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Quanto pesa il fisco sulle piccole-medie imprese

La delega fiscale prevedeva alcune interessanti novità per migliorare i rapporti tra imprese e fisco. I decreti attuativi hanno però introdotto solo le misure che riguardano le aziende più grandi. Ma è proprio sulle Pmi che il peso degli adempimenti si fa sentire di più. La soluzione alternativa.

Pmi e obblighi tributari
Le piccole e medie imprese rappresentano “un importante volano per lo sviluppo e la crescita dell’economia” del paese. Tuttavia, l’Italia continua a non costituire un ambiente favorevole all’iniziativa economica privata, gravata – oltre che dall’insostenibile pressione fiscale – da un’eccessiva mole di oneri finanziari e amministrativi. In particolare, per le Pmi adempiere agli obblighi fiscali comporta un prezzo spesso sproporzionato rispetto alla loro struttura e dimensioni (Ocse). Ciò non solo incide negativamente sulla produttività aziendale e, di conseguenza, sulla competitività dell’intero sistema economico nazionale, ma alimenta il rischio di un costo ulteriore, vale a dire la propensione all’evasione.
Proprio per aiutare le aziende nell’assolvimento di obblighi tributari sanciti spesso da norme instabili e complesse e per incrementarne il livello di rispetto degli adempimenti, migliorando i loro rapporti con il fisco, il governo è stato opportunamente delegato (legge n. 23/2014) a elaborare soluzioni di tipo proattivo, a integrazione di quelle di tipo reattivo già vigenti.
La delega prevedeva per le imprese di maggiori dimensioni forme di comunicazione e cooperazione rafforzata con l’amministrazione finanziaria, associate a minori adempimenti, diminuzione delle eventuali sanzioni e una procedura abbreviata per forme specifiche di interpello preventivo, a fronte della costituzione di sistemi di gestione e controllo del rischio fiscale. Per quelle di minori dimensioni, invece, era previsto un sistema di tutoraggio da parte dell’amministrazione finanziaria, anche a fini di assistenza tributaria, con premialità consistenti nella riduzione dei relativi adempimenti. L’obiettivo era quello di avviare “un approccio al controllo ex ante, rispetto al tradizionale intervento ex post”, secondo il modello della cooperative compliance (già enhanced relationship) delineato dall’Ocse, sperimentato con il progetto pilota del 2013 e utilizzato nel settore bancario e assicurativo.
L’attuazione della delega
La delega è stata attuata (decreto legislativo n. 128/2015) solo per la parte relativa alle aziende più grandi (volume d’affari superiore a 10 miliardi di euro, cui sono accomunate quelle già aderenti al progetto pilota, al momento 45 in tutto). Per la platea delle aziende minori, “comparto numericamente significativo e diversificato”, invece, il tutoraggio non è stato realizzato, nonostante il rispetto degli adempimenti fiscali sia per loro più gravoso rispetto a quelle maggiori. Eppure “la limitata influenza” dell’approccio repressivo da parte del fisco sul loro grado di compliance, quale emerge dalle evidenze, mostra da tempo la necessità – riconosciuta dallo stesso legislatore – di “un cambiamento delle strategie di controllo fiscale, focalizzando l’attenzione non più sul passato, alla ricerca di errori compiuti dal contribuente, ma accompagnando lo stesso nell’adempimento spontaneo”. Per altro verso, considerato che “l’incertezza in campo fiscale (…) è deleteria per le decisioni di investimento” e che la “sfiducia e conflittualità” tra contribuenti e amministrazione finanziaria è “fonte di inefficienze e costi”, appare evidente l’esigenza di sovvertire l’impostazione tradizionale. Invece, per le Pmi non è stato neanche disposto che almeno “progressivamente” – così come previsto in via esplicita per le circa 3.200 imprese con volume di affari superiore a 100 milioni di euro (articolo 7, comma 4, Dlgs 128/2015) – l’usuale intervento reattivo del fisco possa essere integrato mediante un’azione di tipo preventivo, con le premialità conseguenti.
Nella relazione di impatto del Dlgs n. 128 ciò viene motivato con la circostanza che il regime collaborativo, in termini di risorse, determina per l’Agenzia delle entrate la necessità di acquisire “nuove competenze che dovrebbero gradualmente essere consolidate”: ma le Pmi non possono attendere sine die interventi ormai improcrastinabili.
Considerata questa esigenza, nonché i noti problemi organizzativi riguardanti l’Agenzia delle entrate, si potrebbe pensare a una soluzione alternativa, già utilizzata in altri paesi, per una interazione costruttiva tra fisco e aziende atta a far emergere e risolvere ex ante le questioni interpretative più critiche e gli eventuali conflitti. Si tratterebbe di istituire un “comitato fiscale”, composto in maniera paritetica da rappresentanti di varie categorie (autorità fiscali, imprenditori, giudici tributari, professionisti), che avrebbe la funzione di emettere pareri su istanza, aventi “valore di prova (…) in caso di procedura di accertamento e tax litigation”. La soluzione consentirebbe di porre a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di provare puntualmente le cause di un’eventuale contestazione nei confronti del contribuente, in caso di parere favorevole a quest’ultimo, sovvertendo così lo schema per cui è il privato a dover dimostrare di non essere in torto. Potrebbe inoltre agevolare gli investimenti esteri in Italia, attenuando “la percezione di un sistema ostile all’attività economica, soggetto a instabilità e complessità dei tributi e a uno scarso rispetto dei diritti del contribuente”.
In attesa di una consistente riduzione del carico tributario, di una effettiva semplificazione degli obblighi connessi e di una rivoluzione culturale in ambito fiscale che possa effettivamente essere definita come tale, una soluzione come quella esposta potrebbe essere considerata già un buon risultato.
 
* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.
 

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  1. Davide

    In Italia un imprenditore parte dal presupposto che rispettare le leggi è impossibile, perchè o sono in contrasto o sono vaghe o sono del 1800 o non si applicano al caso specifico, ecc, ecc.
    Siamo al paradosso che in Italia l’imprenditore vorrebbe sapere ex ante quanto dovrà pagare per l’eventuale controllo, perchè sa già che dovrà pagare, anche se “crede” (perchè è semplicemente impossibile esserlo) di essere in regola, ma non sa quanto.
    L’inversione dell’onere della prova sarebbe già una rivoluzione epocale, anche se significa solo dare un po’ più di respiro, ma non risolve alcun problema.

  2. bob

    Vergognoso! Si dovrebbe avere il coraggio di dire alla moltitudine di inutili enti e uffici che il tempo delle favole e finito e da domani andare a cercarsi un lavoro vero (in edilizia, ristorazione, agricoltura). Per non parlare della pleteora degli Azzeccagarbugli. I pochi posti di lavoro sono ancora garantiti dalla piccola e media azienda.

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