Sono tanti i fattori che determinano il salario, compresa la reputazione del lavoro svolto. Se l’opinione pubblica ha scarsa considerazione per una professione, la rivendicazione salariale si fa difficile. Emblematico il caso degli insegnanti.
Un’opinione sugli stipendi
Come si definisce il valore del lavoro? Cosa concorre a determinarne il salario e perché a volte non comprendiamo certi livelli? Il lavoro è ancora un bene speciale, preservato dalle logiche di mercato?
La definizione della retribuzione − tema assai dibattuto nel passato − è oggi tornata in auge a causa sia dell’affievolirsi del rapporto compenso/lavoro sia per il livello basso delle retribuzioni. Così il lavoro non pone più al riparo dal rischio povertà e più voci evocano minimi retributivi o redditi di cittadinanza.
Generalmente la determinazione del prezzo di mercato fa riferimento a fattori oggettivi, quali la produttività, la tecnologia o la fatica, o soggettivi, come la moda, la contrattazione o la considerazione sociale. Tuttavia, sempre più spesso concorrono ragioni extra-economiche: l’asimmetria informativa, la tattica delle multinazionali, il network, la fiscalità, lo skills mismatch (squilibrio tra competenze e mercato del lavoro) o l’aggiramento delle norme.
Si può però proporre un punto di vista diverso: la figura 1 mostra le retribuzioni medie mensili che le persone ritengono giuste per certe professioni, una sorta di valore reputazionale del lavoro, una stima comprensiva delle abilità, delle responsabilità e dell’istruzione implicite. Nell’Indagine Plus si è chiesto il valore che si ritiene giusto per otto professioni (dipendenti, full-time), scelte secondo tre criteri:
1) professioni-simboliche, spesso indicate come strategiche per il nostro paese: restauratori di quadri del Cinquecento, ricercatore scientifico ed esperti per la tutela del territorio (come biologo o geologo).
2) professioni-bandiera di prestigio (cardiologo), tipiche pubbliche (insegnati), tipiche private (operai) e non prestigiose (badanti). Indicano pure, in qualche modo, un ruolo sociale decrescente.
3) propria professione ovvero il valore che le persone danno al proprio impiego.
Il valore reputazionale è più alto rispetto al valore ottenuto dal mercato. In termini comparati, il salario di molte professioni è prossimo ai salari minimi presenti in paesi simili. La differenza media è di circa 30 punti, compresa tra un minimo per gli insegnanti (4 per cento) e un massimo per i restauratori (51 per cento). Contribuiscono alla volatilità la scarsa conoscenza del profilo di questi lavoratori: se le mansioni e le competenze dell’operaio sono note, molto meno lo sono quelle di un restauratore. Il ricercatore e il cardiologo godono di ampia considerazione. Basso è il credito reputazionale della badante, spia di scarsa considerazione delle professioni generiche. È questo il terreno di cova del lavoro nero, degli infortuni o del caporalato: diventa difficile chiedere per sé ciò che non si riconosce agli altri.
Figura 1
Fonte: Plus 2016
Questi dati, in sostanza, indicano la considerazione in cui sono tenuti gli ambiti lavorativi e le persone che se ne occupano. Ovvero rappresentano una stima indiretta del valore dell’oggetto del lavoro. In altre parole, per dare valore al lavoro del ricercatore, del geologo o del restauratore bisogna (ri)dare valore al capitale umano, naturale e culturale. Sotto questa lente, l’esperto di tutela del territorio e, ancor più, l’insegnante non ne escono bene: le retribuzioni auspicate restano basse. Inevitabilmente il pensiero corre ai disastri ambientali o alle risorse per la scuola. Serve, forse, un nuovo sistema di valori.
Molteplici tendenze inibiscono le rivendicazioni salariali: robot, parcellizzazione del lavoro, debolezza dei sindacati, legislazioni che riducono l’impegno reciproco impresa-lavoratore (separazioni facili), globalizzazione, gig economy quando, invece, un po’ di dinamica salariale sarebbe salutare per i consumi, la previdenza, il benessere. Il rischio è un esercito di riserva permanente di braccianti analogici e digitali. Emerge una specifica domanda di rappresentanza, tutele e servizi.
Più di tutte le parole spese fin qui, è paradossale come l’attore Jim Parsons guadagni 1 milione di dollari per ogni puntata di The Big Bang Theory per interpretare lo scienziato precario Sheldon Cooper.
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Savino
Il salario giusto dipende dal merito e dalla produttività
Alberto
Se fosse così un infaticabile ricercatore di glottologia di fama mondiale dovrebbe percepire più di uno sfaticato notaio. Il mercato detta le sue leggi, le norme giuridiche ne dettano altre (vd. i notai), e chissà perché un tronista (ebbene sì, esiste anche questa professione) per apparire una sera in discoteca percepisce più di fisico ricercatore in un laboratorio universitario e non credo che il lavoro di quest’ultimo sia poco considerato.
Paolo Ottomano
Come “videomaker” e fotografo (e già mi vergogno a dire che sono entrambe le cose), purtroppo, merito e produttività vengono sempre messi in secondo piano dal fatto che, siccome è facile fare un video con lo smartphone e tutti potremmo farlo, allora tutti pensiamo di poterlo fare bene. E che quindi non valga la pena di pagare bene (o anche solo pagare) chi, per esempio, ti fa un video o delle foto per la tua attività commerciale. E ciò influisce sugli stessi videomaker più giovani, che “per farsi conoscere” fanno prezzi troppo bassi e distruggono il mercato, e così via. Forse basterebbe insegnare a scuola non dico tutti i mestieri, ma almeno far capire la complessità che si nasconde dietro professioni apparentemente alla portata di tutti (guarda caso, soprattutto quelle umanistiche).
EzioP1
Un parametro non è considerato ed è quello dell’equilibrio tra costi del prodotto o servizio e prezzo con il quale viene collocato sul mercato. Questo equilibrio seppure sia molto difficile da stabilire in effetti è stato applicato in larga misura quando un prodotto o servizio nuovo veniva inserito nel mercato. Negli anni ’60 e ’70 il lavoro degli specialisti in analisi dei processi e programmazione dei computer erano ben pagati in quanto erano lavori nuovi e si doveva incentivare gli studenti a queste nuove discipline; con il passare del tempo e con il crescere degli addetti i salali si sono livellati. Altro parametro da considerare è la professionalità ovvero l’insieme di capacità ed efficacia nello svolgere determinati compiti. La professionalità fa da bilanciamento tra il grado di istruzione e le capacità autodidattiche che la persona si è costruito. Non devono essere considerate solo le etichette blu ma anche i riconoscimenti e le promozioni sul campo. Oggi siamo all’assurdo che a certi posti senza laurea non si accede, succede così che chi ha una laurea anche bislacca viene valorizzato di più di chi invece è in grado di svolgere meglio determinati compiti.
DDPP
Anche il lavoro, come gli altri prodotti, è offerto su mercato. Non è tanto la competenza, ma la scarsità della competenza specifica che ne determina il valore. L’esempio del tronista è pertinente se lo considera un “lavoro” a cui si deve dare un valore di paragone con altri, ma così non è.
Per fare il tronista devi essere molto bello, devi essere giovane, devi essere sfrontato. Devi avere fatto una gavetta (Weinstein insegna) a cui solo pochi si sottopongono. E devi farlo in un ambiente “lavorativo” a dir poco competitivo. Quanti saranno i “tronisti” sulla piazza? 10, 100, 1000? E quanti sono gli aspiranti insegnati ? 100.000, 500.000, 1.000.000?
Questa differenza fa il prezzo!