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Segretezza del voto violata dall’astensione

Se una forza politica organizzata invita a non andare a votare, viola di fatto il diritto alla segretezza del voto. Perché si mette nella condizione di poter verificare chi sono i suoi avversari. Più grave ancora l’astensione proposta da chi ha responsabilità di governo. Le regole sui referendum.

Perché il voto deve rimanere segreto

Scriveva Ugo Ojetti sul Corriere della Sera del 6 novembre 1913: “Ai contadini e agli operai che hanno incontrato isolati hanno intimato di non andare a votare. A chi hanno potuto, ad esempio al calzolaio Ciccolella di Tommaso, hanno lacerato il certificato sulla faccia. (…) Così per un’ora quasi nessuno osa più presentarsi davanti alla temuta sezione. Poi gli elettori tornano ostinati, silenziosi, guardandosi attorno (…). Questa loro tranquilla ostinazione a esercitare per la prima volta il loro diritto di voto è commovente. Si sente che essi credono al potere magico della scheda sovrana. Ma ormai le guardie hanno fatto un cerchio davanti a quella porta e di là presso il delegato è un tale F.B., farmacista, che indica al delegato chi può passare, e il delegato gentilmente chiama tra la folla i favoriti, li fa magari chiamare dalle guardie. E quelli passano…”.
I fatti descritti accaddero nel distretto elettorale di Molfetta il 26 ottobre 1913, nel corso delle prime elezioni con diritto di voto esteso agli analfabeti (che costituivano all’epoca i due terzi della popolazione italiana). Ojetti si riferisce alle scorribande dei mazzieri al servizio dei candidati giolittiani, che a volte operavano addirittura protetti dalle forze dell’ordine. Eventi simili si verificarono in molti distretti, soprattutto meridionali. Si tratta di metodi che verranno poi perfezionati e diffusi dieci anni dopo dal partito fascista. Il breve estratto ci mostra una cosa importante: la segretezza del voto, che era già all’epoca sufficientemente garantita, impediva il controllo diretto delle scelte degli elettori. I mazzieri dunque usavano un altro strumento: intimavano ai presunti oppositori di non andare a votare.
Benché per fortuna le cose siano cambiate da allora, anche oggi, a cento anni di distanza, il voto nell’urna è segreto, ma se vai o no a votare non lo è. Dunque il voto non è facilmente controllabile, ma l’astensione sì. Ha fatto molto discutere l’invito a non andare a votare al referendum no-triv da parte del nostro presidente del Consiglio e del partito da lui guidato. Ciò ha di fatto trasformato il referendum in una consultazione pro o contro il governo. Non è peraltro la prima volta che un capo di governo invita all’astensione (famoso fu l’invito di Bettino Craxi ad “andare al mare” nel referendum sulle preferenze), con l’inevitabile strascico di polemiche sull’opportunità o l’immoralità di uscite del genere da parte di un capo di governo o di alti rappresentanti delle istituzioni. Di questo si è già parlato molto. La questione che pongo qui è invece di carattere pratico, non morale. Nel gioco democratico, i partiti politici non devono essere in grado di verificare se le loro indicazioni di voto siano state rispettate o no. Altrimenti si arriva al voto di scambio (o alla pura e semplice intimidazione). Fu il motivo principale per cui furono abolite le preferenze, dato che potevano generare un numero di combinazioni sufficienti a rendere identificabile il voto.
Da questo punto di vista, l’invito a non andare a votare da parte di qualsiasi forza politica organizzata viola di fatto il diritto alla segretezza del voto dei cittadini. Chi invita al non-voto si mette nella condizione di poter verificare chi sono i suoi avversari. Ciò è particolarmente grave se l’invito viene da una forza politica che ha responsabilità di governo (sia nazionale sia nelle molte amministrazioni locali) e che quindi potrà utilizzare l’informazione sul voto per distribuire risorse e favori. Intendiamoci: un cittadino ha ovviamente diritto ad astenersi, visto che votare non è obbligatorio e non sono previste sanzioni per il non-voto. In discussione non è il diritto individuale all’astensione, ma se una organizzazione politica possa legittimamente invitare i cittadini a non andare a votare.

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Il caso del referendum no-triv

E veniamo al caso specifico del referendum no-triv. Se il fronte del “no” sceglie l’astensione, di fatto si sta dicendo che chi si recherà alle urne voterà “sì” con altissima probabilità (in questo caso l’85 per cento). E andando a votare un cittadino dichiara pubblicamente di non allinearsi con l’invito del capo del governo e del suo partito politico. Questa informazione permetterà a chi amministra di distribuire punizioni e premi.
Nel caso specifico del referendum no-triv, si determina anche la possibilità che l’informazione possa essere utilizzata da quelle imprese direttamente coinvolte dal quesito referendario, che potranno discriminare i lavoratori presenti o quelli da assumere.
Sia chiaro che non sto dicendo che il governo, le amministrazioni locali o le imprese faranno effettivamente uso di queste informazioni. È probabile che questa volta controllare il voto non fosse nelle intenzioni di chi ha predicato l’astensione. Ma il problema è un altro e rimane a prescindere dalle intenzioni o dalla rilevanza della consultazione: se il voto non è segreto, non è un voto libero. La segretezza del voto è una caratteristica centrale di un sistema democratico e occorre fare in modo che sia garantita anche se comporta una limitazione delle strategie a disposizione dei partiti politici.
Del resto se, legittimamente, una forza politica non vuole esprimersi su un quesito referendario, può farlo raccomandando di votare scheda bianca, rispettando in questo modo il diritto dei cittadini a mantenere segrete le loro scelte. Ma sappiamo tutti che la ragione dell’invito a non votare è in realtà puramente strumentale, ossia inglobare nel “no” quelli che si sarebbero astenuti comunque. Sarebbe dunque utile innanzitutto eliminare l’incentivo a perseguire questa strategia.
Per molto tempo abbiamo forse avuto troppe consultazioni referendarie, anche su questioni che mal si prestano a essere risolte con un “sì” o un “no”. Come già fatto notare su questo sito, sarebbe probabilmente opportuno rendere più stringenti le condizioni per poter indire un referendum (ad esempio aumentando il numero di firme richiesto) e nel contempo diminuire o abolire del tutto il quorum. Si eviterebbe così di buttare soldi e si stimolerebbe la discussione pubblica sui temi più importanti, visto che tutte le parti in campo avrebbero un interesse a informare e mobilitare l’elettorato invece che a sopprimere il dibattito.

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17 commenti

  1. Guglielmo Weber

    Condivido la preoccupazione espressa dall’autore, ma noto che si può garantire la segretezza del voto e mantenere il quorum semplicemente contando voti bianchi e nulli come astensione dal voto (mi risulta che ora non sia così). Oppure, meglio, definendo il quorum direttamente sul numero di voti favorevoli (in questo caso contrari, schede bianche o nulle e astensione conterebbero allo stesso modo). Ovviamente abbassando opportunamente il quorum. Ma a mio giudizio un quorum ci vuole, per evitare referendum su quesiti molto tecnici o di nicchia.

  2. Henri Schmit

    Dissento su tutto. Non siamo più nel 1913 quando le masse operaie e contadine stavano per essere affrancate. Il quorum è una condizione di validità del referendum abrogativo. Sta per essere abolito, nell’indifferenza-ignoranza più totale dell’opinione pubblica. Si tratta però di uno scambio sfavorevole: rinuncia al quorum ma aumento del numero delle firme; inoltre in mezzo fra iniziativa e verdetto c’è il potente strumento della corte costituzionale che decide praticamente a discrezione su che cosa si può votare e su che cosa no. L’astensione è sempre (tanto che non vige l’obbligo, come nelle democrazie illiberali, corporative) un modo legittimo di esprimersi politica. L’astensione è poco più di un abbandono del diritto di scelta a favore di quelli che vanno a votare; tutto cambia se la costituzione prevede un quorum; allora l’astensione diviene uno strumento razionale per esprimere la propria preferenza. Il rapporto fra invito a non votare da parte di una forza politica organizzata e segreto del voto è talmente artificioso che si commenta da solo. Votare non è una questione di econometria dell’opinione pubblica, ma di libera scelta dei cittadini, quindi di iniziativa, di comitati pro e contro, di dibattito pubblico, di regole (firme, quorum, tempi), di formulazione del quesito (potere di chi se ne occupa, possibilità dei proponenti di correggere il tiro) e di voto libero segreto e individuale (scheda, scelta, conteggio, definizione e denominatore della maggioranza).

    • Amegighi

      Pienamente daccordo con Lei. Trovo, anch’io, come in modo chiaro esprime alla fine del suo commento, un po’ “subdola” questa voglia di analisi metrica in un contesto in cui deve prevalere la libera scelta del cittadino, tra cui l’astensione (considerata nell’istituto referendario). Avrei preferito dirigere la mia attenzione, piuttosto, nel trovare eventuali difetti o “criticità” del sistema referendario in sè e descrivere le possibilità per correggerli e migliorarli. Ad esempio, è risultato chiaro a tutti che i quesiti referendari erano astrusi e certamente più rivolti ad ottenere un altro risultato che quello espresso nel quesito stesso. Anche questo non è propriamente democratico, ma l’Autore dell’articolo glissa. Eppure sono convinto che una parte (grande o piccola che sia) degli astenuti ha motivato la sua scelta con questo.
      L’eliminazione del quorum, implicherebbe anche la risoluzione di questo importante punto, che, a quanto pare, non è stato posto. E’ possibile quindi ci si possa, in futuro, trovare davanti ad un quesito astruso, o, ancor peggio, motivato da altri fini, verso il quale la maggioranza delle persone non trovi alcun significato. E vederlo approvato o rifiutato solo da una minoranza che lo ha posto, come è successo purtroppo spesso, per meri intenti di lotta politica, nel passato recente.

      • Henri Schmit

        Sono d’accordo. La cosa più importante sarebbe come riformare il referendum. Secondo me né seguendo quelli che vogliamo sempre il massimo di flessibilità senza capire che questo sarebbe la morte del referendum, né la riforma senza idee contenuta nella revisione costituzionale già approvata e sottoposta in autunno a referendum popolare, quella volta senza quorum. Sarà un’altra grande occasione persa.

  3. Corrado Del Bò

    Non sono sicuro che abolire il quorum sia la soluzione migliore, poiché genera altri tipi di problemi, ma mi sembra che, nel caso specifico del referendum del 17 aprile, la preocupazione dell’autore non sia infondata. Se il governo invita all’astensione e io vado a votare, divento avversario del governo; e dato che è il governo che in ultima analisi ha in mano l’elenco di chi è andato a votare e chi no, ecco che può premiare e punire a seconda che sia stato rispettata o meno la sua indicazione di voto. Fantascienza? Forse. Ma pensiamo a un esponente del partito del primo ministro che, contro le indicazioni di quest’ultimo, è andato a votare: siamo sicuri che non subirà ritorsioni nel momento in cui dovranno essere compilate le liste per qualche elezione o dovranno essere nominate persone in qualche ruolo? Non ne sarei così sicuro. Poi, personalmente, penso che astenersi e invitare all’astensione per far prevalere il no, appropriandosi del’astensionismo fisiologico, sia una violazione del fair play (ne ho scritto qui: http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:3215)

  4. Paolo Surace

    La citazione dei fatti del 1913 ed il richiamo ai metodi del regime fascista, sui quali l’autore si dilunga, costituiscono, secondo me, una pessima caduta di stile. Con tali premesse, le argomentazioni dell’autore sulla liceità dell’invito al non voto non meritano commenti.

  5. Henri Schmit

    Perché il quorum di fatto esistente è pure giustificabile? Se fossimo in una democrazia diretta, tipo Atene 460 a 330 BC, dove l’assemblea popolare era legislativa, il quorum sarebbe un freno assurdo. Ma dal momento che con 50 milioni di cittadini attivi abbiamo scelto una democrazia rappresentativa in cui una camera di 600 deputati esercita il potere legislativo, non ci dobbiamo contraddire, e non dobbiamo permettere a minoranze di bloccare l’attività dei rappresentanti. Se i nostri rappresentanti sono inadeguati e incapaci perché scelti con una procedura truffaldina (nominati dai palazzi invece di essere selezionati dai cittadini), dovremmo sanare questo vizio invece di aggiungerne altri. Il referendum abrogativo di una legge crea un conflitto fra la minoranza che vuole abrogare e la (presunta) maggioranza che ha eletto la (effettiva) maggioranza dei deputati. Solo eccezionalmente il quorum è una contraddizione, cioè quando il popolo decide da solo, senza confronto con un legislatore legittimo (e altre istituzioni legittime di garanzia), cioè per fare una rivoluzione contro il potere pubblico illegittimo che abusa del proprio potere. Siamo arrivati a quel punto? Forse (la camera è eletta con una legge truffaldina, dichiarata tardivamente incostituzionale e lasciata artificialmente in carica). Ma dobbiamo per questo erigere il potere rivoluzionario (contro il potere costituito) della minoranza in sistema? Ne dubito.

  6. Cleto Giansante

    Per come é strutturato l’istituto referendario, l’unica scelta razionale che può compiere chi vuole votare NO é non recarsi alle urne astenendosi. Non esistono altre scelte razionali. Ciò è dovuto al fatto che il quorum attualmente coincide con il 50% + 1. Pertanto se i SI raggiungono il 50% +1, i voti dei NO sono assolutamente ininfluenti. Quindi chi va a votare NO, rischia solo di ottenere il risultato contrario rispetto al proprio voto, facendo raggiungere il quorum e rischiando di far vincere il SI (che comunque vincerebbe se raggiungesse la maggioranza senza i voti dei No). Per evitare questo fenomeno, il quorum andrebbe abbassato, ad esempio al 50% + 1 degli effettivi votanti alle ultime elezioni politiche (quindi il 37,5% con riferimento alle elezioni 2013).

  7. Riccardo

    Concordo che vi sia un problema di segretezza del voto, che è appunto legato agli incentivi legati al meccanismo del quorum, visto che mi pare troppo chiedere alle forze politiche di scegliere strategie perdenti, come “andare a votare no”.

    Allora se questo è il problema, come è stato proposto nei commenti, sarebbe meglio contare i voti nulli e bianchi (o almeno bianchi) come astenuti, abbassando il quorum. Ma sono fortemente contrario ad eliminarlo, perchè la maggioranza semplice dei votanti secondo me non è un meccanismo ottimale in questo tipo di scelte. E questo per il semplice motivo che le leggi da abrogare non sono leggi calate da chissà dove, ma da un Parlamento eletto dagli stessi cittadini. I quali hanno esattamente delegato ad esso la funzione legislativa, per molti ragionevoli motivi.

    Vi deve essere una maggioranza qualificata, a mio avviso, per abrogare leggi del parlamento.

  8. Michele

    Articolo molto interessante.
    Non condivido solo i timori di uno uso eccessivo dei referendum.
    Se ne fanno davvero pochi, già ora, quindi non capisco.
    In più, l’astensione ha raggiunto in Italia livelli assurdi (le ultime amministrative quasi al 50%, e sono le amministrative!!!).
    L’ignoranza di molti non deve colpire la conoscenza degli altri.
    Siamo cittadini, non sudditi, così rischiamo di fare quella fine.

  9. ms

    Completamente d’accordo, salvo la questione delle firme (sulla quale non ho ancora una opinione).
    Fino a venti anni fa le forze politiche non usavano l’astuzia dell’astensione, ma sostenevano a viso aperto le proprie opzioni. Questo penso fosse il senso del referendum abrogativo introdotto dalla Costituente.
    Ho già sottoscritto una petizione per abolire il quorum. Mi sembra necessario abolire il quorum o ridurlo ad un minimo (20% ad es.) per contrastare l’immoralità della politica che usa l’astuzia invece dell’informazione e del convincimento.
    La legittimazione politica dell’astuzia rende peraltro la popolazione sempre più ignorante e incapace di esercitare un controllo democratico sui governi. Non si discute ovviamente la libertà del singolo di non andare a votare, ma la legittimità politica di usare questa opzione quando esiste la possibilità di dire un Si o un No.

  10. davide

    Interessante articolo. Il quorum servirebbe anche alle elezioni politiche: con un’astensione come quella del 2013 si dovrebbero annullare. Il non tener conto di chi non vota, quando le percentuali sono altissime, chiaramente è pura scaltrezza da parte della classe politica in carica.

  11. Alessandro Radaelli

    si nota che l’articolo si fonda su insinuazioni subdole e finalizzate a contestare l’operato del governo senza però avere il coraggio di esprimerlo. I presupposti sono errati perché non si trattava di elezioni politiche ma di referendum per il quale la nostra costituzione prevede il quorum e quindi già i padri costituenti avevano previsto astensione. anche il secolo passato dai fatti citati in apertura non è irrilevante rispetto alle situazioni socio-politiche. In sostanza non è ricevibile accusa di voler identificare elettori. Riguardo invece alla proposta di chiusura articolo di variazione quantità raccolta firme e quorum per referendum questa è già contenuna nella riforma costituzionale in essere… bastava dirlo!!

  12. Corrado Tizzoni

    La considerazione svolta nell’ articolo può essere fatta per ogni tipo di votazione popolare: chi si astiene rende evidente che non ha votato a favore di nessuno e quindi il suo ‘voto’ non è segreto. Il ragionamento vale anche per il partito che chiede il voto per sè: se un elettore non va a votare, sicuramente quell’ elettore non ha sostenuto quel partito come ovviamente tutti gli altri presenti alla competizione elettorale. E allora? che cosa bisogna fare? Forse vietare l’ astensione, rendere obbligatorio il voto? Francamente mi sembra una argomentazione bizantina priva di qualsiasi spunto di buon senso.

  13. ms

    Non difendo l’autore (che non ne ha bisogno), ma replico ad altri: il fatto che modifiche alla regolamentazione del referendum siano introdotte nella riforma costituzionale insieme a molte altre cose è un problema della proposta di riforma.
    La logica del “pacchetto completo” e la personalizzazione disarmano ora l’elettorato, creando dilemmi difficili da risolvere. Una soluzione che già si configura è il non informare e appunto “personalizzare”: ma non siamo più, appunto, solo contadini e pastori analfabeti. Rispetto al 1948 – sembra strano a dirsi talvolta – la popolazione è enormemente più istruita. Gli stessi pastori e contadini sono diplomati e talvolta laureati. Immaginate un cittadino italiano che consideri positivo un pezzo della riforma (ad es. il titolo V) e negativo un altro (ad es. il nuovo Senato), oppure viceversa. Come dovrebbe mai votare questo “ex contadino analfabeta” che oggi è capace di leggere, fare analisi e formarsi opinioni anche articolate sul mondo in cui vive? L’assurdo, il paradosso democratico, è che lo stesso governo che ha perseguito un “No” con l’astensione (sommando disinformati a chi ha correttamente espresso un “No” di opinione) ora chiede un “Si” complessivo su pezzi di riforma che potrebbero meritare risposte diverse, poiché non necessariamente legati. Leggo con piacere che viene avanzata l’ipotesi di voti per parti, seguendo il principio di omogeneità dei quesiti, di modo che sia possibile valutare le conseguenze del proprio voto

  14. Luca Demattè

    Quello che nell’analisi proposta dall’articolo sembra che manchi completamente è qualche riflessione che faccia capire come, in tempi di effetto NIMBY, una posizione moralmente ammirabile come l’invito a votare no da parte del partito al governo avrebbe certamente contribuito ad affossare e la legge e lo stesso governo sostenuto dal partito. Ma a chi nel partito al governo potrebbe mai venire in mente la follìa di privilegiare questo lusso da anime belle?

    • ms

      L’argomento del realismo politico fa sempre presa, ma è costruito ex post. I Si sono stati 13.6 milioni e i No 2.2. I voti PD alle ultime elezioni 8.6 milioni. Opinabile il calcolo, ma sommando 8.6 a 2.2 si avrebbero 10.8 milioni di No, una piccola distanza a favore dei Si. Questo conteggio ha poco senso perché il partito di governo non ha fatto campagna per il No e l’appello all’astensione ha probabilmente rafforzato la determinazione dei potenziali Si ad andare a votare (per raggiungere il quorum). Ad occhio e croce quindi un controfattuale (che cosa sarebbe successo se …) non convince nemmeno in termini di realismo. E c’è qualcosa in più: il “not in my backyard” di cui parla è rafforzato dalla sfiducia nel modo con cui la politica prende le decisioni, dal fatto che sia più o meno in grado di controllare l’attività di società private concessionare, garantire correttezza nel funzionamento di mercati (appalti, concessioni), trasparenza, pari opportunità e/o non discriminazione nelle selezioni. Lo stesso partito di governo sembra voler introdurre strumenti di partecipazione locale su decisioni infrastrutturali, mostrando di voler andare nella direzione contraria a quella che lei sostiene: “anime belle” versus “più realisti del re”?

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