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Impeachment del Presidente? Cosa dice la Costituzione

Nella storia italiana, nessun presidente della Repubblica è mai stato messo in stato d’accusa. Secondo la Costituzione, la decisione finale è della Corte costituzionale, ma l’istruttoria è affidata al Parlamento. Che però sarà sciolto in tempi brevi.

Lo stato d’accusa nella Costituzione

Pochi minuti dopo la rinuncia di Giuseppe Conte all’incarico di formare il nuovo governo, il leader del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, ha evocato la possibilità di ricorrere all’impeachment per il Presidente della Repubblica, reo a suo giudizio di avere compiuto “alto tradimento” o di avere “attentato alla Costituzione”. Ma che cosa significa “impeachment”? Come funziona e quali sono i rischi per il paese? La questione appare particolarmente interessante e nuova: nella storia repubblicana, infatti, la procedura di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica non è mai arrivata fino in fondo.

Il termine “impeachment” riferito alla realtà italiana è innanzitutto formalmente improprio. Tuttavia, nemmeno si può negare che sia evocativo e indicativo del procedimento. La Costituzione si occupa della questione in diversi articoli: il 90, il 134 e il 135. Innanzitutto, l’articolo 90 definisce l’ambito di applicazione: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”.

Sono quindi due le tipologie di atti cui la Costituzione ricollega la possibilità di ricorrere allo stato d’accusa: alto tradimento e attentato alla Costituzione. Nel caso di Sergio Mattarella, dalle dichiarazioni di Di Maio, nonché dalla dinamica degli eventi, appare evidente che l’accusa sarebbe la seconda. Bastano le parole di Di Maio per procedere? Ovviamente no: il Parlamento, in seduta comune (vale a dire deputati e senatori insieme), dovrebbe deliberare a maggioranza assoluta dei suoi membri (473). La procedura è più precisamente normata da due leggi costituzionali: la 1/1953 e la successiva 1/1989. La legge coordinata così recita: “La deliberazione sulla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione è adottata dal Parlamento in seduta comune su relazione di un comitato formato dai componenti della giunta del Senato della Repubblica e da quelli della giunta della Camera dei deputati competenti per le autorizzazioni a procedere in base ai rispettivi regolamenti”. Il comitato “è presieduto dal presidente della giunta del Senato della Repubblica o dal presidente della giunta della Camera dei deputati, che si alternano per ciascuna legislatura”. La fase istruttoria può terminare sia con l’archiviazione delle accuse sia con la loro accettazione, rinviando quindi la decisione definitiva al Parlamento. Se lo stato di accusa venisse confermato, la Costituzione prevede che se ne occupi la Corte costituzionale (articolo 134). Nella particolare fattispecie, tuttavia, la Corte deve essere integrata da “sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari” (articolo 135). La votazione anche in questo caso è presa a maggioranza tra i giudici che hanno partecipato a tutte le udienze. Non è ammessa l’astensione e in caso di parità decadono le accuse. La sentenza è irrevocabile, salvo che non vengano prodotti nuovi elementi che possano influenzare la decisione.

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Il passato e le prospettive attuali

La storia repubblicana ricorda pochi casi di ricorso allo stato d’accusa, facilmente rintracciabili anche sul web: si tratta dei Presidenti Leone, Cossiga, Scalfaro e Napolitano. In nessuna circostanza si è arrivati a un voto parlamentare. Nei primi due casi, la procedura non andò a termine (anche) per le dimissioni dei due presidenti coinvolti (comunque negli ultimi mesi di mandato); negli altri due, invece, la procedura fu solo minacciata, ma mai avviata.

Sempre che Di Maio decida di procedere con l’iniziativa, la richiesta di messa in stato d’accusa di Sergio Mattarella ha fondamento? Tra le prerogative del Presidente della Repubblica c’è ovviamente la difesa della Costituzione. La decisione di opporsi alla nomina di un ministro non è nuova, ma certamente nemmeno attuabile con leggerezza e, di certo, non tutti i costituzionalisti concordano sulla possibilità di interferenze di questo tipo. Peraltro, in passato decisioni di questo tipo non hanno impedito la nascita del governo, sostanzialmente perché il presidente del Consiglio incaricato accettò sempre i “consigli” del Presidente della Repubblica. Tuttavia, Sergio Mattarella sembra essere stato molto attento a difendere la sua scelta sulla base della tutela dei diritti dei cittadini italiani (il diritto al risparmio, per la precisione), nonché su quella della difesa delle sue stesse prerogative: è lui che nomina i ministri, su proposta del presidente del Consiglio. Di cui però echeggia il rumorosissimo silenzio, di fronte invece a un imbarazzante – dal punto di vista meramente istituzionale – chiasso di Matteo Salvini.

La decisione finale dovrà tenere conto anche di un risvolto politico: il nuovo presidente del Consiglio incaricato, Carlo Cottarelli, ha già detto che voteremo subito dopo agosto (praticamente impossibile infatti che ottenga la fiducia). Il Parlamento a maggioranza pentastellata-leghista è davvero disposto a rinviare ulteriormente le elezioni?

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Convergenze tra rapporto Cottarelli e contratto Lega-M5s

  1. Savino

    Si tratta di un istututo antistorico (ricordiamoci, la Costituzione nasce dopo il ventennio e ha bisogno di certezze), caduto sostanzialmente in disuso e che in una riforma seria della Costituzione andrebbe abrogato.
    Il m5s propondendo questa inizitiva dimostra, dopo gli errori e le gaffes pre e post 4 marzo, la sua essenza antistorica.
    Chi vuole far nascere la terza Repubblica dovrebbe proporci una dimensione innovativa, propositiva e autorevole della democrazia, non fatta di solo web, come fece, ad esempio il buon Pannella dei tempi d’oro (mai ricordato fino in fondo).

  2. Henri Schmit

    La questione trattata ha vari aspetti, uno di legittimità costituzionale, uno comparativo storico e internazionale, uno di opportunità politica sia nell’immediato sia nel medio termine. L’aspetto costituzionale è fondamentale; tocca il cuore del pensiero politico occidentale, diciamo dal Secondo Trattato sul Governo di Locke (1689) in avanti. Solo un’interpretazione formalistica della Costituzione permette di riconoscere al Presidente della Repubblica un potere di veto sul primo ministro e su singoli ministri contro la scelta della maggioranza parlamentare, mentre la teoria classica dai costituenti ad oggi nega questo potere (cf. LaCostituzione.it, articoli degli ultimi giorni). Da questo punto di vista la situazione creata con la decisione del Presidente della Repubblica, gradita nel merito ma molto contestabile sotto il profilo della legittimità e della opportunità, crea forse più rischi di quanto ne risolve. Da campione delle riforme vere e del rigore nei conti Carlo Cottarelli rischia di diventare l’emblema dell’establishment che con tutti i mezzi, leggi elettorali, revisioni costituzionali e ora pure veti presidenziali compresi, prova a mantenersi al potere. Le previsioni per l’evoluzione politica e economica del paese sono pessime, preoccupanti.

  3. Stefano M.

    Personalmente, non ritengo che vi siano le condizioni giuridiche per procedere alla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica per la decisione adottata con riferimento alla lista dei Ministri presentata dal Presidente del Consiglio incaricato Conte. In primis, perché la Costituzione stessa attribuisce prerogative specifiche al Capo dello Stato in materia di nomina dei ministri. Poi, perché il Capo dello Stato è garante della Costituzione tesa a garantire il rispetto delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Al di là delle opinioni personali sulla decisione del Capo dello Stato, io credo che sia più pericoloso il conflitto istituzionale tra diversi poteri dello Stato che si è venuto a determinare. Ritengo più discutibile il comportamento di chi, richiamando i risultati elettorali, vuole di fatto essere libero da quei pesi e contrappesi che la Costituzione comunque prevede. Sto parlando peraltro di chi in passato, contro la riforma proposta da Renzi, ha difeso la Costituzione del 1948. In conclusione, se è possibile discutere sull’opportunità della decisione del Capo dello Stato, non credo sia possibile richiedere ed ottenere l’impeachment dello stesso, a meno che tutta questa baraonda non abbia una finalità di campagna elettorale, come credo.

  4. Raniero

    io capisco solo una cosa, la difesa del Risparmio non la può fare Mattarella. O meglio la può fare se si fa eleggere e poi si fa nominare Ministro dell’Economia.
    Preferisco Savona. Ora, chi ha il potere in mano, Cottarelli e i suoi Ministri, a chi risponderanno? A loro stessi?

  5. Savino

    Se c’è stato un errore da parte di Mattarella è stato quello di mancata impronta decisionale iniziale dell’avvio di un nuovo Governo. In punta di diritto e prassi costituzionale avrebbe, ad esempio, potuto non formalizzare le dimissioni “di cortesia” presentate da Gentiloni all’insediamento delle Camere, facendo in modo che le dimissioni del vecchio Governo fossero si accettate, per dare avvio alle consultazioni, ma formalizzate solo e soltanto dopo la risoluzione della crisi. Ciò avrebbe, al massimo, comportato una diversità di prassi non traumatica per la controfirma dei decreti di nomina (di solito il nuovo premier controfirma la sua nomina, lo avrebbe fatto il vecchio premier) e, al massimo, in caso di mancata soluzione della crisi avrebbe comportato la necessità, per ragioni di opportunità, di sostituire Minniti con un Ministro tecnico per la sola fase di ordinaria amministrazione. In Germania un problema del genere neanche si pone perchè vige la sfiducia costruttiva, per cui, semplificando, il vecchio Governo non va via fino a quando non sono stati trovati la maggioranza e l’accordo programmatico per formare il nuovo.

  6. Savino

    Nessuna riflessione può cominciare se non si parte dalla considerazione che il 4 marzo il popolo italiano ha sbagliato a votare in quel modo furente e non opportuno.

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