Con l’approvazione della legge di bilancio 2017 è partita una nuova procedura di monitoraggio e revisione delle spese fiscali. Delle quali però non esiste una definizione univoca. E dunque potrebbe essere arduo dividere nettamente le valutazioni tecniche da quelle più propriamente politiche.
Due strumenti per la nuova procedura
Con l’approvazione della legge di bilancio 2017 ha preso avvio una nuova procedura di monitoraggio e revisione delle spese fiscali che si caratterizza per due elementi fondamentali: la ciclicità e la maggiore integrazione con il processo di bilancio.
La ciclicità dovrebbe garantire continuità nell’impostazione metodologica consentendo una maggiore trasparenza nella descrizione l’evoluzione del fenomeno e un graduale miglioramento dei metodi di stima e valutazione. Il legame con il processo di bilancio dovrebbe favorire la realizzazione di misure concrete di razionalizzazione.
La procedura prevede due strumenti chiave. Il primo è un rapporto di natura tecnica redatto da una commissione di esperti nominata dal ministero dell’Economia e Finanza. L’obiettivo è individuare le spese fiscali e di fornire per ciascuna una descrizione degli effetti finanziari ed economici. Il secondo è un rapporto programmatico in cui il governo deve indicare le spese fiscali che intende ridurre, eliminare o riformare con la manovra annuale perché ritenute non più giustificate o perché si sovrappongono a programmi di spesa.
Gli esiti dipenderanno in primo luogo dal grado di integrazione che si realizzerà fra i due strumenti. Riuscirà l’analisi tecnica a fornire un supporto efficace alle scelte governative? Presto per dirlo, ma la lettura del primo rapporto presentato dalla commissione presieduta da Mauro Marè nell’autunno scorso consente già di individuare alcuni aspetti problematici.
Valutazioni tecniche e valutazioni politiche
Il primo è sicuramente la scansione temporale prevista dalla legge. Le norme prevedono che il rapporto programmatico sia presentato dal governo come allegato alla nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza circa un mese prima del rapporto della commissione tecnica, che deve essere invece allegato alla legge di bilancio. Una scelta che ovviamente riduce la probabilità che il rapporto tecnico sia effettivamente utilizzato come base informativa del rapporto programmatico. Non si può che condividere quindi la sollecitazione della commissione Marè al legislatore perché modifichi la norma allineando le sequenze logica e temporale dei due rapporti.
Il secondo elemento di criticità riguarda la possibilità che sia effettivamente possibile suddividere nettamente le valutazioni tecniche, di competenza della commissione ministeriale, da quelle più propriamente politiche, da esprimere nel rapporto programmatico.
La commissione ha fondamentalmente due compiti: individuare le spese fiscali e fornire una valutazione degli effetti. Il problema nasce perché il primo passo, in apparenza banale, è in realtà tutt’altro che meccanico e richiede di effettuare scelte di tipo discrezionale. Non esiste infatti una definizione univoca di spesa fiscale. L’approccio più comunemente utilizzato è quello di definire tale ogni misura che riduce il gettito per uno specifico gruppo di contribuenti o una particolare attività economica introducendo un’eccezione rispetto a quello che dovrebbe essere il trattamento fiscale di riferimento (il benchmark). Ma come si individua tale riferimento? È quello prescritto da qualche modello teorico? Oppure è il trattamento previsto dalla legge vigente in casi simili? Al variare del riferimento scelto varierà sensibilmente la composizione e la dimensione dell’insieme delle misure classificate come spese fiscali. Per di più, l’incertezza permane anche dopo che il benchmark sia stato scelto.
La commissione Marè ha deciso di non identificare il trattamento fiscale di riferimento con un particolare modello teorico perché la scelta sarebbe soggetta a un ampio margine di arbitrio. Ha quindi preferito utilizzare come benchmark il sistema tributario vigente. Ma anche questa opzione non ha eliminato la discrezionalità nell’individuazione delle spese fiscali. In effetti la commissione ha dovuto esprimere un giudizio caso per caso, tenendo conto di una pluralità di elementi (le norme istitutive del tributo, le intenzioni del legislatore, l’ampiezza della platea interessata e l’impatto finanziario).
Ne è derivata una selezione sicuramente accurata, descritta nella tabella 1, ma con diversi casi in cui le ragioni che hanno portato all’inclusione (o esclusione) non appaiono nettamente superiori a quelle che avrebbero consigliato un’esclusione (o inclusione). Ad esempio, sono stati esclusi dalla lista, perché considerati elementi strutturali del nostro sistema fiscale, l’Ace, l’aliquota ridotta sui rendimenti dei titoli di stato, il prelievo sostitutivo sui rendimenti e le prestazioni della previdenza complementare.
I rischi derivanti dall’ambiguità della nozione potrebbero essere contenuti inserendo tra le spese fiscali anche quelle misure sulla cui natura esiste un margine d’incertezza. Ciò consentirebbe di valutarle in un secondo momento tenendo anche conto delle informazioni sui loro effetti finanziari ed economici.
L’organizzazione delle informazioni in modo che siano evidenti i trade-off fondamentali che la politica deve risolvere è in effetti un altro aspetto che la commissione ha individuato come problematico, rinunciando ad esempio a classificare le varie misure secondo la loro finalità. Sono difficoltà che troveranno probabilmente soluzione nei prossimi mesi, durante i quali la commissione si è anche ripromessa di pubblicare i risultati delle prime valutazioni degli effetti micro-economici e distributivi delle varie misure.
Tabella 1 – Numerosità delle spese fiscali riferite ai tributi erariali
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