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Embraco e le altre: la difficile gestione delle crisi aziendali

Non si può pensare di avere un mondo senza chiusure aziendali. Ed è inevitabile che nei paesi meno sviluppati cresca la produzione di beni a basso valore aggiunto. Va ammodernato il nostro sistema produttivo, facendo leva su ammortizzatori adeguati.

Costo del lavoro e sviluppo

La Embraco, multinazionale brasiliana che produce compressori per frigoriferi, ha annunciato la chiusura del suo stabilimento a Riva, presso Chieri, e il licenziamento di circa 500 lavoratori. L’annuncio è drammatico. Ma più che nella sua specificità, molti commentatori lo hanno interpretato come un segnale di un processo di desertificazione del panorama industriale italiano. I numeri, tuttavia, non confermano le analisi catastrofiste. La produzione industriale cresce (a dicembre 4,9 rispetto a 12 mesi prima e in accelerazione a inizio 2018), il Pil anche, i fallimenti sono tornati ai livelli pre-crisi. Non c’è neanche evidenza di una fuga di capitali esteri, anzi: il 2016 è stato un anno record per gli investimenti diretti esteri (25 miliardi rispetto a meno di 15 negli anni precedenti). Certo, la ripresa è tutt’altro che travolgente ed è probabile che torneremo a quella crescita asfittica pre-crisi. Ma da qui a dire che c’è un’emergenza-desertificazione industriale ce ne corre.
Annunci come quello di Embraco sono devastanti per la vita di centinaia di famiglie. Tuttavia, le crisi aziendali ci sono sempre state e sempre ci saranno. La riallocazione dei fattori produttivi (leggi distruzione di posti di lavoro e, si spera, creazione di altri) è un elemento fondante delle economie di mercato e un motore importante di crescita della produttività. È illusorio pensare che si possa vivere in un mondo senza chiusure aziendali. Nel caso specifico dell’Embraco, ha fatto però scalpore che la produzione italiana venga delocalizzata in Slovacchia. Il ministro Carlo Calenda ha preso una posizione molto dura nei confronti della multinazionale e ha portato il caso a Bruxelles.

Ci sono due aspetti dietro il rischio-delocalizzazione, che è utile tenere distinti.
In primo luogo, ci sono casi in cui le multinazionali sono attratte da regimi fiscali di favore. Non c’è dubbio che il dumping fiscale sia una pratica assolutamente negativa, tanto più all’interno di una comunità come dovrebbe essere l’Unione europea. La battaglia per l’armonizzazione dei regimi fiscali e contro l’uso di incentivi per attirare produzioni da altri paesi è giustissima. Altrettanto giusto sarebbe promuovere sempre di più una tutela comune dei lavoratori, inclusa un’assicurazione contro la disoccupazione europea.
Meno giusto è dire che un paese con costo del lavoro più basso fa di per sé stesso competizione scorretta. Generalmente, il costo del lavoro è più basso perché il paese è più povero. Una nazione più povera sfrutta il proprio vantaggio comparato: una forza lavoro poco costosa. È il modello tipico di sviluppo dei paesi poveri. È stato il meccanismo alla base del miracolo economico italiano, che ci ha permesso di fare un salto enorme in termini economici e sociali in meno di due decenni. E anche l’industrializzazione del tessile di Prato, dei distretti meccanici veneti o calzaturieri marchigiani è avvenuta a spese di lavoratori addetti in produzioni simili nei paesi allora più avanzati dell’Italia.

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C’è anche un altro punto collegato. Il tema principale del dibattito pubblico italiano è l’immigrazione. Una ricetta che va per la maggiore è “aiutiamoli a casa loro”. L’idea è che lo sviluppo “a casa loro” riduca le pressioni migratorie. Ma per svilupparsi, i paesi più poveri non hanno alternativa a che produrre beni a basso valore aggiunto, principalmente per l’export verso i paesi ricchi. Quindi, o si accettano i flussi migratori o si accetta il fatto che i paesi di origine si sviluppino. In alternativa c’è solo l’autarchia: muri e barriere al commercio.
È inevitabile che nei paesi meno sviluppati la produzione di beni a basso valore aggiunto crescerà. Adoperarsi per mantenere indefinitamente queste produzioni in Italia è come tentare di tappare falle che si aprono in continuazione in uno scafo ormai vecchio. È necessario rifare lo scafo. L’Italia deve aggiornare il suo modello di sviluppo e spostarsi progressivamente su produzioni a più alto valore aggiunto e con maggiore contenuto di capitale umano. La competizione diretta con i paesi a basso costo del lavoro è una partita persa in partenza, a meno di non ridiventare anche noi un paese a basso costo, cioè povero.

Il ruolo degli ammortizzatori sociali

Qual è il ruolo degli ammortizzatori sociali? Il processo di riforma del mercato del lavoro negli anni recenti si è basata sull’idea (giusta) di passare dalla protezione del lavoro a quella del lavoratore. La cassa integrazione protegge il posto di lavoro, ma spesso finisce per mantenere (temporaneamente) in vita posti di lavoro-zombie. Sostegni al reddito (politiche passive), formazione e reinserimento (politiche attive) sono, invece, strumenti che non si oppongono, ma accompagnano e facilitano l’inevitabile processo di riallocazione a cui tutte le economie sono soggette. Ciò vale tanto più per l’Italia, che deve affrontare un processo lungo e difficile di ammodernamento del proprio sistema produttivo.
Di fronte al dramma di tanti lavoratori a rischio, è naturale provare a risolvere una crisi aziendale tentando di mantenere una forma di status quo. Da qui le centinaia di tavoli di crisi aperti presso il ministero per lo Sviluppo economico. Ma da un punto di vista sistemico, bisogna chiedersi se sia un approccio sostenibile sempre: quante fabbriche può riqualificare Invitalia (il braccio finanziario del Mise)?

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14 commenti

  1. Henri Schmit

    Sono d’accordo a parte il pio richiamo a una maggiore armonizzazione fiscale nell’UE; serve invece la concorrenza fiscale (leale, trasparente sulle aliquote, non occulta sulla base imponibile) per indurre i paesi meno efficienti a diventare più competitivi. I cantoni svizzeri competono fra di loro, in particolare per l’insediamento di nuove attività, di investimenti esteri diretti. L’Italia non competitiva subisce DA DECENNI un’emigrazione industriale e dei servizi. II mercato comune non permette di ostacolare la concorrenza. Dopo l’allargamento l’Italia da beneficiario netto è diventata contribuente netto. Embraco ha goduto di vantaggi similari quando ha investito a Chieri rispetto a quello che oggi si rimprovera alla Slovacchia. Tutti discutono di flat tax che riguarda il reddito personale, ma (quasi) nessuno si occupa del vero problema: l’investimento e la fiscalità aziendale. Non capisco perché il governo si fa sentire solo quando è tropo tardi. Non era la Repubblica slovacca che si astenuta provocando il pareggio dei voti sulla sede dell’EMA? Non bisognava capire in anticipo, rinunciare alla battaglia persa sulla vecchia industria e reindirizzare gli obiettivi sui settori innovativi, EMA e industria4.0? L’Ilva di TA è un’altra battaglia persa in un paese senza minerali di ferro e con l’energia tutta importata. 40 ANNI FA il LX ha chiuso alto-forni e miniere; Arbed-Arcelor ha licenziato di un colpo 23.000 operai siderurgici e investito in Belgio (mare), Brasile e Corea!

  2. Marcello Romagnoli

    Premesso che la ditta in questione non è in difficoltà economiche, ma viene da anni di aumento di redditività, diciamo che in Italia vige la Costituzione Italiana, superiore a ogni trattato internazionale. La CI recita all’art. 41 “L’iniziativa economica privata è libera.

    Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

    La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali ” Ciò limita le manovre delle aziende atte a cercare sistemi fiscali migliori. La concorrenza fiscale inolytre è devastante sugli stati che sono spinti al massimo ribasso delle tasse a tutto vantaggio degli utili delle aziende. Ricordiamoci che la fiscalità è il miglior mezzo di ridistribuzione mentre il mercato il peggiore. Fino a quando non saranno fatte leggi anti-dumping fiscali serie ed efficaci uno stato ha tutto il diritto di intervenire anche in modo pesante a difesa dei propri interessi.

  3. Guido Di Massimo

    Questo articolo è un esempio di equilibrio e razionalità.

    Se vogliamo migliorare l’economia e ridurre la disoccupazione dobbiamo avere un mercato più libero. Un mercato più libero lascia morire le aziende “fuori mercato” facilitando una migliore riallocazione delle risorse e quindi la nascita di aziende più vitali. Ma presupposto di un’economia di mercato che ne minimizzi il “costo sociale” è il rendere non angosciante la perdita del “posto di lavoro” sostenendo economicamente chi perde il proprio lavoro e favorendone il reingresso nel mondo produttivo, come dice giustamente l’articolo.
    Da sottolineare che un investimento in queste attività di sostegno e reinserimento non avrebbe solo fini sociali ma sarebbe un indiretto sostegno all’economia di mercato: in pratica ne costituirebbe una specie di “lubrificante”.
    Non mi sembra che coloro che chiedono voti per le prossime elezioni parlino di problemi del genere: forse perché poco adatti agli slogan.

    Guido Di Massimo

  4. Emilio Roncoroni

    Mi pare che la vicenda Embraco tocchi anche aspetti quali aiuti di stato da parte di stati membri della UE, almeno così mi é parsa la posizione del Mise. ne consegue che la competizione tra stati Ue non é solo sul fronte fiscale ma anche su quello di attirare investimenti con offerte al limte delle regole europee

  5. Emilio Roncoroni

    Mi pare che la vicenda Embraco, secondo la posizione del Mise, mostra come alcuni paesi Ue cerchino di attirare investimenti offfrendo agevolazioni che diventano aiuti di stato

  6. arthemis

    Che l’industria sia tornata ai livelli pre-crisi forse non è del tutto vero, almeno considerando i consumi di elettricità (fonte Terna):
    2007: 155’804 GWh
    2016: 122’738 GWh,

    (certamente qualche azienda avrà investito in impianti/processi più efficienti, ma non credo sia questa la ragione del -21%)

  7. Giampiero

    Articolo molto interessante. Grazie.

  8. bob

    prof ho tutto il rispetto per il suo lavoro, ma non possiamo continuare in questo Paese con un livello di cultura da brividi, ad usare le statistiche per dare indicazioni della realtà. La realtà come lei ben sa, è sempre molto distante dai dati statistici, dalle medie, dalle previsioni. I suoi numeri saranno per carità corretti ma lo sviluppo di un Paese passa attraverso,per dirla con un abbreviazione, un ” piano industriale”. Se vogliamo essere più precisi : con un progetto politico a lungo termine. Questo progetto manca da 50 anni! Allora prima di discutere o di affermare ( “Ma da qui a dire che c’è un’emergenza-desertificazione industriale ce ne corre…”) bisogna sapere cosa vogliamo “fare da grandi”. O si torna ad essere un sistema-Paese come siamo stati fino agli anni ’70, oppure, la Storia più della statistica lo insegna, torneremo a “chiamare” all’occorrenza lo “straniero” ( Franza o Spagna purchè se magna). Non ci sara desertificazione industriale come lei sostiene, io però vedo un deserto arido di Politici ma soprattutto di Statisti

  9. Francesco Forti

    Non sono affatto d’accordo con la tesi che la concorrenza fiscale sia pratica assolutamente negativa.
    Se uno stato spende e spande è normale che delle due l’una: o fa debito, che poi diventano interessi e tasse, oppure ha fin da subito un carico fiscale superiore agli altri. Le aziende tenderanno a spostarsi (giustamente) dove il carico fiscale è inferiore ma le prestazioni rimangono di buon livello se non addirittura superiori.

    La competizione fiscale è quindi estremamente positiva.

    Poi fare dumping fiscale è possibile solo aumentando il debito e parlando di Italia e Slovacchia credo che questo grafico metta la parola fine.

    https://www.google.com/publicdata/explore?ds=ds22a34krhq5p_&ctype=l&met_y=gd_pc_gdp&hl=en_US&dl=en_US#!ctype=l&strail=false&bcs=d&nselm=h&met_y=gd_pc_gdp&scale_y=lin&ind_y=false&rdim=country_group&idim=country:it:sk&ifdim=country_group&tstart=818031600000&tend=1480806000000&hl=en_US&dl=en_US&ind=false

    CI sta comunque l’idea di ammortizzatori comuni europei, così non ci sono più alibi.

  10. Savino

    Chi perde il lavoro e non ha più un reddito viene lasciato solo ed in balia delle onde.
    Bisogna ripristinare un’idea di collocamento pubblico ed intermediazione pubblica nel mercato del lavoro.
    I CV dei lavoratori non sono dei fogli volanti da cestinare, ma sono contenitori di profili preziosi da conservare.

  11. Henri Schmit

    Penso anch’io che un mercato senza uno Stato forte (garante dei deboli) sia peggio dell’inverso. L’assenza di un sistema credibile di protezione sociale e di ricollocamento di chi perde il lavoro è però un difetto che peggiora competitività. Significa che i soldi pubblici sono spesi in altro, in servizio del debito e sovra-costi occulti. Rinunciando nel 1980 alla siderurgia che per oltre un secolo aveva fatto la ricchezza del paese il Lussemburgo non lasciò per strada nessuno. In piena euforia neoliberista (Thatcher e Reagan) finanziò il mutamento con una sovra-tassa sui redditi personali. Quando servirebbe più Keynes in Italia la campagna elettorale si concentra invece sulla flat tax personale! È delirante. Quello che fa scappare Embraco è la concorrenza sleale o la mancanza di competitività? In ogni caso è indispensabile individuare e correggere i fattori che pesano sulla competitività, anche quelli avanzati solo nel dibattito elettorale. Bisogna smascherare la demagogia della flat tax, irrealizzabile, disastrosa per le finanze pubbliche e per la pace sociale. Chi la propone soffia sul fuoco della guerra civile senza favorire le imprese e si rende complice della fuga degli investimenti i quali cercano un rendimento prevedibile, stabile, quindi un minimo di consenso su obiettivi e priorità. Il bluff della flat tax ha distolto l’attenzione dai veri problemi: incertezza e bizantinismo amministrativo e fiscale che strangola l’impresa e fa fuggire l’investimento.

  12. Henri Schmit

    L’attualità mi costringe ad un ulteriore flash d’incitazione alla riflessione (e NON di critica dell’articolo, effettivamente molto equilibrato): Fondi strutturali – Procedure d’utilizzo opache e manipolate (non solo in Slovacchia) – Autorità politiche e amministrative corrotte (non solo in Slovacchia) – Uccisione del giovane giornalista slovacco e della fidanzata, con messa in scena intimidatoria – Coinvolgimento sospettato di clan calabresi esperti nell’utilizzo dei fondi strutturali – Domanda: comprendere la Slovacchia come la replica caricaturale di una porzione d’Italia o una porzione d’Italia vista attraverso la lente d’ingrandimento?

  13. Michele

    1) chi recrimina su certe delocalizzazioni fa un ragionamento da serie B (oppure sta in campagna elettorale). Chi sta in serie A di certi fenomeni se ne avvantaggia: le aziende tedesche hanno delocalizzato pensantemente sei paesi dell’est. Comprano lavoro a 10€ ora e lo rivendono a 50€ ora grazie ai loro ingegneri che stanno negli headquarters in Germania. Noi in quale serie vogliamo stare? 2) ammortizzatori sociali: la CIG è un sostituto della indennità di disoccupazione con il vantaggio che almeno un po’ si lavora. Se ne avvantaggiano principalmente le imprese che la usano come fattore di flessibilità. Occorre una riforma fatta bene. A tutela dei lavoratori. Non parliamo di politiche attive: servono solo a dare un lavoro ai formatori. Gettare risorse in questo modo è ancora più paradossale quando si affossa l’unica vera assicurazione che è la scuola (quella formativa non quella professionalizzante che è una bufala)

  14. Henri Schmit

    ADDENDUM: Non è detto che gli Italiani interrogati in seguito all’assassinio della giovane coppia siano colpevoli. L’eliminazione del giornalista scomodo giova a tanti. Esistono paesi terzi interessati a indebolire l’UE, a seminare la discordia, con qualsiasi mezzo. Comunque sia, la causa profonda della vicenda non è né la mafia italiana (come crede l’opinione pubblica slovacca e una parte della stampa internazionale) né l’assenza negli altri Stati di strumenti adeguati per contrastare i crimini di stampo mafioso (come sostengono gli esperti italiani di antimafia imitati dai telegiornali), ma l’opacità che circonda l’utilizzo dei fondi europei in numerosi paesi, Italia inclusa. Il sistema dei fondi strutturali, regole europee e procedure d’utilizzo nazionali-regionali, è pressoché impermeabile, custodito gelosamente da chi, fra attori pubblici e privati, oggi ne trae beneficio. Le iniziative di finanziamento europeo, in Italia e nei nuovi paesi membri, sono spesso pilotate da figure politiche nazionali presenti a Bruxelles. L’esperienza mi ha fatto intuire che alcuni finanziamenti sono canalizzati da un mondo grigio che coordina uomini politici e imprenditori assicurando il finanziamento occulto dei primi e l’arricchimento facile dei secondi. L’Ufficio anti-frode europeo OLAF emette rapporti che non colgono la natura dei problemi più gravi. Con Regolamento CE 12/10/2017 n.1939 l’UE ha deciso di istituire per ora fra 16 Stati una procura europea a Lussemburgo, sede della CGUE.

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