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Welfare aziendale in pericolo con i tagli alle spese fiscali

Gli incentivi fiscali hanno favorito lo sviluppo di un insieme di nuove forme di welfare, per il benessere dei lavoratori. Ma è un processo che rischia di fermarsi se le agevolazioni saranno eliminate per finanziare flat tax e reddito di cittadinanza.

Risorse da trovare

In campagna elettorale abbiamo ascoltato proposte e promesse più o meno realizzabili. Al di là delle differenze di contenuto e finalità, nella discussione sulle coperture finanziarie necessarie per realizzarle è emersa la priorità di intervenire sulle misure di agevolazione fiscale.

Le agevolazioni riguardano diverse imposte (in particolare quella sui redditi delle persone fisiche) e sono rivolte a classi di contribuenti più o meno numerose: secondo il Rapporto sulle spese fiscali 2017 i beneficiari variavano dai 26,1 milioni di contribuenti (deduzione della rendita catastale dell’abitazione principale) a 90 soggetti (esenzione Ires del reddito d’impresa derivante dalla locazione immobiliare). Drastiche iniziative di abolizione o contenimento delle spese fiscali avrebbero pesanti ricadute, sia in termini di distribuzione del reddito disponibile, sia più in generale sul modello di organizzazione sociale. Ne è un esempio l’attuale evoluzione delle politiche sociali.

Incentivi fiscali e welfare

Sono definite “spese fiscali” tutte le forme di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta, ovvero regime di favore derivante dalle norme in vigore. Proposte di una loro riduzione o abolizione sono state avanzate nella recente campagna elettorale anche a seguito delle indicazioni del Consiglio dell’Unione Europea. Il Programma nazionale di riforma 2017, del resto, indicava tra le azioni da intraprendere nel biennio 2017-2018 la riduzione o l’abolizione delle tax expenditures, con l’obiettivo di razionalizzare le politiche fiscali.

Secondo il primo Rapporto annuale sulle spese fiscali del 2016, si trattava di ben 610 misure, di cui 166 spese fiscali relative a tributi locali, con un impatto finanziario di oltre 54,5 miliardi di euro per i tributi erariali e 22 miliardi per quelli locali.

Negli ultimi anni, tuttavia, le misure di agevolazione fiscale sono state utilizzate per favorire la creazione di uno spazio complementare che affiancasse i tradizionali istituti del welfare. Forme di agevolazione sono state previste per la previdenza e la sanità integrativa e interessano attualmente milioni di lavoratori. Ma vi si è fatto ricorso anche per altre forme di welfare.

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Le leggi di stabilità per il 2016 e il 2017 hanno, infatti, dato impulso a forme innovative di welfare, in particolare in tre aree: i premi erogati per gli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione possono essere corrisposti in misure di welfare con un regime di tassazione agevolato (10 per cento di imposta sostitutiva Irpef); la sanità integrativa anche oltre il limite di deducibilità previsto dalle norme fiscali utilizzando il premio di produttività; infine, la detassazione dei premi pagati dal datore di lavoro per assicurare i propri dipendenti per i rischi di malattie che comportano la perdita dell’autosufficienza (Long Term Care) o particolarmente gravi (Dread Disease).

Secondo il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, al 16 aprile 2018 erano attivi 9.952 contratti aziendali e territoriali in cui sono stati inseriti accordi che implicano la detassazione dei premi di produttività e di questi ben 4.139 riguardano iniziative di welfare aziendale. Mentre il terzo rapporto di Welfare Index Pmi evidenzia che ben il 4 per cento del campione di imprese analizzate ha attivato iniziative in almeno quattro aree di welfare aziendale, compresi ambiti innovativi come la conciliazione vita-lavoro, la cultura e il tempo libero e il welfare comunitario. Per parte sua il terzo rapporto dell’osservatorio Cisl sulla contrattazione di secondo livello segnala che nel biennio 2015-16 è considerevolmente aumentata la percentuale di accordi che regolano o introducono forme di welfare aziendale che si affiancano alle tradizionali aree di contrattazione.

Anche l’accordo siglato il 28 febbraio da Confindustria e dalle organizzazioni sindacali per la promozione di un modello più efficace e partecipativo di relazioni industriali afferma, tra l’altro, che è volontà comune intervenire tramite contrattazione su alcuni ambiti come il welfare. Secondo l’accordo, il welfare contrattuale può rappresentare uno stimolo alla crescita del benessere organizzativo e di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, attraverso una universalità delle tutele (previdenza e sanità integrative, non autosufficienza).

In definitiva, appare evidente che gli incentivi fiscali abbiano facilitato un orientamento favorevole allo sviluppo di un insieme di nuove forme di welfare per il benessere dei lavoratori e il miglioramento delle relazioni industriali. Il percorso rischia però di subire una brusca frenata nel caso siano attuate misure di drastica riduzione delle spese fiscali, in contrasto con le esigenze di costruzione di un welfare moderno e solidaristico.

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  1. Ugo Trivellato

    Non e’ sorprendente che “gli incentivi fiscali abbiano facilitato un orientamento favorevole allo sviluppo di un insieme di nuove forme di welfare per il benessere dei lavoratori e il miglioramento delle relazioni industriali”. La ragione e’ semplice: in luogo delle imprese, alla fin fine ha pagato il solito Pantalone. Un vizio di fondo del welfare italiano e’ il suo marcato impianto categoriale. La sua riforma dovrebbe andare nella direzione dell’universalismo selettivo, si’ avviato con il Reddito di inclusione (Rei) ma ancora circoscritto ai poverissimi tra i poveri. Ne viene una domanda: eliminare una misura categoriale – qual e’ il welfare aziendale finanziato dalla fiscalita’ generale – e trasferirne il finaziamento al Rei sarebbe in contrasto con “esigenze di costruzione di un welfare moderno e solidaristico” (quali siano, non e’ detto) o, all’opposto, risponderebbe a un principio di equita’ redistributiva?

    • Ingmar

      Bisogna sostenere le piccole imprese che devono avviarsi, appunto, cosa che Monti e Renzi non hanno fatto, ma nemmeno solo le grosse con la flat tax, tagliando anche il welfare e sanità. Il reddito di cittadinanza temo sia un cavallo di troia per eliminare proprio questo.
      Inoltre le entrate che verrebbero a mancare da flat tax, sono molto maggiori di quelle, anche contando i fondi europei (che è vero che vengono comunque dai cittadini) delle spese sostenute per i migranti.
      Semplificando alcuni elementi, di una materia ovviamente molto complessa, lo stato ha delle entrate che vengono principalmente da tasse e da prestiti degli investitori, tra cui fondi risparmio pluriennali come Btp, etc, tra le uscite principalmente servizi, opere e debiti, le prime ovviamente devono essere efficienti. Ci sono entrate secondarie come ticket, pedaggi, etc. ticket e altre che riguardano comuni come , imposte e multe, queste ultime non vanno messe a pera e senza progressività.
      Chi sostiene che vada tagliato il welfare, beh, il welfare è un sintomo, io sono mezzo anarchista e lo stato non mi è molto simpatico come istituzione (ma bisogna che l’alternativa sia meglio e si sia pronti, non voglio citare il solito Churchill, che mi sta alquanto sulla punta parimenti :D), ma finchè c’è questa discrepanaza di reddito e di potere contrattuale, e i posti di lavoro sono a rischio, misure statali come sanità, scuola e ammortizzatori (e molto altro) saranno necessarie. Sono il sintomo.

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