionistico. E, almeno guardando agli ultimi anni, sembra anche essere conveniente. In futuro, poi, ci sarà sempre più bisogno di fondi pensione, che farebbero un gran bene anche ai bisogni finanziari di una economia sempre più assetata di investitori “pazienti” e di lungo periodo.
I fondi, però, stentano a decollare: secondo recenti rilevazioni alla previdenza complementare risultano iscritti 6,2 milioni di lavoratori, e negli ultimi tempi la crisi ha morso: quasi un milione ha sospeso i versamenti o chiesto anticipazioni. Un numero di adesioni non trascurabile, ma inferiore alle originarie aspettative e al dato emergente dal confronto internazionale.
Gianfranco Cerea lancia alcune utili proposte per incentivare il ricorso alla previdenza complementare, ma è necessario pensare anche a un complessivo riassetto della disciplina dei fondi, per renderli più efficienti e quindi adeguati nel sostenere e coinvolgere una quota maggiore del risparmio pensionistico.
La direttiva comunitaria: più mercato e concorrenza
Su questo terreno interviene la nuova proposta di direttiva sui fondi pensione (IORP2), con rilevanti innovazioni che trasformano lo scenario della previdenza complementare.
La direttiva rimuove gli ostacoli allo sviluppo dell’attività transfrontaliera dei fondi, valorizzando il principio del mutuo riconoscimento, e impone particolari vincoli di trasparenza: in maniera semplice e lineare occorrerà fornire agli aderenti un prospetto delle prestazioni pensionistiche, attraverso un documento standard facilmente comparabile, dove sono richiamati oltre ad alcuni elementi (ad esempio, la posizione dell’aderente e i costi di gestione) anche le proiezioni delle prestazioni pensionistiche. In sostanza, come accade per le pensioni pubbliche attraverso la cosiddetta busta arancione di prossima attuazione, anche nella previdenza complementare si potrà avere a disposizione uno strumento informativo che consente di valutare gli scenari pensionistici e quindi di verificarne la coerenza con gli obiettivi lavorativi e di vita.
Si tratta di un elemento di fondamentale importanza soprattutto in un contesto sociale dove spesso i futuri pensionati non hanno la reale consapevolezza, e la cultura finanziaria, per poter programmare le proprie scelte di risparmio. D’altronde, una delle ragioni della scarsa adesione ai fondi nel nostro paese risiede proprio nella diffidenza, coniugata a un basso tasso di educazione finanziaria, di molti lavoratori. Conoscere nel dettaglio e con informazioni sintetiche le caratteristiche delle prestazioni e l’evoluzione futura, confrontandola con tutta l’offerta pensionistica, pubblica e privata, sarebbe comunque un buon passo avanti verso la realizzazione di un sistema fondato su maggiore partecipazione e consapevolezza dei suoi destinatari.
Sono evidenti le conseguenze derivanti dalla combinazione di questi due fattori. Si potranno sviluppare forme di previdenza utilizzabili in più stati membri, con una maggiore comparabilità delle prestazioni, sviluppando un mercato della previdenza complementare più efficiente e più concorrenziale, anche nei confronti del primo pilastro. E inevitabilmente potranno maturare processi di consolidamento, con la nascita di operatori con rilevanti masse gestite, processi nei cui confronti sarebbe auspicabile che anche i fondi italiani cominciassero ad attrezzarsi, per non subirli passivamente.
La governance e gli investimenti
La direttiva compie, poi, altri due passi importanti: da un lato cerca di rimuovere i vincoli alle attività a lungo termine in mercati non regolamentati, e quindi di fatto amplia il teatro delle possibili scelte di portafoglio, ma dall’altro rafforza e valorizza le strutture di governance.
Anche in questo caso è chiaro il collegamento tra i due passaggi: in un mercato sempre più esposto a pericoli di instabilità, operatori capaci di tenere la barra, dalla “vista lunga” parafrasando il famoso libro di Tommaso Padoa Schioppa, debbono necessariamente attrezzarsi sul terreno delle capacità professionali e di solidi sistemi di controllo interno.
Guardando tra le mura di casa nostra, le carenze negli assetti di governo dei fondi sono studiate già da tempo, e sebbene di recente siano stati ampliati e semplificati i limiti di investimento, è emerso che in realtà anche i precedenti limiti di investimento non sono stati sempre appieno sfruttati, a testimonianza del fatto che impegnative politiche di gestione del rischio per coniugarsi con gestioni “sane e prudenti” richiedono – ed è appunto questa l’impostazione della direttiva – efficaci sistemi di risk management, elevate professionalità e presidi idonei a valutare l’adeguatezza delle procedure operative.
La proposta di direttiva deve ancora passare il vaglio del Parlamento, ma le finalità e le linee direttrici sembrano ormai ben definite: sarebbe un gran bene che, per la definitiva maturazione del nostro secondo pilastro, rientrassero subito nell’agenda delle riforme.

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