I due referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto hanno riportano in primo piano l’annoso dibattito sul riordino complessivo delle regioni italiane. Intanto, in meno di un anno la Francia ha attuato una riduzione significativa delle sue regioni.
Referendum e riordino delle regioni
Il 22 ottobre i cittadini di Lombardia e Veneto sono stati chiamati alle urne per il referendum per l’autonomia. Intanto, la Regione Emilia Romagna ha avviato un confronto con il governo centrale per l’assegnazione di competenze aggiuntive.
Se oggi sono al centro dell’attenzione le scelte delle regioni per ottenere maggiori poteri, della loro organizzazione si discute da tempo in Italia, anche perché sono numerosi i problemi irrisolti del regionalismo italiano.
Le proposte italiane
La riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 ha attribuito maggiori poteri alle regioni senza considerare i divari di popolazione, di superficie, di reddito pro capite, di livello di sviluppo economico e le differenze di efficienza dell’azione dei governi regionali. A prescindere dal federalismo fiscale all’italiana esistevano – e permangono tutt’oggi – buone ragioni per un riordino territoriale: due regioni – Valle D’Aosta e Molise, una a statuto speciale e l’altra a statuto ordinario – hanno rispettivamente 130mila e 320mila abitanti; Umbria e Basilicata non arrivano al milione, quindi un dato inferiore alla popolazione di molti comuni capoluogo, nonché a numerose province. Altre sette regioni (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Marche, Liguria, Sardegna e Calabria) non raggiungono i due milioni di abitanti, ampiamente superati dal comune di Roma, che ha una forte incidenza sulla popolazione e sulla superficie della Regione Lazio.
La questione del riordino delle regioni riguarda anche il regime ordinario e quelli speciali, varati in un contesto storico-politico ed economico-istituzionale da tempo modificato: si pensi al ruolo dell’Unione Europea e della moneta unica, alla coesione territoriale e all’indebolimento dei confini tra Stati. In altre parole “l’Italia rimane un paese lungo e stretto”, ma è nell’Unione Europea.
Nella XVII legislatura sono state depositate numerose proposte di legge di delimitazione di singole regioni. Ci sono poi i progetti di riordino complessivo: Stefano Caldoro e Sergio Chiamparino, rispettivamente ex presidente della Campania e attuale presidente del Piemonte, propongono 5 macroregioni; il presidente del Consiglio regionale della Lombardia Raffaele Cattaneo indica tre ipotesi: 3 macroregioni; 9 regioni comprendenti regioni a statuto ordinario e speciale; 15 regioni, 10 a statuto ordinario e 5 a statuto speciale; Gian Luca Galletti, con il sostegno del presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, prospetta la creazione di 4 macro regioni, senza modifiche per le regioni a statuto speciale; Roberto Morassut e Raffaele Ranucci auspicano la creazione di nove macro regioni, la soppressione della Regione Lazio, l’attribuzione alla provincia di Roma dello status di regione, mentre Trentino Alto Adige, Sardegna, Sicilia e Lombardia restano invariate.
Tabella 1 – Confronto tra le proposte di delimitazione delle regioni
Note: (*) Riguarda solo le Regioni a statuto ordinario. (**) La regione Lazio è soppressa e alla provincia di Roma è attribuito lo status di regione. Trentino Alto Adige, Sardegna, Sicilia e Lombardia restano invariate.
Nel 2014 è stata istituita la commissione Lanzetta (dal nome dell’ex ministro per gli Affari regionali) con il compito di valutare la fattibilità delle modifiche da apportare all’assetto attuale.
Composta in prevalenza da giuristi, non ha raggiunto conclusioni univoche e ha avanzato due proposte generali. La prima indica la necessità di forme di coordinamento operativo e gestionale fra le regioni. La seconda riguarda i meccanismi costituzionali di riduzione del numero delle regioni e della modifica dei confini territoriali. Un’ulteriore conferma della difficoltà delle riforme in Italia
Può dunque risultare interessante confrontare la discussione italiana con quanto è stato fatto in Francia.
Il taglio delle regioni in Francia
Nel 2015 il numero delle regioni di Francia è stato ridotto da 22 (escluse le regioni d’oltre mare) a 13 (compresa la Corsica, a statuto particolare). Sono state create sette nuove regioni, mentre sei sono rimaste invariate.
Il riordino territoriale è stato giustificato con l’esigenza di ridurre la spesa pubblica, creare regioni di taglia europea, definire territori più coerenti per le politiche regionali.
Nel corso del processo decisionale il numero delle regioni ha subito numerose variazioni ed è emersa l’assenza di criteri che permettessero di individuarne la dimensione ottimale dopo aver considerato con la dovuta attenzione i benefici per l’aumento della taglia e i costi derivanti dall’eterogeneità delle preferenze nei territori regionali.
La popolazione media di una regione è aumentata da poco più di 3,1 milioni di abitanti a quasi 4,9 milioni. Esclusa l’Ile de France, con oltre 12 milioni di abitanti, nessuna regione supera i 10 milioni di abitanti. Da notare che i primi tre länder della Germania hanno una popolazione compresa tra 17,5 e 10 milioni di abitanti.
Le differenze in termini di reddito e di prodotto interno lordo pro capite non sono molto rilevanti ed evidenziano che da tempo la Francia non è più “Parigi e il deserto francese”.
Dunque, la nuova delimitazione è stata una scelta politica molto discrezionale, con un ruolo debole delle regioni che hanno chiesto nuove competenze, autonomia fiscale, trasferimenti finanziari e il potere di adattare le funzioni al proprio territorio.
Così, nonostante il ruolo crescente registrato nell’attuazione della decentralizzazione, anche le nuove regioni restano il livello di governo territoriale più fragile: il loro bilancio vale solo il 13 per cento di quello dei comuni, dei dipartimenti e delle istituzioni per la cooperazione intercomunale. Resta comunque il fatto che il governo ha portato a termine il riordino delle regioni in meno di un anno.
Dopo il referendum costituzionale del 2016 e i due referendum regionali del 2017, il tema del riordino territoriale delle regioni dovrà essere al centro dell’azione del nuovo parlamento e del nuovo governo.
Se continuiamo a discutere le proposte senza decidere, non possiamo lamentarci del decisionismo alla francese.
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Henri Schmit
Sono d’accordo con lo spirito generale dell’articolo. Nonostante la mia ammirazione per le stituzioni della Francia (dove ho studiato) non penso che la recente riforma delle regioni sia solo positiva. L’Italia ha il pregio di un regionalismo più autentico, più autonomista, meno centralista. Servono regole centrali che incentivano le regioni (o alcune di loro) a fondersi in enti più grandi e più efficienti. Ma non esiste quello che l’autore chiama “regioni di taglia europea”; questa è retorica; di solito si segue una best practice; in questo caso il modello è il federalismo tedesco, ma nelle strutture, non nella dimensione. Esistono paesi in cui le regioni godono di un’ampia autonomia settoriale e paesi che hanno regioni con pochi poteri, e esistono (fra i primi) paesi in cui le regioni hanno una governance veramente democratica e altri dove questa governance è scarsamente democratica. Secondo me, la soluzione è (in questo ordine) 1. democrazia locale, 2. efficienza amministrativa e dimensione, 3. autonomie.
bob
L’ Europa futura se futuro avrà si chiamerà: Germania! Quando parla la Germania parla la Merkel ! Punto ! Un copia – incolla di concetti che non riesco a capire..” 1) democrazia locale” ?. Cosa vuol dire?? L’ Italia di per se per dimensioni è una Regione. Autonomia di che? per dirla come Luciano Benetton
Henri Schmit
Non sono filogermanico. Ma i Länder tedeschi – preesistenti alle Repubbliche di Bonn e di Weimar – sono autentiche democrazie, con veri parlamenti (non ci sono le Minetti di lombarda memoria), veri governi (non casse acustiche di governatori più o meno dispotici), vere votazioni (elezione dei parlamenti, iniziative popolari, referenda), vere competenze con vere responsabilità. La Francia mi sembra che abbia fatto per una volta all’italiana: copiare le apparenze (la dimensione) per avere l’illusione dei benefici. Per quanto riguarda le regioni l’Italia, nonostante i numerosi difetti, è avanti sulla Francia. – L’Europa non sarà germanica (lo è già stata due volte, dal 1871 al 1918 e dal 1939 al 1945; quanto basta e avanza). Dopo la Brexit l’Europa non dovrà più nascondere che è sinonimo di Francolandia (Francia, Franconia, Francoforte, quella sul Meno e quella sull’Oder per chi conosce la Geografia), cioè governata da un’intesa fra Francia e Germania. Gli altri paesi hanno due possibilità, andare avanti con loro e rimanere indietro.
bob
“L’ Europa futura se futuro avrà si chiamerà: Germania” esattamente quello che sostengo!!! Claudia G : Condivido pienamente il commento di Henri Schmit (L’Italia ha il pregio di un regionalismo più autentico, più autonomista, meno centralista.” Esattamente la burocrazia centralista moltiplicata per 21 volte: più corruzione, più spese inutili, più mediocri al potere! Delle “ambasciate regionali” nel mondo vogliamo parlarne? I confronti con Germania e anche la Francia non reggono loro a differenza di noi hanno un sistema-Paese noi un mercato rionale vociante di masanielli affamati
Henri Schmit
Perché è così? Potrebbe essere perché manca un controllo (trasparenza) e una sanzione democratica efficiente (responsabilità individuale: chi è incapace, sbaglia di grosso o è infedele viene estromesso). In Francia la democrazia funziona a livello nazionale e comunale, in Germania discretamente anche a livello dei Laender. In Italia ….
ClaudiaG
Condivido pienamente il commento di Henri Schmit (L’Italia ha il pregio di un regionalismo più autentico, più autonomista, meno centralista.) Per fortuna o purtroppo comparazioni di questo tipo non sono possibili vista la diversa evoluzione storica e amministrativa dei due paesi. La Francia è ad oggi ancora imperniata sul centralismo degaulliano.
Aldo Mariconda
Ricordo anche una vecchia proposta di 12 regioni da parte della Fondaziione Agnelli. Mi dicono comunque che, se si tocca una regione a statuto speciale, tutti i parlamentari locali si schierano contro, cil rischio di mettere in crisi i governi
Luca
Vediamo di non finire come con le province. Pressoché intatte tutte le spese, scomparsa del solo voto popolare.
Dario Q
Esistono due problemi opposti: la polverizzazione degli enti locali di piccola taglia, e il gigantismo della città di Roma.
La sola città di Roma ha oltre un milione di abitanti: quindi, a termini di Costituzione, e senza il concorso di altri comuni, potrebbe diventare una regione.
bob
Roma un milione di abitanti? Roma i residenti sono 2.800.000 se consideriamo almeno quasi altrettanti non residenti ma di fatto domiciliati a Roma piú l’ indotto quotidiano….faccia i conti lei
Michele
In un mondo sempre più piccolo e sempre più conneso , le regioni hanno dato in italia una pessima prova di se: MOSE, EXPO e scandali della sanità lombarda parlano da soli. Aboliamole al più presto possibile.
Amegighi
Daccordo sulle dimensioni. Non esiste paragone tra dimensione delle regioni (Lander) tedesche e quelle italiane.
Tuttavia il punto, credo stia:
1. nella omogeneità degli statuti (non è possibile a 60 anni dalla fine della guerra e dopo la fine del contenzioso con l’Austria e della guerra fredda) avere delle regioni a statuto speciale ed altre a statuto ordinario;
2. nella chiara definizione dei settori in cui vale l’autonomia regionale e quelli in cui vale quella statale (la possibilità di richiedere 23 nuovi compiti di controllo prevista dalla legge costituzionale è semplicemente ridicola; il classico colpo al cerchio e alla botte)
3. last, but not least, la reale e vera autonomia impositiva della regione. Solo così la regione può utilizzare come meglio gli pare i soldi delle tasse. Nello stesso tempo l’Amministrazione regionale si trova a dovere essere pienamente responsabile di fronte ai cittadini dell’uso dei soldi, in un contesto locale molto più controllabile di quello nazionale. Altrimenti ci troveremmo sempre al solito scaricabarile di responsabilità tra Roma e periferia
Lorenzo
Articolo condivisibile.
Purtroppo il localismo all’italiana potrebbe addirittura portare all’aumento del numero delle regioni. Es.: Emilia e Romagna
Independent
Il modello francese, ahimé, venne adottato dal Piemonte sabaudo per organizzare l’Italia unita. Un modello estremamente centralista, irrispettoso della storia e cultura locali, oltre che poco democratico in quanto allontanò i livelli decisionali e provocò danni economici enormi, a partire dalla confisca dei beni “comuni” cioè appartenenti alle comunità (città, villaggi, regole, monasteri) e che sostentavano il 30% della popolazione. Da cui l’inizio della povertà ed emigrazione di massa. Riproporre un modello simile, per quanto attualizzato al 2017, non cancella l’inadeguatezza di fondo del modello alle attuali sfide globali, né a quelle locali. Il modello decisionale basato sullo stato-nazione non è più considerato efficiente da molti economisti e specialisti del settore. Invito a leggere, ad esempio, “La rinascita delle Città-Stato. Come governare il mondo al tempo della devolution” (Fazi Editore) di Parag Khanna, noto politologo indiano ospite a Venezia qualche giorno fa. Farebbe bene sia per gli alfieri del centralismo statalista che per chi brandisce l’autonomia senza avere le necessarie basi culturali per affrontarla.
Salvatore Paolillo
Concordo con l’autore ma resto pessimista sulla volontà di intervenire, non solo la nostra classe politica è alla ricerca di aumentare le poltrone ed i posti pubblici ma anche gli italiani e lo hanno dimostrato nel referendum del Dicembre 2016. Certo che tenere ancora in vita regioni come Valle D’Aosta e Molise ma anche Umbria e Basilicata è una vergogna.
giuseppe
Penso sia legittimo valutare l’organizzazione amministrativa, nelle sue dimensioni e competenze, da un punto di vista dei risparmi della spesa pubblica. Spero anche che ciò sia anche un apporto per migliorare i servizi, penso ad esempio ad un’area fragile come quella del Mezzogiorno d’Italia. Però, su la Voce.Info, conducete analisi solo di tipo contabile ed economico senza una visuale più ampia che inglobi pure aspetti sociologici, antropologici, dinamiche storiche. Rivedere le regioni solo in base a principi contabili e di finanza pubblica è riduttivo, fuorviante e non tiene conto del fatto che i territori sono un mosaico di contenuti molteplici. Le maggiori resistenze ad una tale riforma si potrebbero incontrare proprio perché si parla di modelli di altri Paesi, e non si parla della specificità italiana. E poi l’Europa dovrebbe essere l’Europa dei popoli e da noi, i popoli in materia di Regioni sembra che non debbano avere molta voce in capitolo. Vogliamo forse dire però che il popolo è sovrano in assoluto? E per opposto vogliamo forse affermare che il legislatore è onnipotente? Forse alla lunga non si riuscirà a fare un bel niente, perché si parla di modelli, di tecnocrazia, ma decidere sulla pelle delle persone è un fatto più complesso. Possiamo ridurre le riforme istituzionali solo a una questione di meccanica dei poteri, di risparmi della spesa pubblica, ossia ad un fattore burocratico-economico, o forse non dovremmo considerare che le Regioni hanno una loro storia?
Maurizio Cortesi
Il riferimento alla Germania è proprio superficiale: il Land di Brema ha gli abitanti della Basilicata e l’estensione di Monza e la Brianza o poco più ; la Saarland ha 1 milione di abitanti e l’estensione di una media provincia storica come quella di Chieti; il Meckleburgo-Pomerania ha gli abitanti delle Marche e anche l’altro City Land di Amburgo è sotto i 2 milioni di abitanti e i mille kmq di estensione. E sono stati non regioni, con polizie e magistrature e bilanci consistenti: la spesa su cui decideva Schauble è appena il 10% del PIL. Non a caso Brema è già stata salvata dai debiti una volta e non a caso ci sono complessi e controversi trasferimenti tra Lander. L’esempio francese è solo in parte utile perché si fonda su una struttura sensata dei dipartimenti non fosse che per l’estensione del Paese, quasi il doppio dell’Italia, rispetto alle nostre ormai più numerose Province, ma con un insensata frammentazione di base con i 35 mila comuni a cui si sovrappongono e/o si intersecano i cantoni e ora anche le aree metropolitane senza fondersi. Per me è proprio dalla riorganizzazione dei comuni che si dovrebbe partire tenendo presente l’ambiente fisico ed economico: i Sistemi Locali di Lavoro che l’Istat elabora sulla base degli spostamenti casa-lavoro sono solo 611 (1/4 inter provinciale e una 50ina interregionali). Avere per dire 1600 tra Distretti e Città renderebbe inutili le Province anche con queste Macroregioni che sospetto essere funzionali al loro mantenimento.
Marcello
Credo che la vera questione sia: il compito delle Regioni è di amministrare un certo territorio con la massima efficienza, o dare voce a una presunta identità etnica locale, ramazzando nella storia mitiche grandezze passate enfatizzando le differenze rispetto ad altri?
Gianfranco Nigro
Oltre a ridurre le regioni si dovrebbe ridurre le competenze delle regioni. Prima del 1970 non esistevano e non mi sembra che la situazione italiana sia migliorata in termini di servizi al cittadino in compenso è esplosa la spesa pubblica.
L’Italia non è uno stato federale ma ha i costi di uno stato federale.