Lavoce.info

Brexit: un messaggio semplice, dunque efficace

Nel Regno Unito non decolla il dibattito in vista del voto sulla permanenza o meno nell’Unione Europea. Se la campagna a favore dell’uscita si fonda su argomenti semplici, che fanno appello allo sciovinismo britannico, l’elenco dei vantaggi di rimanere nella Ue non scalda il cuore dei cittadini.

Chi discute del referendum?

Si riscalda la campagna elettorale per il referendum sull’appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea, che avrà luogo il 23 giungo. “Riscalda” rimane un termine relativo: mentre i giornali “seri”, la Bbc, accademici e politici nazionali (le cosiddette “chattering classes“) dibattono e si preoccupano, il resto del paese rimane nell’indifferenza: per trovare articoli sulla consultazione nei siti web del Sun, del Mirror o del Daily Mail, bisogna proprio cercarli, scrollando a lungo e dribblando attrici in bikini e matrimoni reali.
Neanche la campagna governativa che ha recapitato un breve riassunto dei benefici della permanenza nella Ue a ogni famiglia ha suscitato interesse; anche le polemiche sull’uso di fondi pubblici per pagarla sono state poche. I politici si sono ormai quasi tutti schierati: con le regole del gioco fissate con la legge che ha indetto il referendum (nel Regno Unito non c’è costituzione, quindi le regole si fanno di volta in volta), la commissione elettorale ha scelto i gruppi “portavoce ufficiali” delle due posizioni (con il diritto di ricevere fondi pubblici).
La Brexit è rappresentata dal gruppo di cui fanno parte molti deputati ed ex-ministri sia laburisti sia conservatori: tra questi, vi sono i due tory che probabilmente si contenderanno la leadership del partito in caso di uscita e di dimissioni di Cameron: Michael Gove, ex-ministro per la pubblica istruzione, e Boris Johnson, sindaco di Londra, i cui toni sempre più volgari suggeriscono un’antipatia profonda tra lui e il primo ministro. Dall’altra parte molti industriali, i sindacati, quasi tutto il governo, praticamente tutti i laburisti di rilievo, perfino il presidente Usa Barack Obama è sceso in campo, dichiarandosi a favore della permanenza, e diventando così membro del gruppo “i nemici di Boris“.

Leggi anche:  Il Patto che non c'è*

Turiamoci il naso e votiamo “Remain”

Jeremy Corbyn, dopo aver a lungo tentennato, ha dichiarato che sosterrà la permanenza. Se Corbyn riuscisse davvero a mobilitare i disillusi elettori che dopo anni di astensione hanno dimostrato un interesse per la politica, potrebbe fare la differenza in un voto che i sondaggi continuano a considerare al filo di lana.
Come è possibile? I vantaggi economici per i cittadini britannici della permanenza sono chiaramente enormi, ma per ora argomenti razionali basati su precisi calcoli economici e cifre corrette, che il direttore di Brexit definisce in Parlamento “roba per fighette“, non riescono a intaccare lo sciovinismo di larghi strati di popolazione che vive in un mondo dei sogni, in cui il Regno Unito è una potenza mondiale.
La campagna dei brexitisti ha successo a mio parere per la sua semplicità e immediatezza. Si basa su un programma in quattro banali punti: (i) sì al libero scambio, (ii) no al movimento di persone, (iii) nessun finanziamento a Bruxelles e (iv) le leggi nazionali prevalgono. C’è anche uno slogan efficace, l’opzione Canada, un paese che gode di un’immagine nel complesso molto positiva. Più realistico (o forse per cercare di attrarre qualche nostalgico seguace di Corbyn?), il leader della Brexit Gove propone l’opzione Albania. All’obiezione che gli altri 27 paesi dell’Ue potrebbero non veder di buon grado queste proposte da parte di chi li ha appena rifiutati come partner, rispondono con una scrollata di spalle e un secco “intanto usciamo, poi vedremo chi vincerà il braccio di ferro”.
La campagna a favore della permanenza non è ancora riuscita a produrre un’idea altrettanto semplice e immediata: lo stesso nome della campagna “Britain stronger in Europe” sembra essere stato scelto proprio perché davvero scialbo. Se qui esistessero i condomini, si potrebbe usare l’analogia che scegliere la Brexit sarebbe esattamente come rifiutarsi di partecipare alle assemblee condominiali e quindi autocondannarsi a subire le decisioni degli altri condomini senza mai poterle influenzare. Per esempio, è perfettamente concepibile che l’Ue, che giustamente già proibisce l’importazione di beni prodotti in condizione di schiavitù, decida anche di proibire beni prodotti in assenza di certe leggi di protezione del lavoro, costringendo di fatto il Regno Unito ad adottarle, così come bisogna pagare per la pittura dei muri condominiali, anche se non se ne è potuto scegliere il colore. Quest’analogia è però totalmente inutile nel Regno Unito, dove il concetto di condominio proprio non esiste (basta pensare che a Londra, la proprietà degli appartamenti rimane al proprietario del terreno, che dà in affitto (leasehold) l’appartamento per centinaia di anni e rimane responsabile per le parti in comune).

Leggi anche:  Concorrenza e crescita: un campionato globale

Vecchi e giovani al voto

Il referendum ha anche gli aspetti di un conflitto generazionale: gli elettori sotto i 35 sono decisamente a favore della permanenza, mentre tra quelli al di sopra dei 55 solo il 30 per cento è a favore. Il problema per chi vuole restare è l’apatia dei primi, che i sondaggi considerano molto meno propensi a votare. A questo si aggiunge la coincidenza della data del voto con uno dei principali festival estivi: oltre 150mila giovani elettori saranno troppo occupati ad ascoltare musica, bere e fumare, certo potranno votare per delega o per corrispondenza, ma avranno la lungimiranza di farlo?

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Nuovi armi dell'Ue contro il denaro sporco

Precedente

Quando uscire dalla povertà fa rima con integrazione

Successivo

Non sparate alle spalle di Atlante

  1. roberto

    esempio di articolo molto poco anglosassone. L’ideologia del redattore pervade ogni riga di un finto articolo di informazione. Siamo a livello di Repubblica e del Giornale (opposti ma uguali).
    Io che vivo in Scandinavia non posso non disprezzare la UE che ha importato una burocrazia e ideologia anti-mercato tutta mediterranea perfino nel nord. Senza UE non ci sarebbero stati i problemi dei profughi, dei soldi distrutti per sostenere un paese fallito e dilapidatore come la Grecia, delle ingerenze dei tecnocrati per le quote (assurdo anti-mercato) o di chi invece di semplificare lo scambio impone regole sulla dimensione dei pomodori o dice che “Il cioccolato può essere fatto senza cacao”. Si alla unione di libero scambio senza dazi, NO alla distruzione delle identità nazionali

  2. Luigi Lupo

    A proposito di questo referendum vorrei porre una questione.
    L’uscita della Gran Bretagna dalla UE riguarda anche gli altri cittadini della comunità, e all’ora io chiedo perchè noi dobbiamo “subire” la loro decisione. Per me il giusto sarebbe che se una nazione indice un referendum di questo tipo, negli altri paesi si faccia un referendum per sapere se si deve “espellere” il paese promotore. Se ci fosse questa possibilità non so se in GB avrebbero indetto il referendum con il rischio di vedersi rispondere, “anche se tu vuoi rimanere siamo noi chi ti mettiamo fuori”. Troppo comodo che uno possa decidere se rimanere o meno e gli altri che debbono accettare la sua decisione. Anche gli altri devono dire la loro.

    • Gianni De Fraja

      Non sono esperto di diritto costituzionale o internazionale, ma mentre per la secessione di una regione (la Scozia, la Catalogna, o il Veneto) è necessario il consenso dello stato cui la regione appartiene, l’Ue è più simile a un club: come in un golf club di lusso, è necessario il consenso dei membri per essere ammessi, ma non si è obbligati a restare membri se si vuole smettere. E anche se fosse, gli altri membri accettano il principio della sovranità popolare, quindi penso accetterebbero un voto pro-Brexit, e inizierebbe, pur malvolentieri, le trattive per la fine della presenza dell’Uk.

  3. Stefano

    Non sono esperto di economia e speravo di sapere dall’articolo i vantaggi e svantaggi economici reali di un eventuale uscita della Gran Bretagna dalla UE, sia per la stessa che per l’UE. Possibilmnte evitando di limitarsi ai soliti motivi irrazionali e allo “spirito” sciovinista degli inglesi.
    Purtroppo sono molto deluso, e non basta citare il link ad un’equazione complicata per indicare la difficoltà di spiegare la situazione.
    E’ grave che questo sito curato da esperti del settore si limiti agli approcci “emotivi” tipici degli atri media.
    Sarebbe interessante sapere, nel caso vincesse il Brexit, se la GB riacquisterebbe la “sovranità monteraria” con la facoltà di battere moneta o di svalutare la sterlina, ad esempio. Oppure se la GB non parteciperà più alla BCE (dove, mi pare, partecipa pur non avendo l’euro) o se decade il trattato di Schengen.
    Personalmente sarei curioso di vedere se un paese ricco (e non appartenente ai PIGS) riesce davvero ad uscire dalla UE (procedura di fatto non prevista dal trattato UE)..

    • Gianni De Fraja

      Grazie Stefano, in realtà, come dice Emanuele, lo scopo di questo commento (e dei miei altri) è quello di dare un’idea del dibattito nell’Uk. Molti siti hanno ottime spiegazioni, quantificate, del perché e percome l’Uk sarebbe danneggiato dalla Brexit. Oltre al documento del Tesoro, il sito vox.eu è ricco di analisi puntuali (una abbastanza recente è: voxeu.org/article/economic-consequences-brexit). Di nuovo come dice Emanuele, la Banca d’Inghilterra mantiene il diritto di emettere sterline; non può svalutare in quanto il governo preferisce un regime di cambio flessibile, quindi la sterlina va su e giù sui con la domanda e l’offerta. Idem per Schengen, quando si vola in Uk bisogna fare la coda per entrare.

  4. Mario Rossi

    Certo che è un bel da fare per tenere in piedi un paese in cui il 60% del PIL è calcolato sugli scambi di borsa. Le colonie hanno fruttato un bel pò al paese più imperialista della storia dell’umanità, forse alla pari con la vecchia Roma imperiale. La storia ha dato un bell’esempio di come è andata a finire e la GB è prorpio su quella strada visto che oramai, dopo aver dovuto mollare tutte le colonie, i barbari gli premono alle frontiere. La verità è che il mondo non cambierà mai perchè il genere umano non cambierà mai, che si dica che l’uomo è fatto a somiglianza di dio è certo una bella scommessa visto che è l’animale più becero e violento che sia mai passato sulla terra. Chi lo sa come andrà a finire! di certo mi rendo conto che se sono spariti i dinosauri noi di certo non siamo eterni e di sicuro la terra c’era prima e ci sarà anche dopo

  5. Emanuele

    Stefano,
    1) la GB ha piena facoltà di stampare sterline già ora; non partecipa affatto alla BCE, anche se singoli Britannici possono lavorare per la banca centrale
    2) la GB non aderisce al trattato di Schengen
    Non riesco davvero a capire da quali fonti lei abbia preso tali idee, ma mi permetto rispettivamente di evitarli in futuro.

    PS: i conti economici sui vari scenari li trova sui giornali (seri) inglesi. Sui tabloid troverà invece solo le motivazioni nazionaliste, xenofobe e irrazionali.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén