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Italiani si diventa

Arriva alla Camera il disegno di legge che rivede la normativa sulla cittadinanza. Si tratta di una riforma molto positiva. Il parlamento però dovrebbe intervenire per riconsiderare il criterio della residenza legale e la disciplina per i disabili. E va previsto un adeguato periodo transitorio.

Un percorso più semplice per la cittadinanza
Va in aula, alla Camera, il disegno di legge di riforma della normativa sulla cittadinanza.
Le norme vigenti prevedono, in sintesi, che sia cittadino italiano chi nasce da un genitore italiano. Lo straniero può acquistare la cittadinanza per matrimonio con coniuge italiano o, per chi sia nato in Italia, al compimento della maggiore età. La cittadinanza può anche essere concessa (naturalizzazione) sulla base di una valutazione delle condizioni di inserimento sociale, dopo diversi anni (normalmente dieci) di residenza legale in Italia. Il figlio minorenne di chi acquisti la cittadinanza, infine, la acquista automaticamente solo se risiede col genitore.
Il testo che la Camera sta per esaminare introduce un percorso facilitato per chi nasca in Italia da genitori stranieri o per chi vi arrivi nell’età minore. Nel primo caso, la cittadinanza si acquista, su richiesta di un genitore, purché uno dei due genitori sia titolare, alla nascita del figlio, di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo (ossia, a tempo indeterminato). In mancanza di questa condizione, o nel caso in cui si giunga in Italia prima del compimento dei 12 anni, è richiesto il completamento di un percorso scolastico o formativo quinquennale (in caso di scuola primaria, anche l’esito positivo del corso), e la richiesta deve essere presentata da un genitore legalmente residente. In tutti i casi, in mancanza di richiesta da parte dei genitori, l’interessato può presentarla autonomamente al compimento dei 18 anni.
Chi invece sia arrivato in Italia tra i 12 e i 18 anni può accedere alla naturalizzazione dopo un periodo abbreviato di sei anni di residenza legale, a condizione di aver completato un ciclo scolastico col conseguimento del titolo conclusivo (o un percorso di formazione col conseguimento di una qualifica professionale). Non è più richiesta, poi, la convivenza col genitore ai fini dell’acquisto automatico della cittadinanza da parte del figlio minorenne del neo-italiano.
Il criterio della residenza
Si tratta di una riforma molto positiva. Mancano tre elementi, indispensabili per evitare il proliferare di ricorsi giurisdizionali.
Il primo riguarda la nozione di residenza legale. Quasi tutte le forme di acquisto della cittadinanza prevedono, tra i requisiti, che l’interessato o un suo genitore risiedano legalmente in Italia; in alcuni casi, per un certo intervallo di tempo. Oggi è il regolamento di attuazione della legge a stabilire che si considera legalmente residente lo straniero che risiede “avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d’ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d’iscrizione anagrafica”.
La condizione relativa all’iscrizione anagrafica rappresenta una restrizione abnorme e dannosa: abnorme, perché, mentre il rispetto delle norme su ingresso e soggiorno è condizione necessaria perché lo straniero sia legittimato a soggiornare, la mancata iscrizione anagrafica (sanzionata con l’ammenda da 1 a 5 euro) non fa venir meno il suo diritto a tale iscrizione, né rileva ai fini del rapporto tra lo straniero stesso e la comunità nazionale. È anche una restrizione dannosa, perché moltissimi stranieri hanno un’informazione assai scarsa sui loro obblighi in materia. Il testo di riforma attenua il peso che viene dato all’iscrizione anagrafica, senza però annullarlo e, anzi, legificando la disposizione. Occorre emendarlo col considerare la condizione di residenza legale soddisfatta anche quando sussista solo quella di soggiorno legale.
La disciplina per i disabili e la norma transitoria
Il secondo elemento è rappresentato da una disciplina specifica per l’acquisto della cittadinanza da parte dei disabili; in particolare, da parte delle persone interdette, inabilitate o beneficiarie di amministrazione di sostegno. Fino ad oggi, le istanze presentate a nome di questi soggetti dal tutore o dal curatore o dall’amministratore di sostegno sono state generalmente rigettate sulla base dell’argomento secondo il quale, essendo l’acquisto della cittadinanza “atto personalissimo”, che comporta, oltre che diritti, anche doveri e obblighi, l’interessato non può essere surrogato dal suo rappresentante. L’argomento è privo di spessore, dato che, per persone affette da grave disabilità, non si intravedono doveri e obblighi connessi col far parte di una comunità nazionale, ma solo diritti. Gli obblighi in materia incombono invece sull’Italia, che ha ratificato la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. È necessario abbattere questa barriera giuridica, ammettendo la surrogazione e prevedendo opportune deroghe rispetto a eventuali requisiti relativi a inserimento scolastico o sociale.
Il terzo elemento mancante è una norma transitoria che preveda la riapertura delle scadenze per la presentazione delle istanze, e per un congruo intervallo temporale, per tutti coloro che soddisfino soggettivamente le condizioni che, con l’entrata in vigore della riforma, consentirebbero loro di acquisire la cittadinanza, ma per i quali i termini siano irrimediabilmente scaduti.

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  1. Riccardo Montagnoli

    Tre osservazioni: 1) credo che il criterio della residenza sia utile per evitare la concessione della cittadinanza a persone che intendono tornare in Patria o comunque trasferirsi altrove; 2) nello stesso senso sarebbe importante prevedere la decadenza dalla cittadinanza in caso di trasferimento all’estero; 3) interdetti, inabilitati e persone assistite da amministratori sostegno non sono che una quota, credo non rilevantissima, delle persone con disabilità, soprattutto tra gli stranieri.

    • DDPP

      Completamente d’accordo con lei.
      In particolare sul punto 2. – Per il mantenimento della cittadinanza propongo un periodo successivo che definisca l’obbligo del soggiorno nel paese per un congruo numero di anni, la perdita della cittadinanza in caso di reati.
      Sul punto 3. mi sembra si tratti di una ipotesi residuale e minimale. Se l’autore dell’articolo lo ha già rilevato , mi preoccupo che ci possa essere una gabola o scappatoria per consentire la concessione della cittadinanza anche a non aventi diritto.

    • Piero Fornoni

      Bisogna essere prudente col togliere la cittadinaza,perche’ si rischia di creare degli apolidi di fatto.
      Supponiamo che una persona sia rifugiato politico , viva ed ottenga la cittadinaza italiana e poi per ragioni di famiglia o di lavoro si trasferisca all’estero .Se perde la cittadinaza italiana questa persona non puo’ piu’ viaggiare etc. Il paese d’origine se la situazione politica non e’ cambiata non le rilascera’ nessun documento e non avra’ piu’ i documenti italiani. Situazione gravissima , negazione dei diritti umani

  2. Nota: la proposta di legge e’ stata approvata stamattina dalla Camera. Delle due proposte emendative contenute nell’articolo, sono state recepite quella relativa ai disabili e quella relativa alla norma transitoria. Vedremo ora se si riuscira’ a far recepire al Senato la terza proposta di emendamento: quella relativa alla nozione di residenza.

  3. Piero Fornoni

    In Canada per chiedere la cittadinanza bisogna soddisfare criteri quantificabili :
    A) avere la residenza permanente
    B) essere stato fisicamente in Canada almeno 1,460 giorni nei precedenti 6 anni.
    C) aver fatto la dichiarazione delle tasse 4 volte nei 6 anni precedenti .
    D)dichiarare di aver intenzione di vivere in Canada.
    E) Conoscere l’inglese od il francese
    F) aver passato un esame sulla storia,sui valori e sulle istituzioni del Canada .
    G) se uno ha commesso crimini fuori dal Canada puo’ vedere la sua domanda di cittadinanza respinta.

  4. Henri Schmit

    Sono in Italia da 27 anni circa, sposato da 22 con un’Italiana, ho due figlie maggiorenne che hanno la doppia cittadinanza. Ho sempre pagato le tasse, colf e canone RAI compreso, scrivo articoli su riviste italiane, ma rimango straniero senza diritto di voto. Qualche anno fa ho preso appuntamento in prefettura, a Milano, con una dirigente che mi ha spiegato che il percorso di una naturalizzazione è molto lungo, che anche in presenza di qualcuno che possiede tutti i requisiti la procedura dura almeno quattro anni. Avevo già richiesto tutti i documenti di casellario dei vari paesi (Francia e Svizzera) dove avevo vissuto prima di venire in Italia; mi sono arrivati in un paio di giorni grazie a un servizio online. Dopo l’incontro con la dottoressa ho lasciato perdere. Negli altri paesi, Lussemburgo, Francia o Germania, le procedure sono meno bizentine, se qualcuno ha i requisiti, lo Stato è contento di concedere la cittadinanza. Ma che cosa stiamo difendendo qua? Purtroppo è fin troppo chiara la risposta. Mi piacerebbe appoggiare fattivamente un’organizzazione per la difesa dei diritti degli immigrati.

    • Se e’ sposato con una cittadina italiana, ha diritto ad acquistare la cittadinanza. L’unico motivo per cui lo Stato italiano puo’ negargliela e’ l’esistenza di un pericolo per la sicurezza della Repubblica o di condanne gravi. Sul primo punto l’amministrazione effettua una valutazione discrezionale. Se pero’ non si e’ pronunciata entro due anni dalla Sua richiesta, Lei puo’ far riconoscere direttamente il suo diritto alla cittadinanza dal giudice ordinario.

      • Henri Schmit

        Grazie della cortese risposta. L’unica ragione per chiedere la cittadinanza sarebbe di poter votare. Ma anche quel diritto è completamente svuotato, raggirato, dalle ultime riforme più che mai. Dovrei scegliere fra Renzi, Salvini e Grillo. No grazie. A che cosa serve quindi avere la cittadinanza? Ormai mi sembra più utile lottare contro questo sistema fasullo, fondato sul formalismo, sull’inganno e sull’abuso, sicuramente non riformabile dall’interno.

  5. Futuro italiano

    La riforma non affronta la condizione di buona parte degli stranieri che vivono in italia: i dieci anni di residenza regolare mi sembra che non vengono modificati, i tempi di risposta dell’amministrazione (2 anni) non vengono modificati. Servirebbe una modifica che coinvolga buona parte degli stranieri, almeno per i requisiti al loro possesso, premiando quei cittadini che si sono impegnati ad integrarsi il meglio possibile. Chiedere a un cittadino non comunitario 10 anni di residenza e a un comunitario 4 anni è un gape da colmare; visto che divento cittadino italiano, quindi dimostro a me stesso e anche allo Stato italiano di meritare tale status, non sarò piu o meno civilizzato se provengo dalla Romani o Francia o Ucraina. Senza una riduzione anche dei tempi previsti per l’iter di concessione della cittadinanza (attualmente si pagano 200 euro di contributo al ministero dell’interno) e senza modificare i requisiti richiesti per la presentazione della domanda e riducendo i tempi di residenza legale dei non comunitari questa sarà una mezza riforma, che tocca solo le nuove generazioni, ignorando buona parte della popolazione adulta di immigrati in Italia.

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