Lavoce.info

Quegli investimenti che Industria 4.0 dovrebbe fare

Per rilanciare il nostro sistema produttivo, Industria 4.0 dovrebbe colmare il ritardo nell’adozione delle Tic, con interventi per la diffusione della banda larga e dei servizi di cloud computing. Come inserirsi nelle catene globali del valore. Il secondo articolo di analisi del piano del governo.

Cos’è Industria 4.0

Nell’articolo precedente (link) ho analizzato alcuni dati sul grado di penetrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic). L’analisi offre spunti utili per ragionare sul piano Industria 4.0, ovvero la quarta rivoluzione industriale. Cito dalla presentazione del ministro Calenda a Milano: si tratta di un modo di organizzare la produzione basato su macchine interconnesse e sull’analisi di big data. Al di là del marketing, il piano mira all’aumento della penetrazione delle tecnologie digitali nel sistema produttivo italiano sia attraverso interventi infrastrutturali (banda larga) sia con incentivi agli investimenti (superammortamento e iperammortamento, crediti di imposta per spese in ricerca e sviluppo).
Nel 2012 per un rapporto sugli incentivi alle imprese curato assieme a Francesco Giavazzi, elaborammo un semplice criterio per decidere se una misura fosse ammissibile. Primo, deve rimediare a qualche fallimento di mercato. Secondo, lo strumento utilizzato deve essere di provata efficacia. I due criteri sono utili per valutare l’approccio di Industria 4.0.
In via generale, le linee guida sono condivisibili. Si rinuncia a scegliere specifiche aree di intervento (politiche verticali) per focalizzarsi su “fattori abilitanti” (politiche orizzontali o di contesto): non è il ministro che può sapere dove andrà il mondo, meglio lasciarlo decidere agli imprenditori. In termini di strumenti di intervento, si privilegiano quelli automatici, come il credito d’imposta o l’ammortamento maggiorato, rispetto ai bandi a progetto. Anche qui, l’evidenza mostra che è la strada giusta: i primi possono funzionare, soprattutto se mirati alle piccole imprese, mentre non c’è evidenza robusta di un incentivo a bando che sia stato efficace.

Finanziare gli investimenti immateriali

Il punto su cui servirebbe una maggiore focalizzazione è la scelta di cosa finanziare, soprattutto dati i vincoli di spesa dello stato. Non tutti gli interventi annunciati ovviano a un chiaro fallimento di mercato. Ad esempio, non credo che la sfida competitiva si vinca incentivando genericamente gli investimenti in macchinari col superammortamento. La legge “Sabbatini” è uno strumento vecchio ed è tempo di mandarlo in pensione. Meglio concentrare le risorse sugli investimenti immateriali, che per cultura imprenditoriale, esternalità e rischiosità sono più soggetti a problemi. E sono l’elemento su cui si vince o si perde la sfida competitiva nei paesi avanzati.
Possiamo essere ancora più specifici. La teoria e l’evidenza vista nell’articolo precedente ci dicono due cose. In primo luogo, pesa la struttura dimensionale delle imprese. Una caratteristica di molte Tic è una forte componente di costo fisso, che rende poco conveniente l’adozione da parte delle piccole imprese. Fanno eccezione le tecnologie cloud based, dove un’impresa può pagare un costo in base all’utilizzo, lasciando al fornitore di servizi quello fisso di fare manutenzione, gestire la sicurezza, aggiornare i software e così via. Guarda caso, la diffusione dei servizi di cloud computing ha un andamento completamente opposto rispetto al resto delle Tic: il tasso di penetrazione è quasi quadruplo in Italia rispetto alla Germania (42 per cento rispetto a 11 per cento); le differenze fra classi dimensionali sono molto contenute.
Il cloud computing è una tecnologia che potrebbe rispondere alle esigenze e specificità delle Pmi. Importante quindi favorirne la diffusione. Bene accelerare sulla diffusione capillare della banda larga. È necessario anche garantire un quadro normativo di riferimento chiaro e certo: le imprese italiane riportano che l’incertezza al riguardo è più importante nel limitarne l’utilizzo rispetto al costo dei servizi.
L’altro aspetto riguarda la diffusione delle tecnologie che permettano alle imprese di inserirsi nelle catene globali del valore, dove si registra un ritardo anche a parità di struttura dimensionale. Il processo dovrebbe essere guidato dalle “capofila”, cioè da imprese medio-grandi che spingono i loro fornitori a seguirli. La presenza di una platea ristretta di imprese medio-grandi in Italia riduce il tasso di penetrazione. Dato che il problema sono le esternalità di network — coordinare l’investimento lungo tutta la catena clienti-fornitori –, si dovrebbero prevedere incentivi agli investimenti a livello di network stesso. Ad esempio, l’impresa capofila potrebbe stilare una lista dei propri fornitori, i quali avrebbero accesso a crediti d’imposta per investimenti in tecnologie di tipo Scm (supply chain management). Le agevolazioni potrebbero estendersi a spese per formazione del personale, che sono un aspetto in cui il ritardo italiano è molto forte, particolarmente fra le Pmi.
Il sistema produttivo italiano sconta un ritardo nell’adozione delle Tic. Abbiamo bisogno di una politica industriale “umile”, che utilizzi la teoria economica e l’evidenza empirica per capire dove concentrare le poche risorse disponibili. Il ministro si consulti, ascolti e poi decida. Non credo che la “cabina di regia” in formato assembleare, di cui si sono viste alcune foto su internet, sia il modo migliore per formulare e realizzare il progetto.

Leggi anche:  Le privatizzazioni, una storia di illusioni perdute

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Mission impossible: rifinanziare le misure anno per anno

Precedente

Il dopo-Expo e Human technopole

Successivo

Il capitalismo dei mezzi di connessione

  1. Alberto

    Per di più il piano Industry 4.0 presentato dal governo contiene intrinsecamente un ossimoro: vorrebbe incentivare il cloud (che per sua natura trasforma gran parte del capex in opex) attraverso il super(iper)ammortamento che per sua natura ovviamente si applica solo al capex! Da chiarire se è una svista, una mancanza di cultura tecnologica oppure scelta obbligata per motivi di bilancio statale (e quindi inutile per questo modello di fruizione delle tecnologie) dal momento che questo tipo di incentivi produrrebbe un aumento immediato del PIL (che si verifica all’acquisto del bene di investimento, che però deve essere acquistato e non “fruito in cloud”) a fronte di un incentivazione spalmata su tutto il periodo pluriennale di ammortamento dello stesso.

  2. Michele

    Che beneficio porta il superammortamento al 140%? Dal 2.5% al 3.5% annuo di risparmio di imposte per un periodo limitato di tempo. Tra l’altro abbassare contemporaneamente l’aliquota IRES diminuisce ovviamente il valore l’incentivo. Basta questo a far aumentare il livello degli investimenti oppure produce solo un gradito incremento degli utili netti? In un clima di grande incertezza e fluttuazioni circa la domanda di mercato, in una situazione dove non è servito ad aumentare gli investimenti neanche un costo opportunità del capitale ridottissimo, un miglioramento marginale del payback e del IRR servirà ad aumentare gli investimenti oppure aumenterà solo l’utile su investimenti già comunque decisi?

  3. Andrea

    Ma di cosa stiamo parlando del passato di quello che é passato? La Germania é dal 2012 che applica il 4.0 e i risultati si vedono con un pil quasi doppio dell’Italia. La diffusione del cloud non farà altro che spostare i ricavi verso quelle nazioni tecnologicamente avanzate, non solo a parole, e con regimi fiscali comodi leggi vedi UK di domani, altro che Brexit

  4. Luca

    Premesso che i servizi cloud hanno tutte le problematiche legate nel trasferire l’intero know how spesso in altre nazioni, l’India è il Paese più attivo e i Paesi in cui risiede la server farm hanno legislazione diversa soprattutto sulla privacy, dimentica che un esperto IT laggiù costa 6 USD l’ora. Se per rilanciare l’economia di una nazione bastasse aumentare la velocità di connessione in Internet, allora la Romania che è il Paese Europeo con la più elevata banda di connessione (media 55,67 Mbs) dovrebbe aver risolto molti dei sui problemi economici. Le ragioni per cui il tessuto aziendale italiano è strutturato in micro-piccole aziende dedite a settori completamente diversi e sconta decenni di ritardo ai settori emergenti di R&S nelle quali le giovani menti italiane sono costrette ad emigrare non ha nulla a che vedere con la capacità o meno di possedere tecnologie TLC . Le faccio un banale esempio, le librerie indipendenti sono in profonda crisi e da anni chiudono una dietro l’altra non riuscendo a reggere alla concorrenza con i colossi come Amazon e Ebay che vendono con sconti talvolta superiori al loro margine lordo. Come ben saprà la tassazione nei Paesi in cui corrispondono le imposte è una frazione di quella nostrana, i centri commerciali aggirano il limite dello sconto praticabile con buoni sconto. In Francia per limitare questa moria, hanno emanato delle Leggi a sostegno delle piccole librerie garantendo decine di migliaia di posti di lavoro.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén