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Sofferenze bancarie: i poteri dei tecnici, i doveri della politica

La vigilanza europea sul sistema bancario non deve certo rinunciare alla propria indipendenza o ad affrontare il tema delle sofferenze. Ma dovrebbe fermarsi prima di dettare regole di carattere generale, rispettando le prerogative del legislatore.

La nota Bce e le reazioni italiane

Si è discusso molto nelle ultime settimane di sofferenze bancarie e in particolare di una bozza diffusa dalla Banca centrale europea, nota come “calendar provisioning”. La proposta richiederebbe ai maggiori istituti dell’Eurozona di svalutare integralmente entro due anni le nuove sofferenze non assistite da garanzie (per quelle garantite da immobili, il termine verrebbe fissato a sette anni).

In questo modo, si dice, le banche sarebbero costrette a “ripulire” i propri bilanci, liberando risorse per concedere più credito alle aziende sane. Un maggior livello di svalutazioni renderebbe inoltre più “realistici” i valori in bilancio, favorendo quella cessione a terzi dei crediti deteriorati che oggi risulta ostica perché i compratori offrono poco rispetto a quanto contabilizzato dalle banche.

Pur di fronte a questi asseriti vantaggi, la reazione delle aziende di credito italiane e del ministero dell’Economia è stata negativa. Chi ha ragione? Ecco i principali risultati emersi in un mio recente parere al Parlamento europeo.

Svalutare del 100 per cento dopo 24 mesi è realistico? No. Le analisi condotte da Crif Group su un vasto campione di sofferenze non garantite dicono che in media quasi i due quinti dei recuperi totali avvengono dopo due anni. La scadenza proposta non tiene dunque conto dei dati empirici e svantaggia i paesi dove la giustizia civile è più lenta.

Va detto tuttavia che, se attuata in modo graduale, per esempio applicandola solo ai crediti di nuova erogazione, la proposta potrebbe tradursi in un efficace pungolo per le banche, affinché rendano più efficienti e rapidi i processi di recupero, e per il legislatore, perché rimuova i “colli di bottiglia” presenti nelle procedure giudiziarie.

Eliminando dal bilancio le sofferenze si incentiva a erogare più credito? Si tratta, a mio avviso, di un luogo comune tanto diffuso quanto indimostrato. Le banche con meno sofferenze sono spesso più dinamiche, efficienti e redditizie; ma si tratta di fenomeni contestuali, non di un legame tra causa ed effetto. È chiaro infatti che se l’economia è florida e la banca è ben gestita, le sofferenze saranno basse, i volumi in crescita e i profitti elevati. Ma inducendo le banche a svalutare integralmente le sofferenze (o a cederle a prezzi di saldo), si fanno emergere forti perdite, bruciando patrimonio e dunque indebolendo la capacità di offrire nuovi prestiti, come dimostrato da recenti studi sul mercato italiano.

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Le prerogative del legislatore

C’è poi un aspetto insidioso che va oltre il merito del provvedimento oggi in discussione. Quando trasmette alle banche “linee guida” formalmente non vincolanti (ma di fatto difficilissime da evitare), la vigilanza emana regole che si sovrappongono a quelle decise da organi democraticamente eletti. Il Parlamento europeo, attraverso direttive e regolamenti, ha già stabilito un regime prudenziale in materia di sofferenze bancarie, basato su requisiti patrimoniali rafforzati. Il regime può risultare troppo blando, ma andrebbe emendato con una nuova iniziativa politica (Consiglio e Commissione si sono già mossi in tal senso), per non dare ulteriore alimento alla retorica dell’Europa “dei tecnocrati e dei banchieri”.

La vigilanza non deve certo rinunciare alla propria indipendenza o ad affrontare con determinazione il tema delle sofferenze. Ma dovrebbe fermarsi saggiamente prima di dettare regole di carattere generale, percorrendo una strada oggettivamente pericolosa (e se il prossimo calendar provisioning riguardasse i Btp delle banche?). Al rispetto delle prerogative del legislatore si sono del resto richiamati gli uffici legali di Parlamento e Consiglio e lo stesso presidente di Europarlamento.

Tutto ciò ovviamente non significa che le sofferenze bancarie non rappresentino uno dei problemi da affrontare rapidamente per mantenere in sicurezza il sistema bancario dell’Eurozona, e difficilmente sarà possibile evitare soluzioni drastiche (è l’Italia, in questa fase, a cercare l’adesione tedesca a un sistema europeo di assicurazione dei depositi). Ma serve uno sforzo di calibrazione delle regole (oggettivamente più facile se vengono messe a punto attraverso un processo politico e parlamentare) che eviti rigidità e conseguenze indesiderate.

Dal 2014 a oggi le banche hanno ceduto sul mercato circa 50 miliardi di sofferenze (in valore nominale). Secondo la Banca d’Italia le cessioni avvengono a prezzi inferiori anche del 20 per cento rispetto a quanto generato dai processi di recupero interni. Il prodotto tra le due cifre vale 10 miliardi; è una stima imprecisa, ma quand’anche fossero 5 siamo sicuri di avere agito per il meglio? Quel denaro, finito nelle tasche di compratori che legittimamente perseguono rendimenti elevati, non poteva servire al sistema bancario e ai contribuenti chiamati a più riprese a sostenerlo? Sulle sofferenze bancarie dobbiamo fare di più, ma non sempre le scelte più drastiche sono le migliori.

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  1. Henri Schmit

    Non sono d’accordo. L’argomento contro il calendar provisioning che secondo l‘autore “svantaggia i paesi dove la giustizia civile è più lenta” riassume tutto. Bisognerebbe precisare che non solo la giustizia, ma tutto è troppo lento, in particolare l’avvio delle pratiche dei crediti deteriorati aperte tradizionalmente in base a criteri formali (una sofferenza presuppone l’insolvenza dichiarata del debitore) e i tempi delle procedure di esecuzione, delle procedure di ristrutturazione del debito e delle procedure fallimentari. Il problema è il mix di lentezza, di mancanza di chiarezza (trasparenza, certezza), di confusione sulle responsabilità (rinviare decisioni dolorose per altri e per se stesso), di mancanza di strumenti adeguati (patto marciano), di procedure opache che fanno vivere una quota rilevante dell’economia nazionale e che per questa ragione sono difficili da riformare. Non capisco come si possa contestare che “Eliminando dal bilancio le sofferenze si incentiva a erogare più credito?” BdI stessa lo riconosce. L’ultimo punto, quello della sovranità, fa sorridere. Si il legislatore nazionale decidesse che alle (piccole) banche italiane (non vigilate da BCE) conviene tenersi le sofferenze e recuperare internamente, si scoprirebbe che il costo non è molto diverso rispetto a una cessione: la differenza consiste nella scelta del tasso corretto, un TIR di almeno 15% per chi compra, 2 o 3 volte quello che la banca si illude che sia il proprio costo.

  2. Savino

    Assurdo che certe forze politiche stiano ancora a pensare ad un’istituzione obsoleta e sminuita come Bankitalia.
    Non ci rende conto che se, come si dice, verrà creato apposito Fondo Ue di ultima istanza persino la BCE perderà ruolo in materia finanziaria. Per non parlare della presidenza italiana della BCE che, comunque, scadrà.

  3. DDPP

    l’articolo sviluppa in modo completo il problema, ma a mio avviso non centra il problema.
    Divido in due parti.
    La “Disposizione normativa”. La Bce non obbliga le banche, ma “raccomanda” di utilizzare criteri trasparenti per la valutazione del rischio di credito. A tal fine definisce congrui due periodi di tempo 2 anni per i crediti non coperti da garanzie, 7 anni per i crediti coperti da garanzie ipotecarie. La Bce accetta anche criteri diversi, ma chiede che in sede ispettiva siano rappresentati e insieme ad essi siano dimostrate le azioni intraprese per il recupero. Nulla osterà alle banche italiane di darsi tempi di svalutazione crediti e tempi di recuperi valutati sul rischio legale che è rappresentato dal Paese Italia, ma dovranno valutare comunque valutare razionalmente il rischio di credito.
    Vengo ai tempi. I due e sette anni da quando partono? Partono da quando il creditore ha smesso di pagare.
    Vi chiedo, se un debitore chirografario non mi paga da due anni, è realistico che tenga in bilancio al 100% il sue debito (mio credito). Oppure, se un debitore con garanzie ipotecarie non mi paga da sette anni e in questo periodo non sono riuscito a esperire una procedura di recupero sui beni reali, mi tengo a bilancio il credito al 100%.
    Quanto tempo mi serve ancora? Altre 7 anni, altri 14?

  4. Giuseppe G B Cattaneo

    Concordo con l’articolo sul fatto che imporre alle banche la svendita delle sofferenze bancarie è induzione al suicidio.
    Il problema vero è però più grave. Le banche così come le intendiamo in Italia sono morte e questo nessuno lo dice

  5. Carlo

    Non è affatto detto che risolvere gli NPL farebbe ripartire il credito. Ipotizziamo per un secondo che un gruppo di fondi americani compri tutti gli NPL delle banche italiane a prezzi di libro, cioè senza causare né guadagni né perdite alle banche. Ipotesi assurda, lo so, ma seguitemi un attimo. Anche se avvenisse una cosa del genere, tutti i problemi strutturali dell’Italia resterebbero tali e quali: scarsa competitività, scarsa produttività, pressione fiscale, burocrazia asfissiante, etc. Beh, sono proprio questi i problemi che rendono difficile l’erogazione del credito!

  6. Buongiorno. Solo per indicare che il link a cui si fa riferimento nel seguente capoverso è sbagliato: “Ecco i principali risultati emersi in un mio recente parere al Parlamento europeo.” Il link corretto è il seguente: http://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document.html?reference=IPOL_IDA(2017)602106

    Grazie e auguri di Buon Anno.

    Andrea

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