La relazione illustrativa della legge di stabilità giustifica l’innalzamento del tetto sull’uso del contante in base al valore delle banconote in circolazione e al numero di cittadini che non hanno accesso a conti correnti o carte di credito. Ma in entrambi i casi si tratta di dati non corretti.
Le motivazioni della Relazione illustrativa
L’attenzione suscitata dall’innalzamento del tetto sull’uso del contante non è motivata soltanto dalla unanime contrarietà di magistrati e organismi preposti alla vigilanza finanziaria, compreso il rapporto dell’Europol, per i rischi di riciclaggio e di evasione fiscale, ma anche dalla fragilità degli argomenti sostenuti nella Relazione illustrativa della legge di stabilità, articolo 46. Si legge infatti nella relazione: “Secondo dati recenti diffusi da associazioni di categoria (Cgia Mestre), nel 2014 la massa monetaria complessiva ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro. Il ricorso frequente all’utilizzo del contante è da correlarsi, tra l’altro, all’elevata percentuale di soggetti “unbanked”, ossia soggetti estranei al circuito degli intermediari abilitati. L’innalzamento della soglia, a fronte di studi che escludono un indice di correlazione diretta tra utilizzo del contante ed evasione fiscale, assolve all’esigenza di garantire maggior fluidità nelle transazioni effettuate quotidianamente per il soddisfacimento di bisogni di stretto consumo, oltre che per allineare la soglia prevista dall’ordinamento italiano alle scelte degli altri Stati membri, diretti competitors dell’Italia, tendenzialmente attestati su politiche meno restrittive”.
Un comunicato della Cgia del 15 maggio 2013 sostiene che quindici milioni di italiani ultraquindicenni sono “unbanked”. Il dato, ripetuto anche il 14 ottobre 2015, è privo di fondamento. La fonte è un grafico di un documento della Commissione europea che si basa sulla prima indagine della Banca Mondiale sulla quota di ultraquindicenni con accesso a mezzi di pagamento diversi dal contante nel 2011 (banca dati Global Findex). Il dato per l’Italia è del 71 per cento; la quota residua, 29 per cento, è quella che riferita agli ultraquindicenni genera i quasi 15 milioni di “unbanked” nel 2012. Il risultato contrasta nettamente con un altro, disponibile al momento dell’elaborazione: secondo l’indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia per il 2010 (tavola F2) quasi l’86 per cento di famiglie dispone di un conto corrente bancario o postale. E infatti per il 2014, nella seconda indagine della Banca Mondiale, la percentuale di italiani che possono pagare con mezzi diversi dal contante balza all’87 per cento.
Quante sono le banconote in circolazione
La massa monetaria circolante di 165 miliardi è identificata con le “banconote in circolazione” nel passivo della Banca d’Italia (Relazione annuale, p. 174). Tuttavia, non rappresenta il valore delle banconote utilizzate. Sarebbe ben strano che una tale informazione fosse disponibile per un paese di una unione monetaria. Le note metodologiche nell’Appendice (p. 189) informano della convenzione contabile secondo cui le banconote in euro sono allocate per l’8 per cento tra le passività della Banca centrale europea e per il restante 92 tra quelle delle banche centrali nazionali in proporzione alla partecipazione al capitale della Bce.
Il valore delle banconote utilizzate, trascurando il fatto che una parte può essere usata all’estero, è invece meglio approssimato dalla somma cumulata delle banconote distribuite e ritirate dalle filiali della Banca d’Italia. Ponendo a raffronto le due serie, il grafico mostra che, relativamente all’anno base 2008:
- l’andamento delle banconote in circolazione nel passivo del bilancio consolidato dell’Eurosistema e della Banca d’Italia è di fatto identico (con una crescita complessiva del 30 per cento);
- l’andamento della cumulata delle emissioni nette di banconote (consistenze medie) mostra una dinamica molto più contenuta, con tassi di variazione annui negativi a partire dal 2012;
- un profilo temporale analogo si ha anche rapportando le consistenze medie ai consumi interni delle famiglie (comprensivi quindi della spesa dei turisti stranieri).
Nel dicembre 2011 il governo Monti ha portato il tetto nell’uso del contante a 1.000 euro, con una drastica accelerazione della progressione dai 12.500 – limite che il governo Berlusconi aveva ristabilito nel giugno 2008 due mesi dopo che era stato abbassato a 5mila dal governo Prodi – ai 5mila nel maggio 2010 e ai 2.500 nell’agosto 2011.
Può essere una coincidenza, ma l’onere della prova sulla irrilevanza della misura del governo Monti nell’invertire la tendenza all’uso del contante tocca a chi ora ne propone una di segno contrario. In effetti, il fenomeno della cosiddetta “circolazione negativa” era già stato segnalato nella Relazione sulla gestione e sulle attività della Banca d’Italia sul 2014 (p. 50): “Le emissioni nette cumulate sono cresciute, principalmente a causa della maggiore richiesta di tagli medi (20 e 50 euro) e di quelli bassi (da 5 e 10 euro), che hanno più che compensato i forti flussi di rientro delle banconote da 200 e 500 euro. Per questi due tagli la flessione della circolazione si è accentuata a partire dal 2012, dopo l’introduzione di più stringenti limiti ai pagamenti in contanti”.
Quanto “all’esigenza di garantire maggior fluidità nelle transazioni effettuate quotidianamente per il soddisfacimento di bisogni di stretto consumo” è meglio stendere un velo pietoso.
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