La valutazione con metodi rigorosi degli effetti delle politiche pubbliche è indispensabile per far sì che le scelte siano le migliori possibili. E varie amministrazioni potrebbero dare il buon esempio. Ma gli interventi finanziati con i fondi europei sono un’occasione da non perdere.
L’esperienza internazionale
Negli ultimi venti anni gli economisti hanno adottato metodi sempre più rigorosi per la valutazione degli effetti di una politica. La valutazione, che fa uso in maniera diretta o indiretta del metodo sperimentale, potrebbe beneficiare enormemente la qualità dei programmi pubblici.
Gli esempi di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti e nel Regno Unito sono molto istruttivi. L’enfasi posta dall’amministrazione Obama sull’evidence-based policymaking (politiche basate sull’evidenza empirica) ha determinato un deciso avanzamento dei programmi la cui efficienza è documentata, a scapito di quelli inefficienti o i cui meriti non sono stati indagati. A Londra il What works centre for local economic growth sta compiendo una rassegna sistematica degli studi valutativi sugli effetti delle varie politiche attuate per sostenere lo sviluppo locale, al fine di fornire ai decisori pubblici una base conoscitiva adeguata per scegliere tra interventi alternativi.
E in Italia?
Nel nostro paese vi è una forte ritrosia da parte delle amministrazioni pubbliche a prendere decisioni basate sull’evidenza empirica. Molte volte vengono attuate politiche per cui non è stato stabilito nessun obiettivo chiaro e misurabile. Spesso gli obiettivi vengono definiti in termini di percentuale dei partecipanti al programma (ad esempio, coinvolgimento di disoccupati nei corsi di formazione) piuttosto che di benefici economici ex-post per questi ultimi (quali il miglioramento delle loro prospettive occupazionali). Raramente ci si chiede se attuando una certa politica non si corra il rischio di includere tra i beneficiari anche coloro che, pure in sua assenza, avrebbero raggiunto quel risultato. Del tutto assenti sono valutazioni che tentino di quantificare i benefici di un certo intervento e di compararli ai costi.
In sostanza, o non si fa valutazione oppure ci si affida a una valutazione “qualsiasi” che assorbe risorse senza creare alcuna informazione attendibile. Eppure, l’esigenza di migliorare l’efficienza dell’azione pubblica è sempre più pressante, dati gli stringenti vincoli di bilancio e la necessità di rilanciare la crescita economica.
Le cause di questa situazione sono di varia natura, ma certamente contribuisce la generale difficoltà dei rappresentanti politici nel definire interventi che soddisfino interessi generali a scapito di quelli che avvantaggiano i gruppi di riferimento.
In Italia manca una tradizione di raccolta dei dati, come avviene invece in altri paesi, la cui disponibilità è indispensabile per una valutazione seria. Vi è forse anche una certa diffidenza verso i soggetti o gli enti che dispongono delle competenze che dovrebbero supportare il decisore politico. Talvolta, manca la necessaria lungimiranza in sede di progettazione della policy poiché è in questa fase che bisogna rispettare determinati criteri per poter poi effettuare valutazioni rigorose. Eppure, non mancano iniziative che mostrano ai decisori pubblici i vantaggi derivanti dall’adozione di pratiche rigorose di valutazione: ad esempio, Irvapp di Trento e Progetto valutazione di Torino.
Che fare?
L’adozione di pratiche rigorose di valutazione da parte dell’intero settore pubblico potrebbe essere fortemente incoraggiata se un pezzo dell’amministrazione desse il buon esempio. Ovvero: decidesse di valutare gli effetti di alcuni dei propri interventi (affidandosi a soggetti terzi), raccogliendo i dati necessari e mettendoli a disposizione della comunità scientifica, pubblicizzandone i risultati e legando poi le successive decisioni di finanziamento ai risultati della valutazione. Siamo convinti che le buone pratiche possano essere contagiose e che il buon esempio possa poi diffondersi con facilità.
Poiché sono tanti i campi in cui il settore pubblico finanzia interventi di cui si ignorano gli effetti, altrettante sono le amministrazioni in astratto candidate a fare da apripista. Un buon punto di partenza potrebbero essere le politiche per la coesione territoriale.
Partire da questi interventi potrebbe essere auspicabile, per una serie di motivi.
- Sono politiche di rilievo all’interno dall’agenda complessiva di politica economica, visto il tradizionale dualismo dell’economia italiana.
- Il dibattito pubblico sul ruolo del fondi europei è fuorviato dalla preoccupazione sulla capacità di spenderli. Poco si sa se alla spesa corrispondono benefici socio-economici per i territori finanziati, oppure conseguenze non previste.
- Il momento è quello buono. Siamo ora nella fase di programmazione degli interventi per il periodo 2014-2020. Se si vuole procedere con la valutazione, è auspicabile deciderlo ora.
*Le idee e le opinioni sono di esclusiva responsabilità degli autori e non impegnano quella delle istituzioni di appartenenza.
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Roberto De Vincenzi
A mio parere, i motivi del ritardo dell’Italia nella cultura e nella pratica di valutazione (di risultato o di efficacia, nel senso di misurazione/stima degli effetti di una politica o programma) sono da diversi anni noti e dibattuti. La pubblicazione del 2011 titolata “Sono soldi ben spesi” di Trivellato e Martini sintetizza in modo efficace le principali ragioni, offrendo nel contempo utili indicazioni per risolvere alcuni ritardi. Anche io, nel mio piccolo, ho tentato di approfondire (cfr. Espanet 2014) alcuni meccanismi culturali (nella comunicazione pubblica) e alcuni particolarismi dei settori formazione professionale e servizi per il lavoro (interessi economici ed elettorali su scala regionale) che riducono a zero, o quasi, la possibilità di impiantare (a monte dell’attuazione della politica o programma) un’azione di valutazione scientifica degli effetti. In ultimo credo che il ricorso alle metodologie di riferimento (sperimentale o quasi-sperimentale) sia già praticabile oggi. Sia in riferimento all’eterogeneità delle forme d’intervento che le politiche assumo nei diversi contesti locali (disegno valutativo tarato sui “differenziali di efficacia”, relativamente più fattibile), sia in riferimento all’esistenza di base dati individuali sufficientemente strutturate (archivio studenti, comunicazioni obbligatorie, archivi regionali politiche attive e servizi per il lavoro, archivi Inps, per citare i più utili); ovviamente (per le cose dette), ancora non accessibili.
Giulio Giovannini
Bell’articolo anche se breve.
Mauro Palumbo
Buongiorno, tutto giusto, mi permetto di aggiungere tre cose.
1. Non tutte le valutazioni possono essere fatte “usando in maniere diretta o indiretta il metodo sperimentale”. Questo è ben documentato a livello internazionale e anche negli USA, dove questo approccio è nato (in ambito valutativo).
2. Esiste dal 1997 l’Associazione Italiana di Valutazione (www.valutazioneitaliana.it) che tratta estesamente questi temi, in particolare nei congressi annuali (si veda sul sito) e nella Rivista “Rassegna Italiana di Valutazione”, edita dal 1995.
3. Le proposte di riforma del Senato gli assegnano un ruolo valutativo (discusso anche nel congresso AIV di Genova dell’aprile 2015) che merita di essere considerato.
In breve, la diffusione della cultura della valutazione dovrebbe avvenire evidenziando la pluralità degli approcci e dei metodi utilizzabili.
Marcello
Purtroppo credo che il problema della “ritrosia” della Pubblica Amministrazione, e della disponibilità dei dati in tempi brevi, non sia tecnico, ma politico. Chi fa delle scelte di investimento spesso preferisce evitare valutazioni troppo oggettive dei risultati.
claudia villante
Buongiorno,
in aggiunta a quanto affermato da Mauro Palumbo e Roberto De Vincenzi vorrei segnalare che diversi tentativi valutativi sono stati fatti nel nostro paese anche non necessariamente legati alla spesa dei Fondi Strutturali (anzi in questo ambito, trattandosi di adempienza comunitaria, spesso sono state prodotte molte cose inutili) .Forse più che ripartire da capo sulla necessità di avviare valutazioni occorrerebbe rileggere l’esperienza fatta, raccogliere quanto di buono e utile è stato fatto e costruire sugli errori commessi dentro e fuori le Pubbliche Amministrazioni.
Teresa Baggio
Un professore ordinario, un associato e un economista di Banca d’Italia assieme per scrivere delle cose così ovvie? Eravamo abituati a contributi migliori