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Più cultura economica, perché l’ignoranza si paga

I cittadini devono essere messi in grado di prendere decisioni economiche consapevoli. E servono tutele passive, con prodotti finanziari semplici e operatori di comprovata correttezza. Ma anche attive, che promuovano lo studio della cultura economica.

La funzione sociale dell’educazione economica

L’Ocse definisce l’educazione economica come “l’essere in grado di prendere consapevolmente le scelte economiche della propria vita”. Negli ultimi tempi, sono molte le iniziative di alfabetizzazione finanziaria promosse da istituzioni economiche e finanziarie, tuttavia sarebbe più rassicurante che la scuola, un ambiente più neutrale e aperto al confronto, fornisse l’abbecedario a tutti, sgombrando il campo da possibili conflitti d’interessi. L’educazione economica non va infatti confusa con un comportamento standard, inteso come un compendio per il bravo consumatore, anzi implica capacità critica, in tanti campi, non solo quelli finanziari.

Per comprendere quale sia la situazione nel nostro paese, nell’Indagine Plus sono stati introdotti due quesiti (figura 1) sulla conoscenza della nozione di tasso di interesse (61 per cento di risposte esatte) e di inflazione (58 per cento). La economic literacy (El) degli italiani è data dalla quota di persone che rispondono correttamente a entrambi i quesiti: circa il 40 per cento. Nel mio articolo il Ruolo sociale dell’educazione economica emerge come l’El sia superiore per gli uomini, per chi ha istruzione e reddito più alti, per chi ha competenze linguistiche e informatiche; è più varia, invece, la relazione con l’età e l’istruzione media (positiva se di tipo scientifico).

Figura 1 – Comprensione del tasso di interesse e di inflazione; economic literacy e avversione al rischio

Fonte: Indagine Isfol Plus 2016

I risultati di questa formulazione dell’El sono in linea con quelli di Elsa Fornero e Ivan Lagrosa, Annamaria Lusardi, Tullio Jappelli, Luigi Guiso e Tullio Jappelli . L’indagine “Global Finlit Survey” del 2014 su 140 paesi, con un quesito diverso, vede l’Italia al 37 per cento (ultima tra i paesi europei) di persone con competenze economiche, gli Usa al 57 per cento, il Regno Unito al 67 per cento, la Germania al 66 per cento e la Francia al 52 per cento.

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A livello individuale l’ignoranza si paga, poiché le persone con basse competenze finanziarie hanno commissioni più alte, ottengono prestiti a condizioni peggiori e fanno rendere meno i propri risparmi. Ricorrono sovente all’indebitamento e risparmiano meno, hanno pensioni peggiori e non diversificano gli investimenti. Insomma, la cultura economica pervade tutto: la salute, la guida, il voto, il gioco, l’ecologia…

Nella figura 1 è stato inserito un indicatore di propensione al rischio. Gli italiani sono in media avversi al rischio: il 68 per cento, pari a 30 milioni di persone. Se emerge una rassicurante relazione inversa tra competenze finanziarie e avversione al rischio, dalla tabella 1 si nota pure un rilevante numero di persone assai vulnerabili: ben 3,5 milioni, pari all’8 per cento della popolazione, sono “sia propensi al rischio sia economicamente incompetenti”.

Tabella 1 – Propensione al rischio ed economic literacy: la vulnerabilità finanziaria, % e in valori assoluti

Fonte: Indagine Isfol Plus 2016

 

Perché questi comportamenti sono un problema sociale? Sareste tranquilli a prendere la strada sapendo che cinquanta auto su cento sono guidate da persone che non conoscono i segnali stradali e che dieci vanno pure forte?

Le tutele necessarie

Il cittadino della società del rischio deve avere tutele passive, tramite prodotti semplici e operatori di comprovata correttezza, e attive, attraverso la promozione dello studio della statistica e della cultura economica. Qualcosa si muove: il decreto legge 237/16 Salva risparmio prevede una “strategia nazionale per l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale”, la cui regia è stata affidata a Annamaria Lusardi ed è di prossima introduzione una nuova normativa sull’intermediazione finanziaria (Mifid 2). Tuttavia, non può essere tutto demandato al regolatore pubblico.

Avere persone in grado di dare giudizi indipendenti e autorevoli (la cosiddetta società civile) è un deterrente verso prodotti rischiosi, consumi compulsivi, creduloneria popolare e, in generale, l’asimmetria informativa cui siamo esposti. Possiamo pensare all’economic literacy alla stregua di un vaccino che attiva le difese immunitarie senza debellare l’agente patogeno. È importante che la copertura della popolazione sia ampia, a tutela dei più deboli.

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L’auspicio è che una migliore cultura economica porti a un aumento della comprensione delle questioni complesse e dei limiti di ciascuno nell’affrontarle, e quando i limiti sono raggiunti, è necessario un aiuto professionale.

Ma avrà anche importanti ricadute sui costumi: si pensi alle scelte familiari basate su “consuetudini irrazionali” (l’uomo lavora, la donna sta a casa; possedere anziché usare i beni; riciclare anziché consumare) sostituite da analisi che conducano a soluzioni razionali, eque, ecologiche, laiche.

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11 commenti

  1. Paolo Palazzi

    In realtà nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un gioco a somma zero. I cinici direbbero che si tratta di una redistribuzione darwiniana del reddito, fessi contro furbi, incapaci contro capaci.
    Pensare che governi, che lucrano sulla ingenuità dei giocatori al lotto, abbiano la dignità morale di informare bene i risparmiatori mi sembra difficile!

    • Marcello Romagnoli

      Vediamo d’altro canto anche i mercati e i liberisti continuare a mentire sul fatto che i mercati siano i migliori regolatori possibili

  2. Savino

    Gli Italiani di una certa generazione sanno solo nascondere sotto il materasso il danaro frutto dei guadagni facili del passato per poi farseli truffare, ma fanno i maestri nei confronti dei giovani che, invece, devono fare i conti con la dura realtà contemporanea.

    • Marcello Romagnoli

      E’ evidente che i vecchi hanno portato una nazione uscita sconfitta e distrutta dalla guerra ad essere la quinta potenza mondiale. Questo è un fatto.
      La vita è poi dura anche per i vecchi che, le ricordo, sovente aiutano i giovani con la loro pensione.
      Soffiare su questa presunta guerra tra generazioni è un’attività meschina.

      • Savino

        I vecchi del boom economico, purtroppo, non ci sono più e restano uno storico esempio.
        Oggi, i vecchi sono quelli che ieri hanno fatto lo sciagurato ’68 e ne hanno appreso tutto l’egoismo.
        Come si fa, con i problemi di demografia e del mercato del lavoro di ogg,i a pretendere di rimpinguare solo ed esclusivamente le pensioni per nasconderle sotto il già citato materasso? Come si fa a dire, come ho sentito in un’intervista, che un pensionato con 1700 euro al mese non riesce a campare? Ma cosa dovrebbe dire un ragazzo di 30-40 anni capofamiglia con prole? E’ o non è ignoranza questa?

        • Marcello Romagnoli

          Quanti sono i pensionati che guadagnano 1700 euro al mese? Secondo me sono una percentuale assai esigua e non sono la media, che invece è molto più bassa. “Il reddito medio più basso è dei pensionati residenti al Sud: 1.151 euro; al Nord si sale a 1.396 euro, mentre al Centro si arriva a 1.418 euro. ” Quindi vede che non è un gran prendere. La colpa delle difficoltà dei giovani non sono i pensionati, che spendono e quindi, quando non aiutano i figli, sono un beneficio per l’economia, casomai di una economia legata a una moneta non adatta alla nostra economia che determina ampie fasce di dissocupazione. Molti dei vecchi che hanno fatto il boom economico sono ancora in attività visto che ancora negli anni 90 eravamo una signora economia. Che cosa propone lei la soppressione dei pensionati oltre i 70 anni? Io propongo una migliore distribuzione di quanto prodotto visto che in questi anni l’indice Gini e peggiorato in Italia

          • Savino

            propongo che non si parli in giro più di pensioni fino a quando non si è data soluzione alle vere povertà che oggi investono i giovani che, con soli lavoretti, devono mantenere una famiglia.

  3. Marcello Romagnoli

    Personalmente posso dire, senza timore di essere giudicato pretenzioso, di avere una cultura generale alta e una discreta cultura economica che mi sono fatto soprattutto nell’intento di capire cosa sta accadendo in questi ultimi anni. La mia propensione al rischio e bassissima e nasce dalla consapevolezza che il mercato finanziario è assai poco prevedibile per un cittadino che ha normali canali di informazione. Le borse lavorano per percentuali altissime col High-frequency trading che poco si basa sulle valutazioni della solidità di una azienda o sulle sue capacità di innovazione. Le agenzie di rating non sono esempi nè di efficienza (ricordiamoci della tripla A data alla Parmalat nei gg. del suo tracollo) nè di indipendenza. Neppure molta fiducia si può avere nei fondi di investimento viste le frequenti truffe. La finanza appare pertanto più come una rete per la mattanza dei tonni, dove il tonno è il semplice e normale investitore “padre di famiglia”. Non è possibile uscire dal gruppo denominato in modo poco educato e rispettoso “parco buoi”, neppure se si hanno due lauree in economia. Se non si hanno i mezzi e le linee di informazione giuste, non c’è cultura economica che valga. L’unica sarebbe quella politica che spinga a scegliere forze politiche che vogliano veramente regolare il comparto della finanza.

  4. Henri Schmit

    L’articolo è più equilibrato dei soliti appelli alla lotta contro l’ignoranza popolare. Quello che secondo me manca non è la conoscenza (in realtà diffusa) dei rischi degli strumenti finanziari, ma un discorso pubblico impregnato di una robusta cultura eco-finanziaria e di un minimo di onestà intellettuale. I colpevoli non sono i risparmiatori ma gli intermediari, gli esponenti politici, i giornalisti e gli esperti, obiettivamente interessati a far durare la confusione. Basta leggere i giornali e sentire parlare di MiFID, adesso, 10 anni dopo l’entrata in vigore. Tale legislazione doveva rinforzare gli obblighi degli intermediari quali consulenti, quali collocatori di prodotti propri, quindi in conflitto d’interesse, aumentare la trasparenza dei rapporti con la clientela, dei costi dei prodotti e dei potenziali conflitti d’interesse. Altrove ha funzionato. Perché non in Italia? Secondo me la colpa è di una cultura giuridica formalistica che svuota le migliori regole della loro sostanza, agevola i furbi, rovina i deboli e distrugge la fiducia. Se gli intermediari hanno interpretato le regole vigenti nel proprio interesse, la colpa è delle autorità giudiziarie e di vigilanza, principali responsabili della definizione degli standard comportamentali, non dei risparmiatori. La migliore educazione finanziaria è l’esperienza che colpisce l’immaginazione: sentenze che stabiliscono responsabilità chiare. Sentenze chiare suppongo una dottrina chiara. Io vedo soprattutto confusione.

    • Marcello Romagnoli

      Forse bisognerebbe anche parlare della mancanza di regole e dell’opacità insita nella finanza non crede? Nell’idea che in cima alla scala dei valori universali ci sia il guadagno, seguito a ruota dal guadagno e buon terzo il guadagno sopra a ogni cosa

      • Henri Schmit

        Sono sostanzialmente d’accordo. Bisogna costringere gli intermediari a essere trasparenti e corretti. Come? Le leggi, le regole, esistono già; rinviare alla MIFID 2 è un inganno! Poi c’è l’applicazione delle leggi attraverso i tribunali e la vigilanza – forse non sempre all’altezza, non solo per non aver saputo gestire meglio il problema dei crediti deteriorati, ma per non aver saputo ostacolare e reprimere comportamenti dolosi (non mi riferisco solo al collocamento delle emissioni subordinati; c’è stato ben peggio, nelle sfere più più alte). Spetta alla fine ai governanti (politici, ma anche esperti, giornalisti, opinione pubblica) capire che cosa non va e rimediare. In altre parole non basta sollecitare un comportamento più virtuoso degli intermediari finanziari, bisogna utilizzare i mezzi legali e amministrativi in mano all’autorità pubblica per garantire il risultato. L’eduzione finanziaria è un lavoro di lungo respiro, che per essere credibile deve iniziare DALL’ALTO (quello che ho chiamato il discorso pubblico), mentre la protezione del pubblico risparmio è un obbligo (di risultato!) IMMEDIATO.

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