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La giustizia civile migliora se chi ha torto paga*

Per raggiungere l’obiettivo della diminuzione del 20 per cento del contenzioso civile occorre rafforzare gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. Ma servono anche penalizzazioni monetarie per chi perde la causa. Soprattutto se ha fatto ricorso alla resistenza temeraria.
Contenzioso in calo
In due successive conferenze stampa a maggio e agosto, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha annunciato la previsione di una riduzione del 20 per cento sia del contenzioso in ingresso sia delle cause civili pendenti. Un risultato straordinario se sarà effettivamente confermato a fine anno. Quasi come replica all’ottimismo del ministro, dalle pagine del Corriere della sera, Sabino Cassese ha invece dipinto un quadro in chiaroscuro sostenendo che pur se qualcosa si muove sulla giustizia civile, i risultati sono magri. A chi dare ragione?
Analizziamo i dati messi a disposizione dalla Direzione di statistica del ministero della Giustizia. Dal 2001 a oggi l’andamento delle nuove iscrizioni e pendenze presso i tribunali ordinari dimostra chiaramente che: 1) dal 2010 inizia l’inversione di tendenza, con la diminuzione sia delle iscrizioni con un -3,9 per cento (con la sola eccezione del 2013) sia delle pendenze con un -1,5 per cento; 2) dal 2014 assistiamo a una accelerazione delle due tendenze, rispettivamente con -7,4 per cento e -5 per cento.
Cosa è successo nel 2010 e nel 2014? Innanzitutto è bene smentire la teoria che attribuisce alla crisi economica la diminuzione del contenzioso. Non vi sono infatti evidenze statistiche di una relazione diretta tra il trend del ricorso in tribunale e l’andamento dei cicli economici.
L’importanza della risoluzione alternativa
L’inversione del trend nel 2010 è attribuibile alla decisione dell’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano di potenziare gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, fino ad allora inutilizzati in Italia. La riprova l’abbiamo nel 2013, quando la Consulta sospende il tentativo obbligatorio di mediazione (per mero eccesso di delega) e le nuove cause si impennano subito del 5,3 per cento. Dalla fine del 2013, viene reintrodotto un nuovo modello di mediazione nel civile (riguarda solo l’8 per cento della materia), che limita il tentativo obbligatorio a un primo incontro informativo, e il trend continua a diminuire. Dopo due anni di sperimentazione, i dati sono più che positivi: le mediazioni supereranno sicuramente le 200mila unità nel 2015 e il tasso di successo si sta assestando in circa il 50 per cento dei casi, quando le parti decidono di proseguire oltre il primo incontro. Al contrario, i primi dati informali sulle nuove forme stragiudiziali introdotte nel 2014 sono deludenti: poche centinaia di negoziazioni assistite nel civile (escludendo i buoni dati in materia di separazioni e divorzio) e nessun arbitrato avviato in corso di causa.
L’accelerazione avvenuta nel 2014 è attribuibile all’introduzione da parte del ministro Andrea Orlando di una serie di provvedimenti volti a sanzionare economicamente chi ricorre o resiste in giudizio sapendo di avere torto e lucrando sulla durata del processo. Con la limitazione della compensazione e la condanna del soccombente a tutte le spese legali, la sostituzione dei tassi moratori al posto di quelli legali, le tattiche dilatorie non giocano più a favore del debitore o del soccombente. L’aumento di appena il 15 per cento del contributo unificato in primo grado in vigore dal 25 giugno 2014 può avere avuto un impatto, almeno psicologico.
L’andamento delle statistiche sembra quindi confermare che la prospettiva di sanzioni per l’abuso del processo insieme all’opportunità di sedersi intorno a un tavolo di mediazione, spingono i litiganti e i loro avvocati a fare una vera “valutazione del rischio” nel decidere di agire o resistere in giudizio. Ciò risponde alla teoria dell’avversione alle perdite, principio cardine dell’economia comportamentale: per la maggior parte degli individui la motivazione a evitare una perdita è superiore alla motivazione a realizzare un guadagno.
Sulla buona strada

Per raggiungere l’ottimistico obiettivo della diminuzione del 20 per cento del contenzioso occorre proseguire su queste due strade. Sul fronte delle sanzioni sull’abuso del processo, è necessario adeguare l’articolo 96 del codice di procedura civile eliminando la colpa grave per provare la resistenza temeraria o il comportamento in mala fede durante il giudizio. Bisogna anche introdurre un “ticket integrativo”, a fine processo, a carico del soccombente, di un ammontare pari alle spese effettive sostenute dallo Stato per la celebrazione del processo: oggi è per l’84,4 per cento a carico della fiscalità generale e solo per il 15,6 per cento coperto dal contributo unificato.
Sul fronte della mediazione occorre rafforzare il nuovo modello, introducendo l’obbligo di presenza delle parti in persona agli incontri ed estendendo dall’attuale misero 8 ad almeno il 50 per cento delle materie del civile la partecipazione al primo incontro come condizione di procedibilità.
L’Italia ha l’opportunità di risalire dall’abisso del 147° posto del ranking del Doing Business 2105 sull’efficienza della giustizia a posizioni almeno vicine alla Francia o la Germania, rispettivamente al 10° e al 13° posto. Un’occasione più unica che rara per il premier Matteo Renzi che sulla giustizia civile dovrebbe coinvolgere non solo i giuristi, ma anche il team di economisti coordinati da Yoram Gutgeld.
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* L’autore è esperto di Alternative dispute resolution (Adr), conciliatore professionista di controversie civili e commerciali.
 
 

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  1. Luciano Pontiroli

    Non entro nel discorso concernente l’interpretazione dei dati statistici, qualcun altro forse lo farà. Quello che mi preoccupa è l’idea – che sembra ispirare le considerazioni più generali dell’Autore – per cui difendersi in giudizio e perdere la causa costituisca abuso del processo, tanto da auspicare l’equiparazione della soccombenza alla lite temeraria: infatti, egli propone di eliminare il requisito della colpa per attribuire al soccombente la lite temeraria. Chi è consapevole dell’estrema imprevedibilità degli esiti del contenzioso giudiziario, in un panorama normativo confuso e contraddittorio, nel quale la creatività dei giudici spadroneggia, non può non avvertire un brivido nella schiena. La ricerca dell’efficienza non giustifica il sacrificio dei dirittti: nella Costituzione c’è ancora l’art. 24!

    • Maurizio Benetti

      In Germania, dove vivo da anni, è la norma. Chi perde paga. Insieme al fatto che i processi civili si risolvono di solito entro pochi mesi e non durano anni e decenni, mi sembra un ottimo deterrente contro l’avvio di cause spericolate pur di far male alla controparte o il tirare per le lunghe sperando che l’avversario abbia meno soldi o pazienza da spendere.

      • Luciano Pontiroli

        Sigonr Benetti, anche in Italia chi perde paga le spese di causa, come stabilite dal giudice. Quello che io contesto è che si voglia aggiungere alla condanna alle spese anche quella per lite temeraria senza che sussista una grave colpa della parte soccombente.
        Quanto alla lunghezza dei giudizi in Italia, tenga presente che da qualche annetto il governo del processo è esclusiva del giudice, gli avvocati non possono chiedere rinvii per “tirare per le lunghe”, Ma i giudici possono fissare le udienze a loro piacimento e non hanno termini entro i quali provvedere sulle richieste delle parti: in una causa pendente a Roma il giudice ha stabilito che la consulenza tecnica sia depositata entro il 3 maggio 2016 e fissato l’udienza per discuterne al 12 luglio 2016, tanto per fare un esempio, neppure tra i peggiori.

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