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Autostrade, più stato e meno regali ai privati?

Il sistema delle concessioni autostradali ha garantito grandi profitti ai concessionari. Al di là delle controversie legali, una gestione diretta dello stato potrebbe migliorare le cose su manutenzione e investimenti. E i pedaggi potrebbero diminuire.

Tutti i profitti dei concessionari

La tragedia del ponte Morandi ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica, italiana ed estera, sulle disfunzioni del nostro sistema di concessioni autostradali, che da anni – inutilmente – pochi economisti hanno continuato a denunciare. Mentre le tariffe aumentano con regolarità, la maggior parte dei pedaggi finisce in imposte e profitti dei concessionari. Nel 2017, su 8 miliardi di pedaggi pagati 2 sono andati in Iva e canoni allo stato e 6 alle concessionarie, che hanno però fatto investimenti per meno di un miliardo. Autostrade per l’Italia (Aspi) ha avuto un margine operativo di 2.450 milioni, ma ha investito nella rete soli 517 milioni.

In questi giorni si è diffusa una critica radicale alla funzione stessa e all’utilità sociale delle concessionarie. L’istituto della concessione si giustifica in teoria perché opere pubbliche possano essere finanziate con capitali privati e poi devolute allo stato a fine concessione, senza oneri per il bilancio. Ma questo non è mai avvenuto in Italia.

Fin dall’inizio gli azionisti delle concessionarie – l’Iri, i Gavio e gli enti azionisti di tutte le altre autostrade – non hanno versato capitali – se non irrisori -, tutto è stato finanziato a debito e quasi sempre con garanzia dello stato. I capitali iscritti a bilancio sono stati centuplicati con le rivalutazioni monetarie e poi, una volta rimborsati i debiti attorno alla fine degli anni Novanta, invece di devolvere le opere allo stato come previsto dai contratti di concessione, per agevolare la privatizzazione delle Autostrade, i pedaggi sono stati mantenuti e le concessioni prorogate più volte, dando origine a un flusso di profitti elevatissimo e ingiustificato. Si può dire che la rete autostradale sia stata sostanzialmente regalata ai concessionari dallo stato (inteso come rappresentante della collettività che paga i pedaggi). Ciò è potuto avvenire perché, come scrivevo nella premessa al mio libro (“I Signori delle Autostrade”, il Mulino), non esiste nessun altro settore dove un governo o un ministro possa fare regali tanto imponenti a società, pubbliche o private, mediante la proroga di concessioni e la regolazione delle tariffe, senza che gli utenti ne percepiscano nemmeno i costi addizionali. E nessuno dei ministri che si sono succeduti è stato un eroe, anzi.

L’unico incasso è stato quello ottenuto dall’Iri per la privatizzazione della società Autostrade, poco più di 6 miliardi nel 1999. Ma appena tre anni dopo, accollando alla società un debito di analogo importo (da rimborsare con i pedaggi), gli azionisti della Schamaventotto (controllata dai Benetton) recuperarono quanto pagato all’Iri, restando però col controllo di una concessionaria che aveva ancora 35 anni di concessione e profitti crescenti di 700-900 milioni l’anno.

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Un enorme profitto per i privati e una disfatta finanziaria dello stato che suscita vergogna. L’opinione pubblica ha iniziato però a capire e l’onda di indignazione suscitata dal crollo del ponte può giustificare la decisione del governo di rimettere in discussione tutto il sistema, al di là delle responsabilità del caso.

Un mestiere semplice

Revocare o modificare concessioni, anche se pesantemente squilibrate a vantaggio del concessionario, apre scenari di controversie legali su cui non commento. Potrebbe anche rivelarsi conveniente per lo stato, ma al di là dei calcoli finanziari si profila ora una opposizione ideologica da parte di quanti si dichiarano contrari alla “nazionalizzazione” delle autostrade.

In realtà, la proprietà delle autostrade è sempre restata in capo allo stato e per capire in cosa consisterebbe la “nazionalizzazione” occorre riflettere su quali siano le funzioni svolte dai concessionari e che passerebbero allo stato.
Il mestiere del concessionario è molto semplice: non deve cercarsi clienti, non è esposto al rischio di cambiamenti di gusti o di tecnologie, non ha da temere concorrenti.

Un concessionario fa tre cose: manutenzione, investimenti e riscossione di pedaggi. Se lo stato decidesse di riprendersi la gestione delle autostrade (svolgendo il servizio “in house”, magari tramite un apposito ente pubblico) potrebbe farlo senza assumere alcun nuovo dipendente pubblico: potrebbe affidare con gare separate, all’Anas o a società private, l’esazione dei pedaggi e la manutenzione, magari anche su base regionale, contenendo i costi grazie alla concorrenza (unbundling). L’Anas gestisce già la manutenzione di 26 mila chilometri di strade statali: non si vedono rischi di “nazionalizzazioni” se dovesse farsi carico della manutenzione di altri 3 mila chilometri.

Anche gli investimenti potrebbero essere appaltati con gare e con costi inferiori a quelli praticati dalle società di costruzione controllate dalle concessionarie. Il gettito dei pedaggi, che sono divenuti in sostanza delle imposte, affluirebbe nelle casse dello stato e, ai livelli di tariffe attuali, coprirebbe ampiamente tutti i costi, lasciando margini per investimenti ben maggiori di quelli fatti dalle concessionarie.

Certo, ciò richiederebbe un’attività di supervisione alle manutenzioni e agli investimenti, da parte degli organi statali preposti, assai più pervasiva di quella effettuata oggi. Ma è la stessa tragedia del ponte crollato che ha messo in luce i difetti di un sistema dove lo stato ha progressivamente affidato ai privati le scelte d’investimento e di manutenzione, abdicando di fatto al ruolo di supervisione che dovrebbe essergli proprio e che dovrà comunque recuperare.

Non si avvertirebbe certo il venir meno dell’apporto di capitali privati: nessuno dei grandi concessionari ha mai effettuato significativi aumenti di capitale a pagamento. In questo settore tutto è finanziato a debito, e così continuerebbe anche dopo la fine delle concessioni. Potrebbero invece diminuire, e di molto, sia i costi amministrativi (eliminando decine di società e consigli di amministrazione) sia, soprattutto, gli oneri finanziari. Oggi il ministero riconosce ai concessionari un tasso di rendimento sugli investimenti del 7,96 per cento (al netto delle imposte!) mentre un ente pubblico potrebbe indebitarsi a un costo attorno al 3-4 per cento sulla garanzia del flusso dei pedaggi (senza garanzia dello stato). Una differenza enorme.

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Prendiamo ad esempio l’ultima delle tante proroghe concesse dal ministro Delrio, quella alla Autostrade per l’Italia per finanziare il cosiddetto “Passante” di Genova. Un progetto da 4,3 miliardi che Aspi si impegnava a costruire e a finanziare assieme ad altri investimenti per un totale di 7,8 miliardi. In cambio il governo ha concesso una proroga della concessione di quattro anni (dal 2038 al 2042), un indennizzo di subentro di 5,6 miliardi a fine concessione e una revisione della regola tariffaria per cui i pedaggi aumenteranno con l’inflazione al 100 per cento (contro solo il 70 per cento di oggi) più lo 0,5 per cento l’anno.

Tutto ciò costerà, nel complesso, maggiori pedaggi per circa 24 miliardi: tre volte l’importo degli investimenti previsti. Avviene proprio perché viene riconosciuto alla società un rendimento sui capitali investiti del 7,96 per cento, anche se le obbligazioni decennali di Atlantia fruttano un tasso lordo del 3 per cento. Se quegli investimenti venissero realizzati da un ente pubblico in grado di indebitarsi attorno al 3 per cento, il costo in maggiori pedaggi potrebbe essere inferiore a 10 miliardi.

In generale, il motivo principale dei continui aumenti di tariffa va ricercato nel fatto che gli investimenti proposti dalle concessionarie hanno una redditività inferiore al tasso di remunerazione del capitale riconosciuto loro dal ministero e pertanto devono essere remunerati in tariffa. È probabile che la redditività attesa degli investimenti venga sottovalutata dalle concessionarie per ottenere maggiori incrementi tariffari, ma è comunque difficile trovare investimenti che rendano circa l’8 per cento (dopo le imposte). Se vogliamo che i pedaggi cessino di crescere, e magari diminuiscano, occorre ridurre drasticamente il loro costo finanziario, e questo sarà possibile solo se a finanziarli sarà un ente pubblico senza scopo di lucro.

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21 commenti

  1. Gabriele Biondo

    Personalmente ho moltissimi dubbi sul fatto che la gestione di Autostrade da parte dello stato , funzioni meglio.
    Basta vedere come da 50 anni funziona l’ Anas !!!
    Ed il passato insegna che il pubblico mediamente gestisce peggio tutto. Esempi illuminanti sono :
    Settore bancario , Banco di Napoli , di diritto pubblico e’ tecnicamente fallito , ed e’ costato almeno 5 md di euro alla collettivita’. Banco di Roma banca pubblica salvata solo perche’ acquisita da Unicredit
    Alitalia pubblica fallito piu’ volte e costato ai contribuenti oltre 5 md di euro
    La storia insegna che le gestioni pubbliche creano solo sprechi ruberie e bilanci in perdita.
    Se la gestione dell economia da parte dello stato funzionasse , la vecchia Urss sarebbe la prima al mondo da sempre , e’ li da vedere cosa hanno combinato , idem Cuba , Venezuela etc . Lo stato deve gestire solo alcuni servizi essenziali , sanita’ , istruzione e basta . Una buona politica dovrebbe invece , controllare meglio che alcuni servizi importanti , autostrade , energia , trasporti affidati ai privati siano fatti con criteri corretti , quello deve fare la politica , cosa invece spesso disattesa. Quindi niente piu’ stato nelle gestioni , solo piu’ controlli .

  2. Henri Schmit

    Complimenti all’autore per la pubblicazione del 2008! Il primo breve comma di questo articolo insieme al margine netto del 8% basterebbe per fare scandalo. Il terzo sulla storia della privatizzazione delle autostrade è più complesso, ma tutti all’epoca capivano dai titoli dei giornali che c’era tanto sporco sotto. Non si capisce quali siano gli obblighi del concessionario: gestione pedaggi, manutenzione ordinaria e straordinaria? L’articolo non menziona clausole occulte. Se è giusto criticare questa privatizzazione e questa concessione, l’argomento non vale automaticamente per l’affidamento della gestione autostradale in concessione in genere. Basta che il privato (competitivo, gara) garantisca la stessa qualità di servizio a un costo inferiore e dobbiamo preferire la gestione in concessione a quella statale, a patto che qualcuno controlli; ma questo vale anche sotto la regia statale. L’anas non è un’alternativa credibile, i suoi ponti crollano subito e i suoi manager guadagnano troppo. Non è nemmeno giusto opporre l’utilità dell’investimento nuovo pubblico-privato all’inutilità della privatizzazione ex post (Giorgetti); il contrario è vero: durante la fase di avvio con il massimo rischio (tempi, costi, traffico, ricavi) è giusto che lo Stato faccia con i mezzi propri e che privatizzi invece l’utility avviata, a condizioni precise per compiti più o meno estesi (unbundling), ma a un rendimento decisamente più basso. Il caso delle infrastrutture rispecchia ahimè l’intero paese.

  3. Giacomo

    Ottimo articolo. E’ davvero impressionante l’atteggiamento di sudditanza verso i concessionari che molti commentatori hanno in questi giorni. Se il ponte fosse stato gestito da una piccola impresa edile di provincia allora tutti griderebbe allo scandalo. Ma si tratta invece di una grande e potente impresa. E allora si esprime cautela, si attendono le sentenze (fra dieci anni ?), ecc.

  4. mariorossi

    Mi sembra difficile giudicare il valore della piu’ recente estensione della concessione, ma si puo’ fare un bilancio della privatazione del 1999.

    A quanto mi risulata lo stato vendette autostrade per un valore totale circa 16,000 miliardi di lire nel 1999 (quindi 8bn EUR e non 6 che mi sembra sia il costo dell’acquisto del resto della compagnia nel 2003). Nel 1999 il BTP trentennale 2029 trattava attorno a 90 con una cedola del 5.25. Se la famiglia Benetton avesse aquistato BTP invece di autostrade, averebbe ricevuto un totale di 7.5bn (8*18*5.25%) e avrebbe visto il valore del BTP crescere da 90 a 117 (tra l’altro quotava 135 prima del nuovo governo). Non mi sembrano numeri tanto differenti da quelli ricavati da autostrade, per un investimento siceramente molto piu’ solido e piu’ semplice.

    Acquistare qualsiasi bene e’ stato un investimento incredibilmente proficuo negli ultimi venti anni, visto il crollo dei tassi reali e nominali. Autostrade non e’ un eccezzione, ma parte dello stesso fenomeno. Lo stato Italiano avrebbe pagato un ammontare simile per finanziare il debito pubblico addizionale.

    La critica ai contratti piu’ recenti mi sembra molto piu’ giusitificata. Certamente un tasso di rendita netto del 8% e’ veramente eccessivo (anche se i titoli italiani hanno toccato quel livello nel 2011). Certo che se nessun altra azienda ha partecipato alla gara d’appalto, mi sembra un po’ ottimista pensare che lo stato possa realizzare la stessa opera con grandi risparmi.

  5. roberto

    Buonasera, solo qualche considerazione:
    1. la società pubblica dovrebbe però essere completamente la di fuori del perimetro del bilancio statale e sottoposta alle medesime regole di una società privata in termini di regolazione, altrimenti il rischio è che lievitino i costi operativi e di investimento senza nessun controllo e che di conseguenza poi la gestione sia altamente inefficiente.
    2. Ma se invece di andarsi ad infilare in rischiose nazionalizzazioni (rischiose dal punto di vista giuridico), non si rivedessero semplicemente i parametri di remunerazione del capitale? Così come hanno fatto i regolatori in Uk e in parte Arera, si determina il reale ritorno sul capitale di rischio e di debito e quello si da al concessionario. Solo nelle concessioni autostradali e aeroportuali ormai non c’è un meccanismo di aggiornamento del WACC sulla base dell’andamento del mercato. E poi perchè le concessioni in essere non sono sottoposte a controllo e regolazione da parte dell’autorità dei trasporti? Sicuramente c’è stato una “cattura” del regolatore nei settori dei trasporti, molto di più di quanto avvenuto a metà degli anni 90 con il settore energetico

  6. Giancarlo Corò

    Che il sistema delle concessioni vada riformato, chiudendo la stagione infinita delle proroghe e definendo regole più equilibrate a favore della collettività, lo chiede da tempo anche l’UE. L’analisi di Ragazzi appare tuttavia viziata da un pregiudizio contro il sistema concessorio in quanto tale. Sottovalutando i rischi della gestione tutto-pubblico in opere così complesse. Quanti morti ci sono stati nella Salerno-Reggio Calabria, interamente gestita da Anas, causa di ritardi, lavori eseguiti male, scarsa manutenzione, cattiva informazione, ecc.? Quanto costano alla collettività le tante strade colabrodo del Paese? In realtà, trasferendo la gestione dalle società concessionarie allo Stato ci sarebbe un sicuro aumento dei costi (causa minore efficienza) e una molto probabile riduzione dei ricavi (prezzi politici dei pedaggi). Anche sui benefici sociali – qualità ambientale, funzionalità e sicurezza dell’infrastruttura – la questione rimane aperta. Così come non vengono mai considerati gli incentivi all’innovazione – dagli asfalti, al Telepass, ai segnalatori – su cui l’Italia non è così indietro proprio grazie alla gestione privatistica delle autostrade. Perché non favorire gli investimenti delle concessionarie verso le nuove frontiere della mobilità integrata? Per fare questo è tuttavia necessario investire di più e meglio sul “regolatore”. Se non si parte da qui si fa poca strada.

    • Attenzione a non passare da un pregiuzio all’altro. La Salerno-ReggioCalabria non può essere un esempio di gestione pubblica, là tutto passa attarverso le mafie e tutto è gestito con catene di appalti e sub-appalti. Una gestione realmente pubblica (tecnici e operai con stipendio statale) sarebbe già un ostacolo alle penetrazioni mafiose.
      Credo che un serio confronto si possa fare solo guardando una ordinaria gestione Anas. E forse le considerazioni dell’autore sarebbero confermate.

  7. Luigia Scudeller

    E’ un po’ fuori tema, ma mi interesserebbe avere un’opinione dell’autore su similitudini e differenze del sistema delle concessionarie autostradali con il sistema sanitario, in particolare con i vari istituti, laboratori e centri clinici convenzionati con il SSN.

  8. Aram Megighian

    La ringrazio per l’interessante approfondimento, quanto mai necessario in questo periodo di proclami vuoti senza contenuti. Ricordo che mio padre sottoscrisse le obbligazioni per la costruzione dell’Autostrada PD-BS e che più volte mi disse che “quando i privati avranno finito la concessione l’autostrada ritornerà allo Stato e sarà pubblica, come in Germania” dove lui visse due anni a cavallo del ’60.
    Credo che il disastro degli anni ’90 con l’enorme debito pubblico e le grandiose corruzioni, abbia spinto oltre la voglia di “privatizzare” e di chiamare i privati nello Stato. Telecom è un esempio di come la privatizzazione abbia distrutto de facto un’azienda leader mondiale anche nelle tecnologie. Altro esempio di confine sono le cosiddette partecipate, una giungla dove si annida forse un enorme sperpero di denaro.
    Tuttavia, ritornando alle Concessioni nell’ambito delle Autostrade e servizi, sarei anch’io dell’idea di un ritorno dello Stato al controllo, stile tedesco, o magari stile svizzero con pagamento di “vignette” annuale.
    Resta però il fatto che sia Germania che Svizzera hanno un progetto di trasporti a lunga visione che travalica l’analisi specifica delle sole autostrade. Cioè considerano le autostrade come parte di un sistema articolato e di conseguenza si comportano. In Svizzera paghi la vignette, ma i TIR viaggiano sui treni, ammodernati con linee veloci e numerosi tunnel. Idem in Germania dove le colonne di TIR dell’Est sulla A4 non le ho mai viste.

    • bob

      il suo intervento è l’unico che ha centrato il problema; progetto di trasporti a lunga visione..” uguale a progetti lungimiranti l’unico scopo per cui si giustifica una classe politica. Aggiungo che ad un monopolio privato preferisco un monopolio pubblico magari per il concetto della scelta del minor male.

      • Henri Schmit

        Non è vero, in Italia c’è anche chi sa programmare a lungo termine, anche nella PA. Una linea metropolitana, la TEM o il “passante” di Milano, la gronda di Genova, la così detta TAV, la vera TAV, etc sono progetti pluridecennali, esistenti. I problemi (molto più gravi, più difficili a risolvere) sono due: i tempi burocratici e pseudo-democratici, e i sovraprezzi occulti, spesso nascosti dietro trasformazioni societarie, fallimenti, passaggi di proprietà. Il connubio pubblico-privato in un paese di politica corrotta, secretiva e di stampo guelfi contro ghibellini (tutto in un modo o tutto nel modo opposto) è una miscela esplosiva, aggravata, non superata, dalla neo-cultura iper-maggioritaria.

        • bob

          la politica reale di programmazione in Italia è avvenuta solo dal dopoguerra agli inizi degli anni ’70. Dopo non essendoci più il sistema-Paese si è fatto solo “rattoppi” tirare a campare aggravato dal livello culturale infimo localistico-regionale

        • bob

          la TAV La Gronda e altro sono opere singole all’interno di una politica di programmazione ma non sono esempi di programmazione. Anzi proprio in queste opere “sporadiche” si annida la peggio corruzione

  9. luigi franzoni

    Complimenti per la chiarezza dell’articolo. Mi chiedo, però, da dove discende la necessità di trasferire la concessione ad un ente “pubblico”? Nella logica dell’articolo, il problema è l’eccessiva remunerazione dell’investimento. Un problema che in teoria si risolve con un tratto di penna; basta scrivere 5-6% (tenendo conto delle imposte) invece dell’attuale quasi 8%.

  10. Paolo

    Grazie ma in fondo se si fanno gestire le opere pubbliche a pantalonai altro che ponte Morandi. A proposito ma non va ai Gavio anche il nuovo passante di Genova

  11. Alessandro Santoro

    Sulla carta il ragionamento è inappuntabile. Si scontra però con la realtà costituita dall’inefficienza del sistema pubblico. Non dimentichiamo che le responsabilità del crollo del ponte Morandi ricadono tanto sul concessionario quanto sul ministero dei Trasporti, che non ha mai assicurato i controlli e la vigilanza previsti dalla legge. Se i controlli ci fossero stati, oggi non saremmo qui a piangere 43 morti e nessuno chiederebbe la nazionalizzazione di Autostrade. Forse è di qui, dunque, che dovremmo partire per riflettere e proporre. E lo stesso vale anche per tante altre questioni irrisolte, come le morti bianche o il lavoro nero. Il problema non sono le leggi, il problema è quello di un’amministrazione pubblica che viene considerata da governi e politici come un gigantesco ufficio di collocamento, anziché una macchina al servizio della collettività e del sistema-paese.

  12. massimo consolini

    Trascorro da parecchi anni un periodo di vacanze in Umbria. lo stato della pavimentazione stradale della E45 gestita da ANAS mi fa molto dubitare della capacità dello Stato di gestire direttamente infrastrutture stradali. mi domando se la società Autostrade IRI abbia goduto ai suoi tempi di cospicui incrementi di tariffe quali goduti da Atlantia.

    • bob

      Lei omette un “piccolo” particolare la E45 non ha pedaggio, le autostrade si! Trovo scandaloso che per prendere un caffè in Autogrill debbo fare una fila di mezzora perchè l’addetto oltre la casa lava per terra, incarta panini, lava bicchieri. Una concessione-monopolio del genere ( unica al mondo) dovrebbe quanto meno prevedere, sotto il profilo economico, anche un aspetto sociale, invece si riduce il personale per incrementare profitti già scandalosamente elevati oltre che ingiustificati

  13. albida

    Buongiorno. Il crollo del ponte e le eventuali mancanze gestionali del concessionario hanno focalizzato l’attenzione sul tema concessioni e i relativi extraprofitti ma sono due temi da tenere distinti. Dai pochi documenti che sono circolati, prevedo che ad ASPI non si riuscirà a contestare il dolo della mancata manutenzione come causa del crollo. Sembra ci siano fior di perizie di fior di professori (di cui diversi che hanno agito per conto del controllore) che non hanno mai denunciato un rischio crollo: segnalavano criticità, certo, a cui ASPI ha risposto con un programma di interventi, ma senza che fosse segnalato un rischio concreto ed imminente che avrebbe dovuto avere come conseguenza la chiusura del ponte al traffico. Sarà da capire perchè le perizie (anche quelle del controllore) non hanno messo in luce una criticità così grave, ma la revoca della concessione è un fatto tutt’altro che scontato. Ciò non toglie che le concessioni debbano essere riviste nei loro meccanismi, perché i valori di remunerazione del capitale sono, oggi come ieri, oggettivamente fuori misura. L’investimento ha un rischio molto basso, è in regime di monopolio e garantisce flussi di cassa costanti e poco influenzati dagli andamenti generali dell’economia (anche se la crisi del 2008-2012 ha avuto un impatto non piccolo). Mi sembra corretto però che il meccanismo di remunerazione garantito contrattualmente si legato al WACC in modo dinamico secondo l’andamento dei costi di indebitamento effettivi.

    • bob

      sono successe cose molto strane negli ultimi 30 anni i questo Paese guarda caso da quando qualcuno gridò ” Roma ladrona”..sarà un caso ma tantè! Le privatizzazioni, come la bufala federalista etc fanno parte di queste “stranezze”. Io dividerei tra concessione e monopolio privato. Se un proprietario di uno stabilimento balneare che riceve in concessione un pezzo di spiaggia e vuole 50 euro per un ombrellone io posso andare allo stabilimento accanto. Se devo percorrere in auto in tempi umani Milano- Roma ho una sola soluzione, senza alternative. Non credo che ci vogliono mille studi e fior fiori di professori per capire una cosa del genere. Vogliamo dire che più che “Roma ladrona” ( slogan di partenza) c’è stato un vero e proprio attacco alla “ricca diligenza” ! Un Paese che viene riportato dai media internazionali accanto all’ Ungheria può avere futuro? Io ho dei dubbi! Voi??

  14. Henri Schmit

    Finira non ho trovato da nessuna parte risposte alle mie domande: 1. Quali sono e dovrebbero essere esattamente gli obblighi contrattuali del concessionario. Paradossalmente potrebbe essere più conveniente per lo stato limitare gli obblighi contrattuali all’ordinario, occuparsi direttamente dello straordinario e della sicurezza strutturale ricavando un prezzo molto più alto. 2. Vi sono clausole segrete di una concessione pubblica? Quali? Chi le ha negoziate? Alla fine il problema è un concedente politico impreparato, che decide in modo occulto per il proprio vantaggio immediato, con un privato preparato ed attento ai propri interessi, il tutto a danno degli interessi di medio termine della collettività.

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